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Juninho GfxGetty Goal

Juninho Pernambucano, il reuccio delle punizioni che ha ispirato Pirlo

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Anche i maestri hanno un maestro. E pure il Maestro con la emme maiuscola, ovvero Andrea Pirlo, rientra nella categoria di coloro che hanno imparato qualcosa da qualcun altro. Nella fattispecie, da Antonio Augusto Ribeiro Reis Junior, Juninho Pernambucano per il grande pubblico, 49 anni oggi. Il re dei calci di punizione, la vera fonte d'ispirazione dell'ex allenatore della Juventus, che quando giocava provava in tutti i modi a riprodurre quel che aveva visto in televisione assistendo alle esibizioni dell'OL.

"Quando calcio le punizioni penso in portoghese, poi al limite esulto in italiano - ha scritto Pirlo nella propria autobiografia "Penso quindi gioco" - Le tiro alla Pirlo, sono palloni che viaggiano con l'effetto, racchiusi dentro una definizione che non mi dispiace, dentro una parabola quasi biblica. Portano il mio nome, come se fossero tutte figlie mie. Si assomigliano ma non sono gemelle, pur avendo tutte una matrice sudamericana, in particolare una stessa fonte d'ispirazione: il centrocampista Antonio Augusto Ribeiro Reis Junior, passato alla storia come Juninho Pernambucano. Quando giocava nel Lione sapeva inventare traiettorie straordinarie, posava la palla in terra, si contorceva rapito da movimenti non convenzionali, prendeva la rincorsa e faceva goal. Non sbagliava mai, ho guardato le statistiche e ho capito che non poteva essere un caso. Un direttore d'orchestra montato al contrario, con la bacchetta tra i piedi, uno che il segno di "ok" lo faceva con l'alluce, non con il pollice. Uno scherzo ben riuscito dell'Ikea. L'ho studiato, ho raccolto CD, DVD, addirittura vecchie fotografie delle sue partite, e alla lunga ho capito. Non è stata una scoperta immediata, ci sono volute pazienza e costanza. Calciava in maniera particolare, e questo era evidente, mi era chiaro il modo ma non il metodo. Quindi andavo al campo e provavo a imitarlo, all'inizio senza alcun risultato. Le prime volte il pallone finiva due metri sopra la traversa, o tre metri sopra il cielo [...] L'illuminazione è arrivata mentre mi trovavo in bagno. Sarà poco romantico, ma è andata esattamente così. La ricerca della verità non mi abbandonava mai, pensavo sempre a quello e nell'istante dello sforzo massimo hanno ceduto gli argini, in tutti i sensi: la ricetta della magia che stavo inseguendo non dipendeva dal punto in cui veniva colpita la palla, ma dal come. Juninho non la prendeva con tutto il piede, bensì con sole tre dita ".

La "maledetta" di Pirlo, la traiettoria impazzita che consacra il campione del Mondo 2006, nasce così. Incastonata in un contesto di rispetto reciproco. Andrea e Juninho si sono incontrati nel giugno del 2014 a Mangaratiba, un centinaio di chilometri da Rio de Janeiro, sede del ritiro della Nazionale di Prandelli ai Mondiali di quell'estate. La foto ha fatto il giro del Mondo: il brasiliano stringeva tra le mani una maglia della Seleção su cui campeggiava il numero 21 di Andrea. Che a sua volta ha regalato alla sua fonte primaria d'ispirazione una casacca azzurra, sempre col numero 21, con tanto di dedica: “Con affetto e grande ammirazione”.

“Pirlo è il calciatore più completo del nostro ruolo, con uno stile di gioco che ha segnato una generazione intera – ha detto in quell'occasione Juninho – Conoscerlo è un onore per me. Ha disputato una carriera eccezionale, migliore della mia. Per quanto riguarda le punizioni, io credo di essere più bravo da lontano e lui quando la palla è nei pressi dell'area ”.

Anche il maestro del Maestro, ovvero Juninho, ha avuto a sua volta un maestro. Anzi, più maestri. Roberto Carlos e l'ex genoano Branco, intanto. Solo che i due mancini le punizioni le calciavano in maniera diversa, più potente, senza quel mix di forza ed eleganza che ha rappresentato l'unicità delle sue esecuzioni. Ma nell'elenco dei modelli è presente anche Marcelinho Carioca, idolo della storia del Corinthians, autore di 57 reti da fermo in carriera: “È il primo che ho visto colpire la palla e farla danzare nell'aria, il che significa che quella tecnica in realtà non è mia”.

Juninho ha messo a segno una ventina di goal in più su punizione rispetto al connazionale: 77. Suddivisi tra Sport Recife, Vasco da Gama, Lione e ancora Vasco, più una spruzzata di Al-Gharafa e New York Red Bulls. Non è record: quello appartiene a Marcos Assunção, l'ex centrocampista campione d'Italia con la Roma nel 2001, che ne conta 124. Nel 2011, però, lo storico Ken Bray ha eletto proprio l'ex Lione miglior battitore di punizioni della storia del calcio. “Ma in Brasile, storicamente, il più bravo di tutti è stato Rogerio Ceni”, è stata la risposta del modesto Juninho.

La prima perla da piazzato arriva a 19 anni con lo Sport, in un 2-0 al Gremio. Juninho inizia a giocare nello Stato del Pernambuco, nord-est del Brasile, ma lì è conosciuto appena come Junior. Diventerà “Pernambucano” solo qualche anno più tardi, al Vasco, per differenziarsi dall'ex Atletico Madrid Juninho Paulista. A Rio arriva nel 1995 e riceve il soprannome di “Reizinho” (reuccio). Sul finire degli anni 90, il Gigante da Colina vince praticamente tutto: due volte il campionato nazionale (1997 e 2000), una volta la Copa Libertadores (1998). Nell'anno del trionfo continentale è una sua prodezza da distanza siderale in casa del River Plate, naturalmente su punizione, a regalare al Vasco la qualificazione alla finale. Ancor oggi è conosciuto come il “goal Monumental”, evidente riferimento allo stadio degli argentini.

Juninho Pernambucano - River Plate vs Vasco - Libertadores 1998Divulgação/Vasco.com.br

Già nei suoi primi anni di carriera, Juninho è un centrocampista raffinato in campo e un professionista a 360 gradi fuori. Non ama le distrazioni, è concentrato sulla propria carriera. L'ex compagno Chiquinho, che allo Sport condivideva con lui la stanza in ritiro, ricorda che “alle 22 pretendeva che spegnessi la televisione, perché voleva dormire. Così prendevo il mio walkman, ma lui si infuriava lo stesso, perché la musica lo disturbava nonostante le cuffie”.

L'Europa non si lascia sfuggire un giocatore così. Nel 2001, a 26 anni compiuti, lo prende il Lione, che non deve sborsare nulla per il cartellino: Juninho ha infatti rescisso unilateralmente con il Vasco, dopo averlo citato in Tribunale a causa di un mancato aumento di stipendo, e arriva in Francia gratis. Il brasiliano è reduce da sei mesi senza giocare a causa del litigio col suo ex club. Inizialmente è timido, non conosce una parola di francese. Lo accoglie il connazionale Sonny Anderson, centravanti di quell'OL in rampa di lancio allenato da Jacques Santini. Lo conoscono in pochi, Juninho. E in pochi, se non nessuno, possono ancora sospettare che quell'estate segnerà l'inizio di un'epopea.

Nelle sue otto stagioni in Division 1 e poi Ligue 1, Juninho Pernambucano vince il campionato sette volte. Di fila. Prima del suo arrivo l'OL non ha trionfato neppure una volta, nonostante sia reduce da un secondo posto alle spalle del Nantes. Quando se ne va, nel 2009, è diventato la squadra guida del calcio francese. Una serie strepitosa di trionfi interrotta solo dal Bordeaux, prima che qualche anno più tardi il Qatar decida di imprimere una svolta alla storia recente del Paris Saint-Germain.

Il brasiliano che non spiccicava una sola parola di francese diventa titolare, poi beniamino, poi capitano. E segna spesso. 100 reti in totale in 344 partite, un'enormità per un centrocampista, di cui 44 su calcio di punizione. Sempre con quelle tre dita a imprimere al pallone una traiettoria impazzita alla Holly e Benji. Juninho li trasforma da vicino e da lontano, centralmente o lateralmente, centrando l'angolo alto o quello basso. Come se calciasse rigori fuori area. Negli ottavi di finale della Champions League 2008/09 punisce il Barcellona con un'incredibile esecuzione da posizione defilatissima, centrando l'incrocio opposto. A proposito, al Barça ha segnato ben quattro volte. Ma tra le sue vittime ci sono anche il Real Madrid e Bayern.

“Mi piace l’approccio con una rincorsa dritta, colpire la palla con l’interno del piede come se si trattasse di un passaggio, ma con più potenza. Colpire il centro della sfera e guidarla. Ciò crea un effetto violento che confonde il portiere. Questo effetto è stato chiamato ‘knuckleball’”.

Juninho Pernambucano Lyon 30 01 2017Getty Images

Juninho è il primatista di trionfi nel campionato francese: sette, gli unici della storia del Lione. Come lui gli ex compagni di squadra Gregory Coupet e Sydney Govou, oltre a Marco Verratti, che potrebbe però staccare tutti tra qualche mese. Nel corso delle stagioni condivide lo spogliatoio con Benzema, Abidal, Wiltord, Essien, Carew, Michel Bastos e compagnia vincente. Con la maglia dell'OL è stato espulso una sola volta, nel 2006 contro il Rennes. Qualche mese più tardi ha acquisito la nazionalità francese. Giovanna, Maria Clara e Raphaela, le sue tre figlie, sono nate lì.

A Lione fa la conoscenza per 12 mesi di Miralem Pjanic, arrivato dal Metz nel 2008, un giovane che "già allora mostrava tanta personalità e si capiva chiaramente che avrebbe avuto un futuro importante". L'ex centrocampista di Juventus e Barcellona, così come Pirlo, è un altro degli infiniti eredi che hanno preso ispirazione dal suo modo di trattare il pallone.

“È stato grandioso lavorare con lui, vedere come si allenava e come colpiva la palla.Noi spettatori e giocatori, io per primo, sapevamo che Juninho avrebbe potuto sbloccare la partita in qualsiasi momento con un calcio di punizione”.

Juninho e il Lione fanno razzia di trofei in Francia, ma mancano l'ultimo passo: quello continentale. È un bell'OL, quello, che spesso fa la festa pure al Real Madrid e sogna concretamente di aggiungersi al tavolo delle grandi europee, ma non va oltre una semifinale di Champions League (nel 2010, quando il brasiliano già non c'è più). È il vero rimpianto della carriera di Juninho assieme al rapporto con la Nazionale brasiliana, in cui comunque ha segnato 7 volte in 43 presenze. Nel 2002 anche lui spera di andare ai Mondiali di Giappone e Corea, ma non viene convocato. Quattro anni più tardi viene chiamato per l'edizione tedesca, ma il Brasile si arena ai quarti contro la Francia. E lui decide di chiuderla lì.

Il suo mondo totale resta per qualche altro anno il Lione, che lascia nel 2009. Già da qualche mese la sua intenzione di mettersi alla prova altrove è divenuta chiara a tutti. I tifosi provano a fargli cambiare idea con uno striscione affisso in curva: “Fica com nós”, ovvero “resta con noi”. Inutilmente. Quando siede in conferenza stampa accanto al presidente Aulas, andandosene poi senza dire una parola, all'OL capiscono che un'era è finita.

“Come potremo dimenticarti? – lo saluta il sito del Lione al momento dell'addio, rivolgendosi a lui in prima persona – Tutti questi momenti speciali devono essere ora riposti nell'armadio dei ricordi. Juni, non prenderanno polvere così velocemente. Ho avuto il privilegio di presenziare a ciascuna delle tue 344 partite. Sono stato deliziato dai tuoi passaggi, dai tuoi dribbling, dai tuoi accessi di rabbia. Ho esultato per ogni tuo goal. Dalla tua punizione al Bayern contro l'immenso Kahn a quella ad Ajaccio da centrocampo. Quello col Marsiglia al termine di una corsa entusiasmante. La doppietta al Saint-Etienne. E tanti altri. Grazie, grazie di tutto”.

Juninho Lyon torcida adeus 2009AFP/Getty

Dopo la Francia ci prova la Lazio, ma i soldi del Qatar prevalgono su tutto. Juninho va a calciare qualche punizione all'Al-Gharafa, nel 2010 vince il campionato pure lì e poi, dopo parecchie titubanze dovute al timore di non essere più quello di qualche anno prima, decide di tornare a casa. Vasco da Gama, di nuovo. Dove lo accolgono come un reizinho, dimenticando la brusca separazione di una decina d'anni prima. E dove il reizinho si mischia con il popolo, accettando di giocare in cambio di un salario minimo per aiutare il club, in difficoltà economiche:

“L'anno scorso, quando il Vasco lo ha contattato, non sapeva se avrebbe continuato a giocare oppure no – rivela all'epoca l'ex compagno allo Sport Sandro, grande amico di Juninho – A quel tempo mi ha rivelato di avere tre opzioni in testa: chiudere la carriera al Vasco, chiudere la carriera allo Sport oppure abbandonare il calcio giocato per iniziare a fare l'allenatore. La sua più grande paura era quella di tornare a São Januario e non riuscire ad avere un buon rendimento a causa dell'età ”.

Il timore si scioglie a poco a poco. Il Vasco di Juninho e dell'ex napoletano Allan gioca un grande calcio, nel 2011 arriva secondo e l'anno successivo esce dalla Libertadores ai quarti di finale. Il pernambucano è il cervello della squadra, tanto che lo chiamano i New York Red Bulls di Thierry Henry. Sei mesi in MLS, l'ennesimo ritorno al Vasco, la decisione definitiva di dire stop dopo un serio infortunio a una coscia e la retrocessione in Serie B. Il 29 gennaio del 2014, il giorno prima del suo trentanovesimo compleanno, Juninho lascia il calcio.

Il resto è storia recente. Nel 2019 il ritorno di Juninho al Lione, questa volta da direttore sportivo, rappresenta un emotivo ed emozionante ricongiungimento familiare. “Un giorno tornerò all'OL, sicuro, anche se non so ancora come e quando”, diceva anni prima. Promessa mantenuta. Con Rudi Garcia in panchina, gli ex dominatori di Francia caduti in disgrazia hanno rialzato la testa: nell'estate 2020 si sono issati di nuovo a un passo dalla finale di Champions League, come nel 2010, e hanno conquistato il quarto posto in campionato nell'annata successiva. L'avventura di Juninho nel ruolo di dirigente si è conclusa a gennaio 2022, 31 mesi dopo, con l'ex centrocampista che ha deciso di tornare a casa, in Brasile.

Il Lione ha perso, così la sua figura di riferimento dal punto di vista tecnico, ma l'obiettivo dell'Olympique è tornare a vincere e dare battaglia a Lille e soprattutto PSG. Anche senza un "direttore d'orchestra con la bacchetta tra i piedi".

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