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Mancini, il "Tacco di Dio" campione alla Roma e flop a Milano

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Una carriera composta da vette molto alte e profondità molto ime. Un po' come il panorama montano che circonda Belo Horizonte, città che gli ha dato i natali il 1 agosto del 1980. Se ancora non avete capito di chi stiamo parlando, eccovi accontentati: il protagonista di questa storia è Alessandro Amantino Faiolhe, meglio noto come Mancini.

Brasiliano in tutto e per tutto, non vive la drammatica infanzia che tocca a molti dei suoi connazionali ma cresce in una famiglia di media estrazione. E' la nonna a trovargli il soprannome che lo accompagnerà per tutta la sua carriera.

La natura docile del piccolo Amantino spinge l'ava a chiamarlo "mansinho" (in italiano traducibile come "mansueto"). A cambiarlo in Mancini una volta per tutte è invece Toninho Cerezo, suo concittadino e allenatore ai tempi dell'Atletico Mineiro.

Questo rapporto nasconde un segnale premonitore per Mancini, che viene segnalato proprio dal suo tecnico alla Roma dopo una serie di stagioni nel corso delle quali si è distinto per la propensione offensiva e la capacità di trovare la via del goal.

Franco Baldini, all'epoca direttore sportivo della Roma, non se lo fa sfuggire e lo prende nell'estate del 2002 per metterlo a disposizione di Fabio Capello.

L'aereo che lo porta in Italia non ha però per destinazione Fiumicino, ma quello di Venezia-Tessera. Il brasiliano viene infatti ceduto in prestito per il resto della stagione al Venezia, dove accumula le prime presenze e i primi goal italiani.

Ma l'approccio con il nostro calcio non è roseo per Mancini. A Venezia si creano tensioni con Gianfranco Bellotto, tecnico dei lagunari. A quest'ultimo non piacciono le leziosità tipicamente carioca che caratterizzano lo stile di gioco dell'ex Atletico Mineiro.

A metà stagione, dopo 13 presenze con il Venezia, Mancini rientra alla Roma e incassa la fiducia di Fabio Capello. Non proprio uno semplice da convincere. Basti pensare che avrebbe sacrificato l'allora sconosciuto Daniele De Rossi alla Juventus pur di ottenere Edgar Davids.

La partita che cambia per sempre l'esperienza di Amantino Mancini e lo lega in maniera indissolubile alla storia della Roma è - come per diversi altri suoi colleghi passati e futuri - il derby contro la Lazio. Il 9 novembre 2003, di fronte a 70mila spettatori, va in scena un derby sul filo dell'alta tensione.

Il risultato non si sblocca per tutta la prima frazione e anche per gran parte della seconda. Le occasioni da goal si contano sulle dita di una mano e sono inferiori al numero di cartellini gialli che vengono estratti dall'arbitro Trefoloni.

Si arriva al minuto 80 con un calcio di punizione battuto a mezza altezza dalla destra da Antonio Cassano. Il cross, tutt'altro che pennellato, viene deviato di tacco da Amantino Mancini e termina alle spalle di Peruzzi sotto la Curva Sud. C'è tempo anche per il 2-0 targato Emerson, ma i riflettori sono puntati tutti su Amantino, che da quel momento diventa nella Capitale "Il Tacco di Dio".

Seguiranno altre 5 stagioni in giallorosso, durante le quali Mancini si aggiudica due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana e sfiora uno Scudetto.

Ma soprattutto si regala una notte da protagonista al Gerland di Lione. La Roma si presenta alla sfida di ritorno degli ottavi di finale di Champions League dopo lo 0-0 ottenuto con sacrifici e qualche brivido di troppo, con Juninho Pernambucano che stampa sul palo una delle sue celebri punizioni.

In quel momento, l'Olympique è una delle squadre più forti in circolazione. Sette volte campione di Francia, la squadra allenata da Gerard Houllier è una delle due nuove rampanti d'Europa insieme al Chelsea di Abramovich.

La sfida in terra francese sembra dunque una passeggiata di salute per i padroni di casa, che invece vengono letteralmente travolti dai giallorossi. Spalletti imbriglia le pericolosità offensive del Lione e si pone in maniera devastante in fase offensiva.

Un goal regolare annullato a De Rossi, poi ci pensa Totti a sbloccare il risultato al termine di una ripartenza letale. Ma la vera gemma di quella sera la incastona Amantino Mancini. Il brasiliano riceve palla da destra su uno spiovente di Marco Cassetti, mette giù palla e punta l'avversario di turno.

Il malcapitato è Anthony Reveillere, intontito con una serie di finte e superato dal numero 30 romanista, che piazza la palla nell'angolo più recondito della porta difesa da Coupet e porta la Roma tra le prime otto squadre della Champions League 2006-2007.

Amantino Mancini RomaGetty

I rapporti troppo lunghi corrono però il rischio di deteriorarsi. E quello tra la Roma e Mancini non è da meno. Le sirene dell'Inter si fanno sentire forte e chiaro, con un totem come José Mourinho che lo vuole per rinforzare l'attacco nerazzurro.

La trattativa è complessa, perché i nerazzurri sanno delle difficoltà economiche dei rivali di quegli anni e puntano ad abbassare il prezzo. Il tira e molla va avanti fino a metà estate, ma alla fine si concretizza sulla base di una quindicina di milioni di euro tra parte fissa e variabili legate a rendimento e piazzamenti.

Il passaggio a Milano non è foriero di un buon destino per Mancini. Mou lo estromette dal suo progetto tecnico dopo poche partite, non trovando in lui quelle qualità che invece aveva dimostrato di possedere nel lustro capitolino.

Un guizzo il brasiliano lo vive in Champions nella sfida dei gironi contro il Panathinaikos, segnando la sua unica rete in nerazzurro prima di fare le valigie e trasferirsi.

Alessandro Amantino Mancini InterGiuseppe Cacace/Getty Images

Serve una smossa per provare a rilanciarsi. E Amantino decide senza fare nemmeno troppa strada. Gli basta guadare il Naviglio per trovare accoglienza dal Milan.

Ma anche la parentesi rossonera è meno felice di quanto ci si potesse immaginare e non solo per quanto riguarda il campo. Anche fuori Mancini vive vicende giudiziarie sul cui esito non è mai stata fatta chiarezza.

Assunta la consapevolezza che in Italia il suo ciclo sembra finito, non resta che provare a ricaricare le pile a casa propria.

Mancini impacchetta i bagagli e torna in Brasile, all'Atletico Mineiro, chiudendo il cerchio che si era aperto proprio lì.

Il resto della sua carriera lo trascorre tra la Serie A e la Serie B carioca, uscendo definitivamente dai radar del calcio di un certo lignaggio.

Appesi gli scarpini al chiodo dopo l'ultima esperienza con l'America, Amantino intraprende il percorso da allenatore. Dopo un lungo periodo di studio e preparazione, consegue il patentino da allenatore di prima categoria UEFA PRO.

E parte dall'Italia, accettando l'offerta del Foggia in Serie D. Un percorso che dura meno di un mese e si esaurisce tra il mese di agosto e i primi di settembre per il risultati non entusiasmanti.

C'è sempre il Brasile, foriero di soddisfazioni per Mancini nei momenti più complicati. Da due anni, l'ex esterno guida con alterne fortune il Villa Nova. Magari un giorno tornerà in Italia ad allenare, prendendosi quella gloria che con la Roma ha raggiunto per un breve periodo prima di crollare rapidamente nel dimenticatoio.

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