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Io sono tu: Gustavo e Guillermo Barros Schelotto, due in uno

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Guillermo Barros Schelotto respira, si gira e guarda alle proprie spalle. E vede se stesso riflesso su un campo verde. Un'illusione ottica, forse. Spazzata via dalla realtà. Perché gli Schelotto, in quel momento e per sempre, sono due. Guillermo da una parte, Gustavo dall'altra. I mellizos. I gemelli più famosi del calcio argentino, tra i più celebri del pallone mondiale. Come i Van de Kerkhof, i de Boer e pochi altri. Sono passati anche dall'Italia, da Palermo, ma qualcuno se l'è già scordato. Un'avventura brevissima, travagliata, morta sul nascere. Diversamente da un percorso di vita comune che ha del leggendario.

Guillermo e Gustavo sono praticamente identici. Da sempre. Dai tratti del viso al taglio di capelli. Soltanto un occhio particolarmente allenato è in grado di capire chi sia chi, evitando confusioni. Nel 2018, da vice del gemello sulla panchina del Boca Juniors, Gustavo si è presentato in conferenza stampa al posto suo dopo una gara di Copa Libertadores vinta in Paraguay. E un giornalista locale non se n'è reso conto: “Guillermo, buonasera...”. Il tecnico lo ha lasciato finire, ha risposto alla sua domanda e alla fine ha precisato: “Sono Gustavo”. E giù risate.

Tra gli anni 90 e il primo decennio dei 2000, riconoscerli in campo è più semplice. Guillermo è un attaccante, una seconda punta mobile e scattante, di quelle che ti si appiccicano come mosche e non sai proprio come scacciarle. Lo chiamano “Chapita”, spilla, perché punge e ancora punge. Gustavo è una mezzala di cuore, corsa e sostanza. Ne parlano al plurale sin dagli esordi. Guillermo y Gustavo. Non c'è uno senza l'altro. Crescono assieme, vanno in discoteca assieme, in vacanza assieme. E, naturalmente, giocano a calcio assieme.“Erano due, ma erano uno solo”, riassume il tutto Juan Manuel Rellan, vicepresidente del Lanús, club nel quale i due hanno avviato la propria carriera congiunta in panchina.

A divergere leggermente, oltre alla posizione in campo, è il carattere. Si nota già sin dagli anni dei primi calci veri, al Gimnasia La Plata: Guillermo è la testa calda, gli piace provocare gli avversari e ha un'ambizione sfrenata, mentre Gustavo è maggiormente riflessivo. Anche se di poco. “Non c'è mai stata competizione tra di noi, ma ti posso dire chi è il diavolo e chi l'angelo”, confesserà anni più tardi Gustavo. Il diavolo è Guillermo, ovvio. Che in quei derby, che spesso si trasformano in una corrida, le prende ma non rinuncia mai a darle. In un clásico del '93 commette un fallaccio da dietro su un avversario, episodio da cui scaturisce una rissa tremenda, risolta dal direttore di gara con due espulsioni, una per parte. Guillermo no, lui si porta furbescamente in disparte e viene graziato. E poco dopo scambia in rapidità col gemello, si invola verso la porta e va a segnare il 2-0 che chiude la pratica.

Sono anni in cui il GELP, il cui ultimo titolo risale al 1929, è ai vertici del calcio argentino. Nel 1994 conquista la Copa Centenario, organizzata per i 100 anni dell'AFA. Un biennio più tardi si vede sfuggire il campionato all'ultima giornata. I gemelli Schelotto sono l'anima della squadra. E il baluardo contro i rivali cittadini dell'Estudiantes, che proprio nel '94 retrocedono in seconda serie. In un altro derby di quegli anni un difensore del Pincha, Nestor Lorenzo, entra duro su Guillermo e Gustavo si fa 50 metri di campo per difendere il fratello. Ha in mano un ciuffo d'erba e lo porge all'avversario:“Mangiatelo, asino”.

Il centravanti di quell'Estudiantes è un giovanissimo Martin Palermo. Ne diventa ben presto il simbolo e il capitano. Mentre Guillermo ha la fascia del Gimnasia. I due diventeranno una coppia di fatto nell'attacco del Boca Juniors, ma inizialmente si detestano. Sportivamente, ma anche nella vita. “Noi odiavamo Palermo e Palermo odiava noi”, è la sintesi di Guillermo. Una volta deve intervenire la Polizia per sedare una rissa scoppiata in un derby delle giovanili in cui i protagonisti sono anche gli Schelotto e Palermo. I tre si ritroveranno al Boca e, come ricordato da Gustavo, “quando siamo arrivati, per un po' non ci parlavamo nemmeno. Hola, hola, e basta. Non c'era un clima molto amichevole”. Normale: se il loco si è guadagnato un soprannome del genere per le sue mattane, anche lo Schelotto più esagitato (Guillermo) ha sempre fatto di tutto per farsi detestare dagli avversari.

“L'anno della retrocessione dell'Estudiantes – ha ricordato l'ex nazionale argentino Roberto Perfumo, allenatore di quel Gimnasia – Guillermo aveva preso l'abitudine di andare al bar dove si ritrovavano i tifosi del Pincha. Passava nel pomeriggio, si fermava con la macchina davanti alla porta e iniziava a guardare dentro, come se stesse cercando qualcuno. Poi dava un paio di colpi di clacson e tornava a guardare in silenzio. E quando quelli lo riconoscevano e uscivano dal bar, lui gli cantava: "Se van para la B, Pinchas, se van para la B...". E poi scappava via prima che lo picchiassero”.

Nel 1997, il River Plate bussa alla porta del Gimnasia. Li vuole entrambi, Guillermo più Gustavo. Prima di una partita giocata al Monumental, Guillermo confessa: “In questo momento sono un giocatore del Gimnasia e oggi cercherò di vincere. Questa sera i dirigenti si riuniranno e troveranno una soluzione”. Il problema è uno solo: nel River c'è un tale Enzo Francescoli. Che con Gustavo si è già preso più di una volta. Un paio d'anni prima si è beccato un tunnel dal gemello meno famoso, e al rientro negli spogliatoi ne è nato un battibecco generato proprio dal mellizo di centrocampo:

“Perché non ti compri una tonaca?”.
“Chiudi quella bocca, che io in banca ho due palos (due milioni di pesos, ndr)”.
“Peccato che quei due palos non ti serviranno per cambiarti quella tua faccia da rospo”.

Il Principe non ha dimenticato. Affatto. Così pone il veto e l'affare non si fa.

Riletta con gli occhi del presente, è un niet che cambia una buona parte della storia del calcio argentino. Perché in quelle stesse settimane anche il Boca Juniors sta trattando col Gimnasia. E l'operazione, questa volta, va a buon fine. Per entrambi i gemelli. A sponsorizzarli è Diego Armando Maradona in persona, che chiede e ottiene il loro acquisto congiunto. Assieme a quello di Palermo, come già ricordato. Di lì a poco inizierà l'epopea del Boca di Carlos Bianchi, che arriverà a Buenos Aires nell'estate del 1998. Prima, però, i due mellizos vengono ben presto separati, perché Gustavo se ne va quasi subito. Per indisciplina. Stanco di partire sempre dalla panchina, una volta gioca dall'inizio contro il Racing ma viene sostituito all'intervallo dal Bambino Veira, non riuscendo a contenere la propria rabbia: “Vecchio buffone!”. E l'allenatore giura: “Finché ci sarò io, tu al Boca non giochi più”.

“Cordoba (il futuro portiere del Perugia, ndr) e Bermudez hanno dovuto intervenire per separarli – ha ricordato l'ex viola Diego Latorre a 'ESPN FC' – Stavano per prendersi a pugni. Ma non voglio rivelare nulla che già non si sappia, perché sarebbe da codardi farlo dopo 20 anni”.

Gustavo se ne va all'Unión. Poi torna al Boca qualche mese dopo, quando Veira se n'è già andato. Il suo successore è Bianchi, e nulla sarà più come prima. Per un gemello e per l'altro, che iniziano a riempirsi la pancia di trofei. Nel 1998 l'Apertura, nel 1999 il Clausura, nel 2000 Apertura, Copa Libertadores e Coppa Intercontinentale. Il "celular de Diós" di Bianchi, quello che appena componi il numero giusto ti risolve i problemi, trova sempre campo. Ma nel bel mezzo di una simile abbuffata, mentre Guillermo sfiora il Napoli in coppia con Palermo ma alla fine rimane, Gustavo accetta di spezzare nuovamente il legame col fratello. Lo seduce l'Europa e lui non sa resistere. Così se ne va al Villarreal. Ai tempi non può immaginare che la camiseta del Boca non la indosserà più per tutto il resto della carriera, ma alla fine sarà proprio così.

Poco male, perché Gustavo qualche soddisfazione se la prende comunque. Anche se non al Villarreal, dove rimane per un solo semestre senza fortuna. Torna in patria, al Racing, e nel 2001 vince uno storico Apertura con una squadra sull'orlo del fallimento. Gli uomini copertina sono altri, in primis un giovane Diego Milito e il pittoresco allenatore Mostaza Merlo, ma anche lui ci mette del suo. Un anno dopo riempie nuovamente le valigie e va al Rosario Central. La squadra e la città gli entrano così profondamente nel cuore che decide di battezzare la propria primogenita col nome di Rosario: “Mia moglie voleva chiamare l'altra figlia Juana Central, però non suonava bene...”. E poi di nuovo il Gimnasia La Plata, la squadra degli esordi, operazione revival prima di chiudere in Perú e a Porto Rico.

Una carriera da imprevedibile girovago del pallone che fa da contraltare con quella da bandiera del fratello. Che a differenza sua rimane al Boca, forma una partnership inscindibile con l'ex nemico Palermo e vince tutto quello che può vincere. 16 trofei in totale, una collezione inferiore solo a quella di un'altra leggenda come Sebastian Battaglia (18). Soprattutto, Guillermo incarna alla perfezione lo spirito Boca. Ha qualità ed è tignoso, sa trattare il pallone e non si dà mai per vinto. E contro il River Plate si esalta. Come faceva negli infuocati clásicos di La Plata. Non va più nei bar dei sostenitori avversari, ma in campo segna e provoca. Una volta si ritrova di fronte Marcelo Salas, stanco e appesantito dal gravissimo infortunio a un ginocchio rimediato alla Juventus, e non si trattiene: “Marcelo, ma sei tu? Ma come sei diventato grasso”.

Geniale e irriverente, Guillermo estrae il classico coniglio dal cilindro nella leggendaria semifinale di ritorno della Libertadores 2004. Quella in cui Tevez segna all'89' e poi esulta mimando lo sbattere di ali di una gallina. Al Monumental regna la tensione e le liti si sprecano. Dopo una di queste, in mezzo alla confusione, Schelotto si reca da un avversario, Sambueza, e gli fa credere che l'arbitro Baldassi lo abbia espulso:

“Ti ha cacciato”.

“Che cosa?”.

“Ti ha cacciato!”.

Dal taschino dell'arbitro, in realtà, non è uscito alcun cartellino rosso. Ma Sambueza non lo sa. E va a vomitare la propria furia nei confronti del direttore di gara, che a quel punto non può far altro che allontanarlo veramente dal campo. Il programma 'Caiga Quien Caiga', versione argentina delle Iene, chiederà in seguito a Guillermo se le cose siano andate veramente così. E lui: “Nooo, smentisco totalmente”. Con un'espressione da birbante che in realtà contrasta con le sue parole. Sta di fatto che il River Plate rimane in 10 uomini, si fa riprendere da Tevez, segna l'incredibile 2-1 pochi secondi dopo con Nasuti, ma si farà sopraffare ai rigori dal Boca, che a sua volta perderà dal dischetto la finale contro i colombiani dell'Once Caldas.

Chiusa la carriera da calciatori, Guillermo e Gustavo Barros Schelotto si ritroveranno da allenatori. Non subito. Perché nel 2010 Gustavo avvia il proprio apprendistato al Libertad, in Paraguay, sotto l'ala protettrice di Gregorio Perez, visto per qualche mese a Cagliari a metà degli anni 90. È lui che un ventennio prima li ha fatti esordire in Primera col Gimnasia. Guillermo smette un anno più tardi, dopo una spruzzata di MLS (Columbus Crew) e la chiusura proprio a La Plata. Dopo una parentesi di Gustavo al Peñarol, sempre accanto a Perez, nel 2012 li chiama il Lanús. In coppia. E i due accettano. Guillermo farà l'allenatore vero e proprio e Gustavo il vice, con particolare attenzione alla parte tattica. Un media argentino li paragona a una rock band: uno è il frontman, l'altro il chitarrista che gli fa da spalla.

“Non mi dà fastidio che Guillermo abbia un ruolo più importante del mio con i giocatori, o il resto dello staff tecnico, o i giornalisti – ha detto qualche anno fa Gustavo al 'Grafico' –L'unica cosa che mi sta a cuore è sentirmi bene nel posto dove sto e lavorare con libertà. Abbiamo sempre pensato di poter lavorare assieme, stiamo bene, poi un domani vedremo se continueremo a farlo o no”.

Dal momento in cui si ritrovano in panchina, Guillermo e Gustavo non si lasciano più. Al Lanús iniziano col botto, arrivando secondi in campionato nel 2013 e conquistando nello stesso anno la Copa Sudamericana, primo trofeo internazionale della storia del club. Il carattere non cambia: fumantino come quando giocavano. In un San Lorenzo-Lanús l'allenatore avversario, il futuro ct della Selección Edgardo Bauza, si lamenta col quarto uomo per le proteste continue della coppia: “Io voglio bene a entrambi, ma sono terribili”. Non è un caso che l'autobiografia di Guillermo, pubblicata nel 2006, sia intitolata “Guillermo, el terrible. Historia de un ídolo”.

La Serie A e il caos tesseramento del 2016 al Palermo (non Martin) sono una macchia già dimenticata, il Boca Juniors la chiusura di un cerchio. Guillermo e Gustavo tornano dove sono diventati grandi. Nel 2007 Guillermo diceva: “Mi rivedrete come allenatore”. Promessa mantenuta. Il giorno della presentazione è un tuffo nel passato: a uno consegnano una maglia gialloblù col numero 7 e all'altro quella col numero 17. I due gemelli terribili vincono subito due campionati, come facevano in campo. Litigano con Pablo Osvaldo, che morde: “Li confondo, perché hanno entrambi la faccia come il culo. Se a uno fa male il ginocchio, anche all'altro fa male”. E vivono il dramma sportivo della notte del Bernabeu, lo storico 9 dicembre del 2018 nel quale il Boca perde dolorosamente la Libertadores contro i rivali di sempre del River.

Il presente si chiama Paraguay, nel senso di Nazionale. Ma sempre col Boca nel cuore. Anche quand'erano in MLS, ai Los Angeles Galaxy. Nel maggio del 2019, mentre sta rientrando negli spogliatoi al termine di una partita persa contro lo Sporting Kansas City, Guillermo si mette a litigare con un tifoso del River presente in tribuna, che lo irride per la finale di Madrid. E perde la pazienza: “Porta rispetto”. In quei mesi più di un sostenitore del Millo lo avvicina con una scusa e si fa immortalare in una foto assieme a lui, facendo di nascosto il segno delle tre dita con una mano. Tre come le reti rifilate in finale.

Vendetta, atroce vendetta. Per tutto quello che Guillermo ha combinato al River Plate quando vestiva la maglia del Boca Juniors. E per una frase divenuta storica, pronunciata dopo la battaglia del Monumental del 2004: “Dedichiamo la qualificazione a loro. Hanno fatto casino in queste due partite, ma non hanno le palle per giocare le finali come noi”. Una sparata che, 14 anni più tardi, gli si è ritorta contro.

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