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Thierry Henry JuventusGetty Images

Storia di un equivoco tattico: i sei mesi da incubo di Thierry Henry alla Juventus

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Sette mesi, tante ombre, poche luci. Un passaggio a vuoto, un inciampo in una carriera fatta di trionfi. Eppure, tra Thierry Henry e la Juventus, nel 1999, andò tutto storto. I 196 giorni più difficili della carriera del fuoriclasse francese. Un uomo da 400 goal relegato sull’esterno, in un ambiente sfavorevole, impaziente e deluso. Troppo, per un ventunenne.

Nel 1998 Thierry Henry è già diventato campione di Francia col Monaco,campione del mondo con la nazionale francese. Ha esordito neanche diciassettenne, per volontà di Arsène Wenger.

Il suo mentore, il suo maestro. L’uomo a cui legherà la sua carriera, con cui diventerà uno dei migliori attaccanti, se non il migliore, degli anni 2000. Nel 1998, però, Thierry Henry è un’ala. Secondo Wenger - che qualche anno dopo ci ripenserà - secondo i tecnici in nazionale, secondo gli allenatori del Monaco. Un meraviglioso esterno offensivo in grado di dribblare chiunque, accelerare in ogni attimo, con problemi a vedere la porta. Soltanto 20 goal in 105 partite con il Monaco. A quelli, nel 4-3-3, pensava Trezeguet.

Poi, d’improvviso, il 19 gennaio 1999, la Juventus. Luciano Moggi cercava dei rimpiazzi per Alessandro Del Piero, che a Udine si era procurato l’infortunio al ginocchio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. La Juventus senza di lui era crollata. Servono rinforzi. Arrivano Juan Esnaider, l’unico uomo in grado di strappare la 7 del Real Madrid a Raul, e, per l’appunto, Thierry Henry. A sorpresa, nel giro di un battito di ciglia. Moggi lo porta a Torino. Anzi, secondo l’agente di Henry, lo strappa al Monaco. Letteralmente.

“Henry è stato rapito, vittima delle pressioni del Monaco”.

Il Monaco avrebbe rifiutato un’offerta più alta dall’Arsenal. La Juventus lo prende a prezzo di saldo: 21 miliardi di vecchie lire, circa 11 milioni di euro. Wenger lo aveva chiamato per convincerlo. Niente da fare. Trattativa lampo nel giro di pochissimo, volo per Torino e firma.

È l’ultima Juventus di Lippi, a fine ciclo, con un addio già certo a fine stagione e anche l’arrivo di Ancelotti già pronto. Cambio anticipato a febbraio. Henry, intanto, inizia a giocare nel 4-3-1-2 di Lippi. Qualche comparsa da seconda punta, convincendo in parte. Meglio sull’ala, forse. Con Ancelotti e il cambio modulo, il passaggio al 4-4-2 e al 3-5-2, Henry viene dirottato a sinistra. Lontano dalla porta, lontano dall’area.

"Mi hanno messo sulla fascia. Quando eravamo in fase difensiva, mi trovavo in difesa. In attacco invece dovevo fare la terza punta. Era tutto nuovo per me. Ho giocato quasi tutte le partite senza capire bene il ruolo".

Thierry Henry Juventus 1999Getty

La sostanza rimane la stessa: dribbla tutti, ma conclude pochissimo, anche Gianni Agnelli sottolineò che aveva punti deboli. Bello, ma inconcludente. Carlo Ancelotti in seguito ammetterà a ‘Repubblica’ che non si era reso conto dell’equivoco tattico.

“Non mi resi conto che Thierry Henry non era un’ala. Non pensavo che potesse giocare centralmente, non mi ha mai detto che ne fosse capace”

Due partite cambiano la prospettiva. Entrambe contro le romane. Contro la Roma, da esterno sinistro, fa impazzire un certo Cafù. Contro la Lazio, ancora partendo dall’ala, segna una doppietta quasi casuale, con una papera di Marchegiani e una deviazione fortunosa.

Non sono gli unici due goal bianconeri, ne farà un terzo al Venezia, all’ultima. È una delle poche soddisfazioni della Juventus in stagione, chiusa al settimo posto, uscendo in semifinale di Champions League. Dove comunque Henry, avendo già giocato in Coppa Uefa col Monaco, non poteva giocare.

Inizia la stagione successiva nell’organico bianconero, poi arriva la rottura definitiva. Luciano Moggi lo offre all’Udinese per provare ad arrivare a Marcio Amoroso, lui rifiuta. Si infuria.

"Moggi voleva fare un affare vendendomi e credo non sia stato rispettoso nei miei confronti ciò che fece. Se non fosse per lui, sarei rimasto alla Juventus".

Qualche settimana dopo, la chiamata di Wenger. Casualmente, raccontò il ‘Guardian’, i due si erano incrociati in aereo qualche settimana prima. Il suo monito era chiaro: non sprecare tempo.

“Stai perdendo tempo a giocare sull’ala, tu sei un numero nove”.

Il 4 agosto, il matrimonio più di successo nella storia dell’Arsenal. Il resto è storia. E rimpianto per la Juventus, forse il più grande nella storia recente bianconera.

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