Che il tifoso juventino sia deluso dalla “rumba” di Stamford Bridge ci sta, eccome. Che il tifoso juventino non comprenda la realtà, invece, no. Perché l'attualità parla di una squadra ottava in campionato, che ha due punti in più del Verona e che in questa prima parte di stagione ha già collezionato discrete figuracce.
Insomma, i miracoli accadono una volta sola. E il 29 settembre, grazie al lampo di Chiesa, la Signora s’è giocata il jolly – tra le mura amiche – contro il Chelsea. Non sempre la difesa posizionale paga, non sempre gli avversari incappano nella serataccia, non sempre il corto muso può salvarti. Già, il neologismo preferito di Max Allegri, nonché il fattore che ha contraddistinto fin qui il cammino del 2.0.
Da inizio stagione il canovaccio è sempre lo stesso: se mantengo la porta inviolata vinco, se subisco goal non la ribalto mai nella vita. In quanto la Juve 2021-2022 è questa qui: sfrutta le ripartenze, ma non sa imporre la sua identità (?). Questione di caratteristiche, ma soprattutto di lacune strutturali. Con tanti, troppi, giocatori sopravvalutati.
A Londra, ieri sera, sono volati i quattro in pagella. Da Alex Sandro a Bentancur, passando per Rabiot. Tutta gente profumatamente pagata con ingaggi inimmaginabili. Il brasiliano – asfaltato da James – è ormai un problema atavico e, giunto a trenta primavere, nemmeno di così immediata risoluzione. L'uruguaiano, alla quinta stagione all'ombra della Mole, s’è fermato al vorrei ma non posso. Mentre il francese, senza giri di parole, rappresenta uno dei più grossi flop della storia recente juventina; secondo solamente al tragicomico Ramsey.
La Juve ha tanti giocatori normali, pochi fuoriclasse, pochissimi leader. E la qualità si compra al mercato: solamente se hai soldi. Ragion per cui, investendo cifre ingenti, il Chelsea è diventato una corazzata. Mosse azzeccate: puntare sulla linea verde, affidare la panchina a Tuchel, pensare nel breve e lungo termine. Il premio? La Champions League. Scusate se è poco.
Un altro mondo, un'altra unità di misura. I Blues appartengono all’élite internazionale, alla migliore espressione tecnico-tattica del momento, a un qualcosa – per la Juve – di inavvicinabile a stretto giro di posta. Dunque, rimanendo alle dinamiche nostrane, meglio mantenere un profilo basso e realista. Fatto di duro lavoro e, magari, di una qualificazione per la prossima Europa che conta. Ciò potrebbe passare il convento.
Perché se il Chelsea fa tremare, l’Atalanta non è da meno. Si scrive Dea, si legge quarto posto. Obiettivo alla portata per Madama, indubitabilmente, ma nemmeno così scontato. A maggior ragione se non dovessero arrivare rinforzi dalla sessione di riparazione, tra centrocampo e attacco, reparti che hanno bisogno indubbiamente di alzare l'asticella. Tradotto: di tornare a essere da Juve.
La trasferta inglese ha solamente sottolineato come per la Signora mantenere il basso profilo – nel periodo storico corrente – debba rappresentare la base del discorso. Vietato volare con l'immaginazione, vietato distogliere lo sguardo dalle priorità. Il 29 settembre, probabilmente, ha abbindolato qualcuno. Il 23 novembre ha riportato sul pianeta terra qualcun altro. Calcio, sogni, illusioni. Ecco, la Champions League per la Juve attuale assomiglia tanto sia a un sogno sia a un'illusione. Va così.




