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Once Caldas campeon Libertadores 2004GOAL

La leggenda dell'Once Caldas 2004: dall'anonimato alla conquista della Libertadores

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Manizales, città di 430mila abitanti circa situata nella parte centrale della Colombia, non è particolarmente celebre fuori dai confini del paese. Però ha parecchio da raccontare e da vendere. In campo turistico, innanzitutto. Celebre per la propria tradizione teatrale e per il caffè, può vantare vedute mozzafiato negli istanti in cui la tardo pomeriggio sta passando il testimone alla sera. Il poeta Pablo Neruda, dopo averla visitata, se n'è innamorato. “La fabbrica dei tramonti”, l'ha definita.

E poi c'è la Manizales del calcio. Ovvero l'Once Caldes. Ovvero l'inatteso e indimenticabile campione della Copa Libertadores 2004, uno degli ultimi veri underdog giunti a tagliare per primi il traguardo finale. Una storia da film, un percorso vissuto tutto d'un fiato. Eliminati tutti i giganti del Sudamerica, dal Santos di Diego e Robinho al San Paolo di Rogério Ceni e Luís Fabiano, per arrivare al Boca Juniors di Carlos Tévez. Una squadra solida e poco spettacolare, conscia dei propri limiti e dedita più a limitare i danni che ad offendere. Per dire: su otto partite della fase a eliminazione diretta ne ha vinte appena due, pareggiando tutte le altre. Delle 16 reti messe a segno durante la competizione, 9 sono arrivate da calcio piazzato. Poco importa.

E dire che l'Once Caldas, fino a pochi mesi prima, non ha mai vinto nemmeno un titolo nazionale. O meglio: uno sì, nel 1950. Ma ai tempi la squadra si chiamava ancora Deportivo Caldas. Solo nove anni più tardi nascerà l'Once, dall'unione con il Deportivo Manizales. Storia conturbata, anche per quanto riguarda la denominazione: il club la cambierà più volte nel corso degli anni a seconda dello sponsor, diventando perfino... Once Philips all'inizio degli anni novanta. Quanto alla Libertadores, l'Once ci ha già giocato in un paio di occasioni a cavallo del millennio, ma senza mai andare oltre la fase a gironi.

L'anno che segna il primo, vero cambiamento della storia è il 2003. L'Once Caldas chiude in vetta sia la stagione regolare del campionato colombiano che il gironcino di playoff, issandosi fino alla finale, dove trova lo Júnior. All'andata, a Barranquilla, finisce 0-0. Al ritorno è l'argentino Sérgio Galván Rey, che in seguito sarà naturalizzato colombiano, a firmare la rete del trionfo a un quarto d'ora dalla fine. Per la prima volta, l'Once Caldas è campione nazionale. Pareggio fuori casa, successo di misura allo stadio Palogrande: è il primo presagio di quel che accadrà un anno più tardi. Ma nessuno può ancora concretamente immaginarlo.

Quell'Once Caldas, del resto, è una squadra di semisconosciuti in Sudamerica. C'è il portiere Juan Carlos Henao, capelli lunghi da loco e voli alla Superman. C'è il capitano Samuel Vanegas, centrale difensivo con la fobia... degli aghi. C'è il centrocampista Arnulfo Valentierra, mancino atomico, già protagonista di un precedente andirivieni da Manizales. C'è Jhon Viafara, che a 26 anni non sa ancora bene che direzione prenderà la propria carriera. C'è Jonathan Fabbro, poi diventato celebre per la relazione con la modella Larissa Riquelme (ve la ricordate nel 2010 in Sudafrica, cellulare nella scollatura e tifo da ultrà per il Paraguay?). C'è il già citato Galván. E c'è il “profe” Luís Fernando Montoya, il quarantaquattrenne allenatore, già trionfatore in Colombia con l'Atlético Nacional. Nulla che possa spaventare troppo il resto del continente.

Era una squadra umile, giocatori sconosciuti e sui quali nessuno avrebbe scommesso nulla – ha riassunto il tutto Viafara a 'Expediente Fútbol', il sempre meraviglioso speciale di 'Fox Sports Latinoamerica' – Però noi sapevamo che non avremmo regalato nulla a nessuno, che non avremmo mai dato nulla per perso. Avevamo molto più da guadagnare che da perdere. Anche perché molti di noi sognavano di andare all'estero”.

Il primo miracolo si compie nella fase a gironi. Dei 18 punti a disposizione, l'Once Caldas ne racimola 13. Chiude il gruppo al primo posto, battendo i venezuelani del Maracaibo e gli uruguaiani del Fénix ed eliminando il Vélez Sarsfield, la teorica favorita del raggruppamento, campione una decina d'anni prima con José Luís Chilavert e Carlos Bianchi. Fabbro estrae dal cilindro un paio di perle balistiche mica male, Galván segna un golazo in Venezuela. La sconfitta per 2-0 all'Amalfitani di Liniers, prontamente vendicata al ritorno con lo stesso risultato, rappresenterà l'unico incidente di percorso della squadra di Montoya. L'unico nel girone, ma anche nell'intero cammino verso la gloria.

Per la prima volta nella storia, l'Once Caldas è agli ottavi di finale di Copa Libertadores. Il problema è che dovrà affrontare la seconda parte della competizione senza Galván, nel frattempo ceduto ai New York Metrostars. Però il Barcelona di Guayaquil, il suo prossimo avversario, sembra essere un avversario ostico ma non impossibile. L'andata in Ecuador finisce 0-0. Ed è un risultato che innalza in maniera esponenziale la fiducia in vista del ritorno. A Manizales, però, sono gli ecuadoriani a passare per primi con Gavica. A sette minuti dal termine Jorge Agudelo, attaccante di riserva, firma l'1-1 di tacco. E ai rigori (le reti in trasferta non valgono doppio) a imporsi sono i colombiani.

È in quel momento che le difficoltà iniziano a moltiplicarsi. Perché ai quarti di finale c'è il Santos, che ha i gioielli Diego e Robinho in campo e Vanderlei Luxemburgo in panchina. Nella precedente edizione i brasiliani hanno sfiorato la coppa, perdendo solo in finale contro il Boca, e hanno la seria intenzione di riprovarci. Quando Basílio va a segno a dieci minuti dalla fine della gara d'andata, l'obiettivo pare acquisire maggiore sostanza. Però l'Once Caldas ha don Arnulfo Valentierra. È lui a trovare l'1-1 finale alla Vila Belmiro. Ed è sempre lui, con una strepitosa punizione sparata sotto l'incrocio, a completare il capolavoro nel ritorno di Manizales, gara cromaticamente complicatissima nella quale le due divise quasi si confondono tra loro. “Il goal più importante della mia carriera”, lo ha sempre definito. E non si può proprio dargli torto, perché è una prodezza che vale l'accesso alle semifinali.

Parlando con amici – ha raccontato Viafara – ci dicevamo: se passiamo contro il Santos, veniamo eliminati dal San Paolo. Contro il San Paolo non passiamo. Per il 90% dei pronostici erano loro i campioni, per tutto quello che avevano già dimostrato, perché erano una squadra che giocava bene a calcio e che aveva un centravanti molto complicato da affrontare (Luís Fabiano, ndr)”.

L'andata del Morumbi pare dar sostanza ai presagi di Viafara. Il San Paolo attacca dall'inizio alla fine, sfiora più volte il vantaggio, sbatte contro un grande Henao. Il portiere dei colombiani è talmente in fiducia che, dopo aver parato un tiro di Luís Fabiano, da terra si permette di controllare il pallone con la testa irridendo Cicinho accanto a lui. Nuovamente, la sensazione di poter arrivare ancora più su si fa strada nella mente e nell'animo della banda di Montoya.

Il profe è stato fondamentale – ha ricordato Valentierra a 'Win Sports' – una volta prima di una partita disse una frase che appendemmo nello spogliatoio: “La tavola è imbandita, qui c'è tutto il cibo che volete. Sta a voi mangiarlo o lasciarlo lì”.

Ha fame, quell'Once Caldas. Di vittorie e di leggenda. E a Manizales, di nuovo da sfavorita, estromette anche il San Paolo. Segna subito Viafara con una botta da lontano, ma nella ripresa pareggia Danilo. Tutto il Palogrande trattiene il fiato quando Henao frana su Gustavo Nery, forse dentro l'area e forse fuori: è fallo chiaro, ma l'arbitro Larrionda non fischia nulla. L'uomo decisivo è Agudelo. Ha iniziato dalla panchina, se l'è un po' presa con Montoya quando l'allenatore ha inserito prima di lui Araujo, sconosciuto tra i semisconosciuti. Ma a pochi secondi dal 90' è proprio il compagno a lanciarlo in profondità: Agudelo rientra su un avversario e davanti a Rogério Ceni sigilla la qualificazione alla finale.

Jorge Agudelo Once Caldas Sao Paulo 2004Getty Images

A proposito di Agudelo: non è bellissimo da vedere, ma è un uomo di fiducia di Montoya per le fasi finali delle partite. Quasi sempre parte in panchina ed entra a gara in corso. È arrivato a Manizales all'inizio di quell'annata, richiesto espressamente dal profe. “Ci serviva un attaccante, il presidente mi ha fatto un elenco di cinque nomi e io gli ho risposto: “Eccoli qui: Jorge Agudelo, Jorge Agudelo, Jorge Agudelo, Jorge Agudelo e Jorge Agudelo”.Montoya si è preso dell'hijo de puta mentre tardava a farlo entrare contro il San Paolo. Ma alla fine ha avuto ragione lui.

E ora, l'ultimo avversario. Si chiama Boca Juniors, è il club più titolato e glorioso del Sudamerica, ma a Montoya sta bene così.“Volevo loro – dirà – perché ci adattavamo peggio al gioco del River Plate, l'altra semifinalista”. Però giocare alla Bombonera non è uno scherzo. Prima di entrare in campo nella partita d'andata, la tensione attanaglia lo spogliatoio e il profe tenta di smorzarla a modo suo: “Avete paura? Beh, anch'io”. Evidentemente ne ha parecchia anche Viafara, che nel bel mezzo del primo tempo avverte la necessità di... espletare i propri bisogni. Lo rivela a qualche compagno e lo urla pure a Montoya, che però non lo ascolta nemmeno: tu dal campo non esci.

Gli ho detto: c**a lì in campo, che tra un po' ti cambi. Non possiamo dar loro un vantaggio facendoti andare in bagno”.

Nonostante la pressione incessante dei 53mila della Bombonera, e nonostante i problemi intestinali di Viafara, finisce 0-0. Il Boca Juniors colpisce un paio di traverse nel primo tempo con Barijho e Ledesma, l'Once Caldas una nel finale con Elkin Soto. La squadra dei miracoli è in pienissima corsa. Di nuovo, ha lasciato da parte il proprio status di sfavorita in un campo da far tremare i polsi. Di nuovo ha strappato un pareggio fuori casa. Di nuovo, deciderà il proprio destino nel fortino del Palogrande.

Il 1° luglio 2004 è il giorno della storia. Once Caldas e Boca Juniors si giocano la coppa più importante del Sudamerica. E dopo sette minuti a passare è proprio l'Once: Viafara, sempre lui, spara da lontanissimo e il pallone va a infilarsi sotto l'incrocio di Abbondanzieri. Ma nella ripresa pareggia Nicolás Burdisso, di testa, sugli sviluppi di un calcio di punizione. È all'ultima partita con la maglia del Boca, di lì a poco inizierà l'avventura europea con l'Inter. E forse, nel profondo del proprio cuore, è convinto di poter diventare l'eroe di una Copa a tinte gialle e blu.

Ma i calci di rigore dicono altro. Sbaglia lo specialista Valentierra, intanto, che si fa stregare da Abbondanzieri. Ma fallisce la propria esecuzione pure Schiavi, col suo piattone alle stelle. Alla saga degli errori partecipa anche Burdisso (palo). Per i colombiani segnano sia Soto che Agudelo. L'errore decisivo è di Cangele, murato da un Henao che in precedenza aveva già detto di no anche a Cascini. Finisce 2-0 per l'Once Caldas. Questa volta il celular de Diós di Carlos Bianchi non trova campo. Il miracolo si è trasformato in realtà: i colombiani sono campioni del Sudamerica per la prima volta nella propria storia.

La cosa che mi viene in mente e che mi rallegra – ha detto nel 2020 Henao – è che tutto il paese era con noi durante quella Copa Libertadores. Dopo 16 anni ci si rende conto di quello che abbiamo fatto. Eravamo una squadra umile, che quasi non era conosciuta a livello internazionale, e con quella squadra abbiamo affrontato le più forti del Sudamerica”.
Once Caldas campeón 2004Getty Images

È un trionfo che stravolge ogni gerarchia. E che provoca qualche choc: il Boca Júniors non si ferma a ricevere le medaglie degli sconfitti perché, dirà Bianchi, “non sapevo nemmeno che venissero consegnate, non sono abituato ad arrivare secondo”. In seguito arriveranno comunque le scuse dello stesso Virrey a Montoya, così come quelle ufficiali del club. La gioia dei giocatori dell'Once, invece, è talmente sfrenata che il trofeo viene danneggiato durante i danneggiamenti. Mentre nell'altra Buenos Aires, quella bianca e rossa del River Plate, c'è chi prova un concreto senso di sollievo.

Pensavo: 'Speriamo che il Boca perda, speriamo che il Boca perda' – ha ricordato Leo Astrada, allenatore di quel River, a 'ESPN' – Immaginate la sofferenza che provavo dentro di me. Da uccidersi, dopo che ci avevano eliminati in semifinale. Chiaro, come potevo non festeggiare? Ero a casa mia e ho stappato una bottiglia di champagne. E qualche giorno dopo, noi abbiamo pure vinto il campionato”.

Mentre Manizales esplode di gioia, tanto che, come ama ricordare Montoya, “anche le monache sono uscite dai conventi per andare in strada a festeggiare”, il profe inizia già a pensare al domani. Ovvero alla Coppa Intercontinentale contro il Porto. Ma la maledizione sta per iniziare. Non tanto perché a Yokohama a prevalere sono i portoghesi di Diego, che si prende la rivincita ai calci di rigore dopo l'eliminazione col Santos. E nemmeno per i risultati sportivi degli anni seguenti, se è vero l'Once vincerà un altro paio di campionati locali, pur non raggiungendo più i livelli toccati nel 2004.

La maledizione colpisce la squadra fuori dal campo. E si trasforma in tragedia. Nel dicembre di quello stesso anno, la moglie di Montoya è appena tornata a casa dopo aver prelevato in banca. Suona alla porta per farsi aprire dal marito, ma alcuni malviventi l'hanno seguita. Appena l'allenatore infila una mano in un taschino, uno di questi, Luís Alberto Toro, gli spara ferendolo gravemente e rendendolo tetraplegico. Da allora Montoya, nominato allenatore dell'anno 2004 da 'El País, è costretto a vivere su una sedia a rotelle.

La maledizione non risparmia nemmeno gli altri componenti della rosa. Da Viafara, che sarà acquistato da Portsmouth, Real Sociedad e Southampton ma finirà in carcere per spaccio di droga, a Fabbro, condannato a quattordici anni nel 2020 per abuso su minore. Da Agudelo, che il giorno dopo la finale col Boca viene trovato positivo all'antidoping, a Moreno, che nel 2020 viene coinvolto in un incidente stradale assieme al proprio procuratore.

Sono eventi che macchiano solo parzialmente la portata storica dell'impresa dell'Once Caldas. Solo una volta la Colombia si era seduta sul trono del Sudamerica: con l'Atlético Nacional del Pacho Maturana (ironia della sorte, passato anche per Manizales). E solo un'altra volta si ripeterà, sempre con l'Atlético nel 2016. Nel mezzo, ecco Henao e compagni. Stabilmente seduti sull'Olimpo degli eroi anche dopo quasi due decenni.

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