Pubblicità
Pubblicità
Speaker's CornerGOAL

Juventus, quando a mancare è anche l’autocritica

Pubblicità

Diciamocelo chiaramente: in questo momento sparare sulla Juventus equivale a sparare sulla Croce Rossa. Un esercizio semplice, immediato e scontato. C’è spazio per tutti, ma proprio tutti. Con gli ex – in prima linea – accecati dal livore e, per certi versi, anche dalla compassione.

Chi lascia Torino, fondamentalmente, non le manda a dire. E ciò testimonia come il periodo storico per la Vecchia Signora sia dei più complicati. Al di là dei risultati – vitali per valutare la bontà o meno di un progetto – la sensazione è che la Juve stia attraversando una fase di stanca a livello dirigenziale. In una sola parola: vulnerabilità. Dunque, chiunque si sente in diritto di mettere nel mirino la fragile Madama.

Basti pensare a Matthijs De Ligt. Protagonista un giorno sì e l’altro pure di dichiarazioni sulla sua vecchia società, il centrale del Bayern Monaco si è soffermato più volte sulla differenza tra gli allenamenti in Italia e quelli in Germania. In terra teutonica, a detta di MDL, si lavora con maggiore intensità; mentre nel Belpaese – sempre secondo il pensiero dell’olandese – la precedenza viene data alla tattica. Frecciata.

Denis Zakaria, finito nelle ultime ore di mercato al Chelsea, l’ha buttata prima sulla tattica e poi sul rapporto personale con Allegri: “Max è una brava persona, posso dirlo con certezza anche se con lui parlavo poco. Forse la squadra non ha giocato molto bene l'anno scorso, il che è un peccato. Con quella rosa si può fare decisamente meglio, la Juve dovrebbe essere sempre in testa alla classifica e vincere 3-0 tutte le partite…”. Frecciatona.

Oggi è il turno di Dejan Kulusevski, ormai esponente illustre del Tottenham, intervistato dalla Gazzetta dello Sport: “Mentalmente andavo e vado sempre in campo per dare il massimo. Alla Juve, però, non funzionava nonostante mi impegnassi come faccio sempre. Sicuramente alla Juventus non mi sentivo benissimo per vari motivi e quando ti rendi conto che le cose non vanno, poi è difficile invertire la rotta restando nello stesso ambiente. Perciò la scelta di andare via dall’Italia è stata la migliore che potessi fare in quella situazione”. Frecciatina.

Ora, assodato che la Juve progettualmente negli ultimi anni abbia commesso molteplici errori da matita blu, viene da chiedersi come sia possibile che nessuno – e per nessuno s’intende davvero nessuno – non si inietti neanche una minima/issima dose di autocritica.

Perché al netto della guida tecnica, che ha le sue enormi responsabilità circa il momentaccio bianconero, i protagonisti erano e restano coloro che scendono in campo e che – nel bene e nel male – determinano le sorti di una squadra. Ecco, da qualche anno a questa parte la Juve è ben lontana dall’assomigliare – appunto – a una squadra. Ed è questa una delle colpe più grosse da attribuire all’allenatore, ovvero non essere riuscito a creare il benché minimo senso di appartenenza.

Pubblicità

ENJOYED THIS STORY?

Add GOAL.com as a preferred source on Google to see more of our reporting

0