GOALPassaggio di Youri Djorkaeff a premiare Salvatore Fresi che, dai venticinque metri, con un violento esterno destro scaraventa il pallone all’incrocio dei pali, lì dove Sterchele proprio non può arrivare. L’impatto con la sfera è così perfetto che il 7 nerazzurro, nel momento stesso in cui calcia, dà l’impressione di iniziare ad esultare.
E’ il goal che il 5 gennaio del 1997 manda in archivio una sfida tra Inter e Roma che si concluderà con un 3-1 a favore dei meneghini, ma è anche una di quelle prodezze balistiche che di solito il lunedì successivo si guadagnano un posto sulle prime pagine di tutti i quotidiani sportivi nazionali. Di solito… perché qualche minuto prima proprio Djorkaeff ha deciso di ritagliarsi il suo posto nella storia del calcio italiano segnando il momentaneo 2-0 con gesto tecnico che da molti è stato semplicemente definito “la più bella rovesciata di sempre”.
L’appuntamento con ‘l’immagine da copertina’ Fresi se lo vedrà rinviare a data da destinarsi, ma intanto è stato tra i protagonisti di una gara che ha permesso all’Inter di tornare alla vittoria dopo sei turni d’attesa e lo ha fatto da centrocampista. Non propriamente il suo ruolo.
E’ infatti nato e cresciuto come difensore centrale, ma paradossalmente sono state le sue qualità migliori a creare più di un equivoco tattico. Dotato di ottima tecnica, ha sempre giocato con la testa alta cosa che, abbinata ad un buon piede, gli ha anche permesso di sventagliare il pallone in avanti, a destra e sinistra con estrema facilità. Detta così, sembra quasi che Fresi fosse il prototipo del regista perfetto, ma in realtà la sua naturale posizione in campo era molti metri più indietro, da dove poteva ‘teleguidare’ di compagni di reparto e agire da ‘libero’. Anzi, di lui si può ben dire che è stato uno degli ultimi veri liberi del calcio italiano.
Ha iniziato a far parlare di sé fin da giovanissimo, guadagnandosi, quando era ancora in C1 con la Salernitana, le attenzioni dello staff tecnico di quel Cesare Maldini agli ordini del quale qualche anno dopo, nel 1996, vincerà da protagonista gli Europei di Under 21.
E’ uno dei ragazzi dell’incredibile generazione che vedrà poi molti dei suoi talenti laurearsi campioni del mondo nel 2006 e lui, in quel gruppo di futuri fenomeni, occupa una posizione di tutto riguardo. Fin dai tempi delle giovanili, si è infatti guadagnato il soprannome di ‘Nuovo Baresi’ e all’epoca pensare ad un ‘complimento’ più grande per per un difensore era praticamente impossibile.
“E' stata un'etichetta che ho dovuto subire per tanti anni - racconterà tempo dopo a ‘Sky’ - lui era un campione io lo dovevo ancora dimostrare”.
Quando nell’estate del 1995 l’Inter, alla prima campagna acquisti dell’era Moratti, se lo assicura sborsando ben 7 miliardi di lire, lo fa perché Ottavio Bianchi vede in lui il leader chiamato a guidare la difesa nerazzurra negli anni a venire.
Per Fresi tuttavia di lì a qualche mese tutto cambierà ed il suo personalissimo ‘sliding doors’ coinciderà con l’approdo sulla panchina dell’Inter di Roy Hodgson che, viceversa, lo considererà un elemento ideale per il suo rombo di centrocampo. Nel giorno in cui l’Inter batterà la Roma anche grazie a quel suo siluro da fuori area, il ‘Nuovo Baresi’ verrà schierato in cabina di regia tra Winter e Sforza e una quindicina di metri dietro a Djorkaeff.
“Questa cosa mi ha penalizzato sicuramente - ha ricordato a ‘Il Posticipo’ - Giocare fuori ruolo non è stato il massimo”.
Fresi è uno dei punti fermi dell’Inter di Hodgson, ma di fatto si ritrova a vivere un’annata nella quale non avrà la possibilità di esprimersi al massimo con continuità. Nel momento più importante della sua carriera saranno in molti a porsi il dubbio su che tipo di giocatore sia effettivamente e la cosa finirà per cambiare il senso della sua esperienza in nerazzurro.
Militare nell’Inter, la squadra del suo cuore, rappresenta comunque per lui un sogno, e viverlo può anche voler dire arrendersi a qualche compromesso. Di fatto, quella in nerazzurro resterà l’esperienza più importante della sua carriera, quella che gli regalerà la gioia più grande, ma anche la delusione più cocente.
GettyCon Gigi Simoni come allenatore e Ronaldo come compagno di squadra (“Lui era il più forte di tutti”) vincerà una Coppa Uefa da protagonista (e da libero…), ma vedrà anche svanire la possibilità di arrivare ad uno Scudetto che ad un certo punto era sembrato già in qualche modo in bacheca. Buona parte di queltricolore verrà strappato dal petto delle maglie nerazzurre il 26 aprile 1998: è il giorno del famoso Juve-Inter del contatto Iuliano-Ronaldo.
“È una cosa indelebile: quello che era successo era sotto l'occhio di tutti, tutti lo hanno visto e anni dopo hanno scoperto come sono andate le cose - ha detto ancora a ‘Il Posticipo’ - Fa male perché quell'anno l'Inter era la favorita per vincere lo Scudetto, ma alla fine non è andata cosi e ci siamo rimasti male. Avevamo una bella squadra e un sacco di punti di vantaggio, ma ci siamo ritrovati a perdere il campionato alle ultime giornate”.
Il ciclo interista di Fresi è intanto giunto alla conclusione. Con il diminuire dello spazio a disposizione, in lui matura la decisione di ripartire da lì dove tutto era iniziato: da Salerno.
Con la maglia della Salernitana torna a sentirsi protagonista, ma le sue prestazioni e la tanta esperienza messa a disposizione della squadra non basteranno per evitare la retrocessione.
Tornerà all’Inter per un ‘ultimo giro’ da comprimario con Marcello Lippi in panchina e poi si trasferirà nell’estate del 2000 in quello che verrà ricordato come uno dei Napoli peggiori di sempre: quello che retrocederà in Serie B da penultimo in classifica.
A ventotto anni Fresi sembra essersi già incamminato verso il viale del tramonto, ma proprio quando ormai di lui si inizia a parlare come di un giocatore che ‘sarebbe potuto essere… ma che non è stato’, sforna la miglior stagione della sua carriera: quella che sembra riportarlo ad un centimetro da quella maglia azzurra della Nazionale maggiore che non indosserà mai in partita.
A volerlo con forza sono il Bologna e Francesco Guidolin e lui, nell’annata 2001-2002, la sua unica in rossoblù, ripaga la fiducia segnando qualcosa come 8 goal in 25 partite di campionato. E’ il secondo miglior marcatore della squadra con due sole marcature in meno di Julio Cruz, che però fa il centravanti di professione e di partite ne ha giocate otto in più.
“Nella mia stagione a Bologna con Guidolin quegli otto goal portarono parecchi punti - ha ricordato al ‘Corriere della Sera’ - dato che diverse reti furono decisive”.
-L’exploit di Bologna non varrà l’esordio in azzurro, ma lo spingerà nuovamente nel giro delle big. Nell’estate del 2002 sarà la Juventus a puntare su di lui e proprio con quella stessa ‘Vecchia Signora’ che anni prima gli aveva negato la gioia di salire sul tetto d’Italia con l’Inter, vincerà l’unico Scudetto della sua carriera.
“Nell'Inter ero protagonista, alla Juventus sono stato messo da parte - svelerà a ‘La Nuova Sardegna’ - Sinceramente il ricordo più bello resta la Coppa Uefa”.
Effettivamente all’ombra della Mole vestirà più che altro i panni della riserva di lusso e quando saluterà Torino pochi mesi dopo aver vinto il campionato, lo farà avendo totalizzato una sola presenza in Coppa Italia nell’arco di mezza stagione. Nel gennaio del 2004 ripartirà da Perugia per vivere gli ultimi mesi da calciatore di Serie A, poi scenderà in B per le parentesi al Catania e ancora alla ‘sua’ Salernitana, prima delle ultime sedici partite, condite da cinque goal, vissute con la maglia della Battipagliese addosso in Eccellenza.
“Dopo la Juve la mia carriera era finita - ha spiegato a ‘Sky’ - non è facile fare un passo indietro, ho mollato anche mentalmente e con mia moglie abbiamo deciso che era giusto smettere".
In lui in tanti avevano intravisto il ‘Nuovo Baresi’, ma certe vette non le raggiungerà mai. Nessuno potrà mai tuttavia non riconoscere a Fresi il fatto di essere stato per un decennio uno dei grandi protagonisti di quella che è probabilmente stata la Serie A migliore di sempre.
Forse, per quello che era il suo modo di giocare, sarebbe dovuto nascere dieci anni prima, ma ha saputo comunque ritagliarsi il suo spazio in un calcio nel quale posto per difensori come lui ce ne era poco. Probabilmente è anche per questo motivo che è ricordato come uno degli ultimi veri liberi italiani.
