Chissà in quanti si ricordano che Oliver Bierhoff, attuale direttore della nazionale tedesca ed emblema del calcio teutonico, oltre che emblema di Udinese e Milan, decise di chiudere la propria carriera nel 2003 con indosso la maglia del Chievo Verona. Aveva 34 anni, siglò una memorabile tripletta alla Juventus, e spinse i clivensi al settimo posto in classifica, a un passo dalla Coppa UEFA. Rappresenta una delle storie più romantiche del calcio moderno, soprattutto se pensiamo al fatto che oramai il Chievo, un miracolo sportivo con pochi altri pari, non esiste più. Eppure, nonostante Bierhoff avesse concretizzato questo trasferimento inatteso e inaspettato, c’era chi era in procinto di realizzare qualcosa di molto più eclatante: era l’Udinese, che nell’estate del 1999 stava per assicurarsi il talento di Thierry Henry.
Giovanissimo, alla sua seconda esperienza da professionista dopo aver vestito per cinque stagioni la maglia del Monaco, il centravanti francese, oggi assistente della nazionale belga, prima di diventare la bandiera dell’Arsenal e di sfoggiare tutta la sua classe longilinea con il Barcellona, accettò il trasferimento alla Juventus. Una scelta che non lo premiò, perché Marcello Lippi lo pretende per sostituire Alessandro Del Piero, KO per tutto il resto della stagione. Henry costa 21 miliardi di lire e riesce a farsi allenare da Lippi per pochi giorni: il tecnico, infatti, a febbraio rassegna le dimissioni e l’arrivo di Carlo Ancelotti, in corsa, non lo aiuta, soprattutto per l’equivoco tattico che porta il francese a giocare ala e non punta. La sua permanenza in bianconero è di appena sei mesi, nulla di più, per poi essere ceduto, sfuggendo a un rapporto da lui definito "tossico" con Luciano Moggi.
Insomma, la scelta di Henry non ha soddisfatto nessuno e l’allora amministratore delegato decide di puntare forte su Marcio Amoroso, capocannoniere del campionato di Serie A con 22 reti in 33 partite e in forza all’Udinese dal 1996. L’attaccante brasiliano era arrivato dal Flamengo per chiara volontà del presidente Pozzo e al suo terzo anno in Serie A sta conquistando tutti, a partire dalla città di Udine. La Juventus lo desidera prepotentemente, anche perché non ha ben chiaro quanto rimarrà fuori ancora Del Piero e ha necessità di correre ai ripari.
Pierpaolo Marino, direttore generale dell’Udinese all’epoca, si presenta gagliardo alla trattativa, pronto a chiedere una contropartita tecnica che, col senno di poi, avrebbe cambiato di sicuro le sorti di Henry e dell’Udinese stessa. Sul piatto c’è il cartellino di Amoroso e in cambio l’Udinese chiede metà del cartellino dell’attaccante francese più 55 miliardi di lire. Con una valutazione di 21 per l’ex Monaco, la richiesta è altissima. I due giocatori, però, non ci stanno: il brasiliano vuole il Parma, per legarsi ai ducali e spingere i bianconeri ad accettare l’offerta monstre di 70 miliardi di lire; Henry, dal suo canto, di andare in Friuli non ne ha proprio intenzione. L’Udinese, allora, si lancia su un’alternativa che porta il nome di Hernan Crespo: l’argentino rischia di non avere più spazio in maglia ducale per l’arrivo di Oliver Bierhoff – che, avete visto, è tornato utile alla nostra storia – e deve cambiare aria. Alla fine, però, il tedesco non va a Parma, Crespo resta là dove si era trasferito e l’Udinese resta con il cerino in mano.
“Chiudemmo l’affare con Moggi e Giraudo. Ho ancora il contratto preliminare di quella trattativa” ha dichiarato Marino anni dopo a DAZN, con il rammarico di aver perso una grande occasione. Per Henry quella proposta era un’offesa a quella che era la sua qualità atletica e di professionista: dopo appena sei mesi era stato inserito come pedina di scambio in un affare che non aveva per lui grandi prospettive, non quante ne avrebbe avute all’Arsenal. D’altronde, i Gunners lo avevano già cercato quando era al Monaco, salvo poi farsi sfuggire l’affare a causa dell’inserimento della Juventus, stavolta vincente, diversamente dalle altre trattative che vi abbiamo raccontato. Eppure, dopo metà anno le strade si erano separate per non ritrovarsi mai più e regalando alla Juventus, quasi come Roberto Carlos fu per l’Inter, uno dei più grandi dispiaceri e rammarichi del calciomercato.
A Londra, sponda Arsenal, Henry divenne uno dei più forti attaccanti della sua generazione, capace di vincere due Premier League con 228 gol, sfruttando la compagnia di giocatori come Ljungberg, Pires, Vieira e Bergkamp, con i quali nel 2014 vinse il campionato senza mai perdere una gara.
Amoroso, di rimando, non si replicò a Parma e l’unico trofeo che alzò in Italia fu la Supercoppa Italiana del 1999, proprio di quell’estate, senza mai riuscire a ottenere altre gioie. Nel 2001, due anni dopo, si trasferì al Borussia Dortmund, per poi dare il via a una sequela di cambi di maglia che non lo condusse a niente, se non a una sparuta apparizione al Milan, tanto fugace quanto dimenticabile.
Henry, che col Monaco aveva già vinto due trofei nazionali, con il Barcellona vinse poi una Champions League, una Supercoppa UEFA, un mondiale per club e ripetuti trofei nazionali, già da fresco campione del mondo con la Francia di Zinedine Zidane. Con buona pace di Marino, dell’Udinese e della Juventus.




