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Dejan Petkovic, la meteora del Venezia che è diventata una leggenda in Brasile

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Ripartire dalla consapevolezza di uno storico undicesimo posto centrato nella stagione precedente, ma anche dalla certezza di non poter più contare sul genio di un campione che, con il suo arrivo, aveva permesso alla squadra di cambiare letteralmente marcia nel corso della seconda parte dell’annata.

Quello che si presenta ai blocchi di partenza del campionato di Serie A 1999-2000 è un Venezia che quindi sa che ci sono potenzialmente tutte le carte in regola per poter centrare una nuova salvezza, ma che è anche conscio del fatto che senza Alvaro Recoba la strada che porta alla permanenza in massima serie si è fatta decisamente più in salita.

‘El Chino’, nei mesi precedenti, aveva semplicemente ridato vita ad una squadra che senza i suoi guizzi faticava nei bassifondi della classifica. Era arrivato in prestito dall’Inter, dove non era riuscito a trovare spazio nonostante gli straordinari exploit iniziali, e oltre ad impreziosire la sua esperienza al Venezia con ben dieci goal in diciannove partite, aveva mostrato meraviglie calcistiche che in Laguna mai si erano viste nel corso dei decenni precedenti.

In società pare quindi chiaro fin da subito a tutti che al nuovo allenatore Luciano Spalletti, va messo a disposizione un gruppo rafforzato in ogni reparto, ma anche e soprattutto un elemento capace di garantire quella magia che era venuta meno. Recoba aveva insomma dimostrato che con un’iniezione di classe e fantasia si poteva cambiare il volto di una squadra, oltre che le sorti di un’intera stagione, e una delle priorità fu dunque quella di trovare un degno sostituto.

Il Venezia, per far fronte al ritorno a Milano dell’asso uruguaiano, decise allora di fare una scelta non banale. Individuò in sede di mercato un elemento dalle doti tecniche indiscusse e il cui nome in quel periodo veniva accostato a club di primissima fascia come l’Atletico Madrid: Dejan Petkovic.

Pur di far suo il gioiello serbo, il club dell’allora presidente Maurizio Zamparini, decise di fare un investimento pesante. Mise infatti sul piatto qualcosa come 8 miliardi di lire per un ragazzo dal curriculum già importante.

Petkovic era cresciuto nel Radnicki Nis e nel 1988, quando aveva appena 16 anni e 15 giorni, era diventato il più giovane calciatore ad esordire nel campionato jugoslavo. Non ancora ventenne poi, venne scelto dalla Stella Rossa per raccogliere l’eredità del leggendario Dragan Stojkovic e per diventare il trascinatore di una squadra che aveva da poco stupito il mondo laureandosi campione d’Europa, ma che intanto nel giro di pochi mesi aveva visto partire Pancev, Savicevic, Mihajlovic, Jugovic e tutta la spina dorsale di una formazione che si era guadagnata un posto nella storia del calcio.

In tre stagioni e mezzo, Petkovic non solo dimostra di essere il più forte tra i gioielli della nuova generazione del calcio balcanico, ma inizia a far parlare di sé in tutta Europa. Osservatori dei più importanti club del Vecchio Continente fanno a gara per assicurarsi un posto sugli spalti del Marakana di Belgrado per vederlo da vicino e alla fine, nel dicembre del 1995, ad anticipare tutti è il Real Madrid.

Dejan Petkovic real madridinternet

Quella dei Blancos, che stanno vivendo un momento della loro storia non propriamente esaltante, non è l’offerta migliore fatta pervenire a ‘Rambo’ (questo il soprannome che gli affibbiò un tifoso della Stella Rossa per il modo in cui correva tra gli avversari), ma il solo fatto di poter vestire la maglia del Real vale più di qualunque cosa.

“Avrei potuto guadagnare molto di più, ma giocare per il Real Madrid è una di quelle cose che vale la pena di fare almeno una volta nella vita. Il calcio per me era un gioco e i soldi non erano la cosa più importante. Per me la vita era godermi il calcio”.

Petkovic avrà modo di coronare il suo sogno di vestire la mitica ‘camiseta blanca’, ma dovrà fare i conti con un problema non da poco: Jorge Valdano fatica a trovargli una posizione in campo.

Con pochissimo spazio a disposizione, nel gennaio del 1996 si trasferirà in un Siviglia in piena crisi di risultati e, dopo non aver brillato particolarmente, verrà bocciato definitivamente dal nuovo allenatore del Real Madrid: Fabio Capello.

Per il tecnico italiano Petkovic non ha le qualità per giocare nella squadra che lui ha in mente e quindi il talento serbo è nuovamente costretto a fare le valigie per trasferirsi al Santander. Tornerà al Real solo il tempo di cercare una sistemazione definitiva e di giocare un’amichevole che cambierà per sempre la sua vita.

I Blancos infatti, nell’estate del 1997, si trovano ad affrontare i brasiliani del Vitoria. E’ una partita che non mette in palio nulla e si decide quindi di far scendere in campo le riserve, più quei giocatori in lista di trasferimento. Petkovic illumina la scena al punto da ammaliare il club bahiano che decide di farsi avanti.

Un giocatore dell’ex Jugoslavia in Brasile. Solo a pronunciarla questa frase suona male, ma in fondo si è detto per decenni che gli jugoslavi erano i ‘brasiliani d’Europa’, ed ecco dunque che per magia tutto inizia ad avere un senso.

Petkovic, nell’accettare il trasferimento al Vitoria, si allontana dal calcio che conta e dalla possibilità di essere protagonista nella sua Nazionale, ma allo stesso tempo vede schiudersi le porte di un futuro che forse nemmeno avrebbe immaginato.

Con il Vitoria gioca due anni imponendosi come uno dei più forti giocatori del Brasileirao e vince due campionati statali ed una Copa do Nordeste. Tra i funamboli che giocano dall’altra parte dell’oceano si trova a meraviglia e riesce finalmente a portare in campo il suo calcio. Delizia, segna tanto, diventa l’idolo assoluto della tifoseria e ben presto diventa chiaro a tutti una cosa: un giocatore così non può stare lontano dall’Europa.

E’ questo il calciatore che il Venezia sceglie per sostituire Recoba e Petkovic, fin dal suo arrivo in Italia, dimostra di non avere il minimo timore nell’accettare la sfida.

“E’ sempre così, quando arrivi in una squadra è per sostituire qualcuno. Raccogliere l’eredità di Recoba non mi pesa ed anzi voglio dimostrare di essere tornato quella della Stella Rossa. In Spagna non è andata bene, ma in Brasile si è visto un nuovo Petkovic. All’inizio non volevo andarci, ma poi scegliere il Vitoria si è rivelata la mia fortuna. A Salvador ero un idolo ed ora voglio entrare anche nel cuore dei tifosi veneziani”.

Dejan Petkovic fa il suo esordio ufficiale in Serie A il 29 agosto 1999 in una sfida interna contro l’Udinese. Resta in campo per 90’, ovviamente con il 10 sulle spalle, e lascia intravedere qualità importanti. Fa bene anche nella sfida successiva contro il Torino, ma è alla terza giornata, in una partita persa contro la Roma, che lascia tutti a bocca aperta: servito in posizione defilata da Nanami, penetra in area giallorossa dalla sinistra, con una straordinaria finta di corpo ‘ubriaca’ letteralmente Zago e poi con un destro chirurgico mette il pallone lì dove Antonioli non può arrivare.

E’ una vera gemma, ma quello che nessuno può immaginare è che quello resterà il suo unico goal in Serie A. Nel momento stesso in cui ‘Rambo’ sembra pronto a spiccare il volo, la compagine lagunare (che al termine della stagione retrocederà dopo che sulla sua panchina si saranno succeduti Spalletti, Giuseppe Materazzi, ancora Spalletti e Maurizio Oddo) incapperà in una crisi di gioco e risultati che inghiottirà anche le sue straordinarie qualità, oltre che la sua voglia di rivalsa.

Venezia rappresentava per lui il posto giusto per riavvicinarsi alla sua famiglia, ma il Venezia non era la squadra giusta per esprimersi.

La sua avventura italiana durerà 872’ di Serie A ai quali vanno aggiunti altri 301’ in Coppa Italia. Diciassette partite in tutto condite da due goal, prima di fare ritorno in quello che ha scoperto essere il suo ‘porto sicuro’: il Brasile.

Già nel gennaio del 2000 si trasferirà al Flamengo e da Rio de Janeiro partirà un lungo girovagare che lo porterà poi a conseguire lo status di leggenda.

Petkovic flamengo brasileirão 2010ANTONIO SCORZA/AFP/Getty Images

Con il club ‘Rubro-Negro’ tornerà ad incantare le folle ed anche nelle successive esperienze con le maglie di Vasco da Gama, Fluminense, Goias, Santos e Atletico Mineiro, si imporrà come uno dei più forti stranieri dell’intera storia del campionato brasiliano, diventando tra l’altro l’unico europeo ad essere premiato come miglior giocatore per ruolo del Brasileirao (sarà incoronato nel 2004, 2005 e nel 2009).

Nel 2009 tornerà, a quasi dieci anni di distanza al Flamengo per un’ultima avventura, e gli verrà riservata un’accoglienza non straordinaria, ma troverà di nuovo la forza per conquistare tutti.

“In molti dubitavano della mia età, dicevano che ero troppo vecchio. Non avevano dubbi sulle mie qualità, ma sul mio fisico. Ho dimostrato a tutti che è lo spirito che conta e non la data di nascita. Oggi mi considerano il più grande idolo della storia del club dopo Zico. Dopo tanti anni sono tornato in quella che consideravo casa mia e l’ho fatto per essere di nuovo una stella”.

Quando il 5 giugno 2011 lascerà il calcio giocato dopo il primo tempo di una sfida di campionato contro il Corinthians, lo farà dopo aver segnato 167 goal in Brasile, aver vinto un Campionato Bahiano, tre Campionati Carioca, tre Taça Rio, una Taça Guanabara, una Coppa dei Campioni brasiliana, un campionato brasiliano ed un Campionato Paulista.

Per comprendere l’importanza di quanto fatto da Dejan Petkovic in Brasile, basti pensare che è stato eletto miglior giocatore del ventesimo secolo del Vitoria (precedendo un certo Bebeto), che è stato inserito nella Maracanã Walk of Fame, è stato nominato Cittadino Onorario di Rio de Janeiro e Console Onorario della Serbia in Brasile.

Il giorno del suo addio al calcio giocato, a 38 anni, gli verranno resi gli onori che solo un fuoriclasse merita e tutti i giocatori del Flamengo porteranno sulle sue spalle il suo numero 43.

Oggi Petkovic vive ancora in Brasile dove è una celebrità e lavora come commentatore sportivo.

La sua è la storia irripetibile di chi è riuscito a strabiliare tanto il Marakana quanto il Maracanã, ma che incredibilmente non è riuscito ad imporsi al Pier Luigi Penzo.

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