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Giampiero Boniperti, eterno simbolo della Juventus: il campione, la bandiera, il presidente

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"La Juve non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore" - Giampiero Boniperti

Da quando si è unito ai colori bianconeri, quando era un centravanti diciottenne di grande talento, la Juventus divenne per lui una seconda famiglia, da cui si separerà temporaneamente solo dopo 47 anni, per poi ricongiungersi ad essa con nuove vesti per la ricostruzione post Calciopoli.

Per il peso che ha rivestito nella storia del club più titolato d'Italia, si può dire senza timore di smentite che Giampiero Boniperti è la Juventus, e non ci sarebbe la Juventus se non ci fosse stato Giampiero Boniperti.

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Un amore tanto grande, il suo per la Vecchia Signora, che a lei dedicherà la sua vita, prima sul campo, come calciatore, poi dietro una scrivania, come presidente, amministratore delegato e presidente onorario, ruolo che ricoprirà fino alla sua morte a 92 anni il 18 giugno 2021.

GLI ESORDI E L'ARRIVO ALLA JUVENTUS

Nato a Barengo, paese in provincia di Novara, il 4 luglio 1928, Giampiero Boniperti inizia a dimostrare il suo talento per il calcio a 11 anni. Frequenta il collegio De Filippi di Arona e trascina la squadra degli 'interni' alla prima vittoria contro gli 'esterni'. Tale è l’entusiasmo degli istitutori e dei compagni che irrompono in campo per festeggiarlo.

Il ragazzo, sorpreso da tanto clamore, scappa. Ma ricevute le opportune rassicurazioni, torna in campo nel secondo tempo e alla fine gli 'interni' si impongono 8-0. Il vicerettore don Paolo Granzini, quando gli consegna la medaglia per il miglior giocatore della partita, gli rivolge parole profetiche: "Tu sarai un campione".

Trascorsa la sua adolescenza durante la Seconda Guerra Mondiale, e diplomatosi geometra, una volta concluso il conflitto, nel 1945/46 milita nel Barengo, la squadra del suo paese. L'anno seguente passa al Momo. Il dottor Egidio Perone, medico di Barengo, però, ne nota il talento e siccome è un tifosissimo della Juventus lo porta a fare un provino con i bianconeri.

"Feci il primo provino in Piazza d'Armi - ricorderà Boniperti - dove si allenavano i ragazzi. Borel venne a vedermi. Poi, entrò in campo. Mi lanciava la palla. Di destro: pim, di sinistro: pim. Chiamò allora il dottor Perone e gli disse: 'Portamelo ancora domenica, così lo faccio giocare nelle riserve prima della partita con il Livorno'. La domenica, era il 22 maggio 1946, tornammo a Torino. Sulla Topolino del dottor Perone. L’appuntamento era allo Sporting, il tennis club, dove i giocatori mangiavano, prima di andare, a piedi, al Comunale. Lì vidi per la prima volta Sentimenti IV e Rava, Parola e Piola, Varglien II e Locatelli, Coscia e Depetrini, insomma conobbi la mia Juve".
"Poi andammo al campo - prosegue nel suo racconto Boniperti -. L’avversario era il Fossano e mi marcava un giocatore vero, anche se un po' in là con gli anni. Era stato lo stopper del Torino. Noi vincemmo 7-0 ed io segnai 7 goal. Carlin, storico giornalista di 'Tuttosport', allora scrisse: 'È nato un settimino'. La Juve, con Volpato che era il responsabile del settore giovanile, mi fece firmare il cartellino nel sottopassaggio che portava agli spogliatoi".

Resta la formalità di acquistare il cartellino, e a riguardo il diciassettenne Boniperti ha una richiesta particolare da fare alla Vecchia Signora.

"Le trattative furono brevi; io avevo firmato il cartellino per il Momo ma, sentimentalmente, il mio cuore era per la squadra del mio paese, il Barengo, e desideravo che, nel passaggio alla Juventus, anche quella società avesse qualche guadagno - spiegherà -. Andò a finire così: prezzo di acquisto 60 mila lire; 30 mila furono per il Momo e 30 mila per il Barengo, in scarpe, maglie e reti, di cui avevano bisogno. Fu la prima volta che sentii parlare di fifty-fifty. Io, mi accontentai dell’onore".

Approdato nella squadra riserve della Juventus, Boniperti è un centravanti mobilissimo, astuto, con una tecnica sopraffina e dall’innato senso del goal. Ma i primi passi in bianconero non sono facilissimi.

Il tecnico della Prima squadra, Renato Cesarini, lo osserva in azione e gli dice:

"Tu devi fare solo quello che ti dirò io, perché qualunque cosa ti dirò, tu puoi farla".

In allenamento, per metterlo alla prova, il Cè lo utilizza come centravanti delle riserve contro il grande Carlo Parola.

"Come vidi che mi lanciarono il pallone - racconta Boniperti -, scattai all’istante ma feci appena in tempo a indovinare di chi si trattasse e mi ritrovai lungo disteso: 'Ehi, burba, credevi di stare in campo a raccogliere margherite? Sei uomo o no? E allora, coraggio!' ".

È il battesimo del fuoco, e il giovane centravanti dimostra di aver coraggio e di saperci fare. Tanto che il 2 marzo 1947 Cesarini non esita a gettarlo nella mischia nella classica di Torino contro il Milan al posto del titolare Mario Astorri.

A 18 anni Boniperti fa così il suo esordio in Serie A al Comunale con i rossoneri, in una gara persa 1-2 dalla Vecchia Signora. Non riesce a brillare particolarmente, ma già nella sua seconda partita, una trasferta a Genova contro la Sampdoria, realizza una doppietta. È l'inizio di una lunga avventura con i colori bianconeri. Il giovane centravanti chiude la sua prima stagione di apprendistato con 5 reti in 6 partite, grazie ad un goal al Venezia e ad una doppietta all'ultima giornata contro la Lazio.

L'AVVENTURA CON L'ITALIA

Appena 6 mesi dopo il debutto in Serie A, per Boniperti arriva anche l'esordio nella Nazionale azzurra. È l'11 novembre 1947 e quattro mesi dopo aver compiuto 19 anni il centravanti della Juventus gioca da titolare l'amichevole di Vienna contro l'Austria, vinta 5-1 dai padroni di casa.

A dargli fiducia è il Ct. due volte campione del Mondo, Vittorio Pozzo, dal quale riceve nuovi consigli.

"Avrai come compagno di camera Amedeo Biavati - lo avverte -. Lui è un veterano, tu sei una burba. Se avessi fatto il soldato sapresti che distanza esiste tra una burba e un veterano. Ma ricordati sempre che Amedeo Biavati è campione del mondo. Sai che cosa significa una medaglia d’oro? Significa che nessun uomo ha dimostrato di essere più bravo di lui. Perché le medaglie d’oro si danno solo agli eroi".

La seconda presenza arriverà soltanto 2 anni più tardi, dopo la tragedia di Superga che toglierà al calcio italiano quella squadra straordinaria che era il Grande Torino. Il 22 maggio 1949, ancora con il cuore pieno di lacrime nel petto, l'Italia gioca a Firenze, nuovamente contro l'Austria, un match valevole per la Coppa Internazionale.

Boniperti, che gioca con il numero 7 sulle spalle, firma il provvisorio 3-0 al 43' del primo tempo. Il centravanti della Juventus ha i riccioli biondi e i lineamenti delicati, quasi da nobile, e uno dei veterani del gruppo, l'attaccante dell'Inter, Benito Lorenzi, lo ribattezza 'Marisa', un soprannome che Giampiero non gradirà molto.

"Eravamo nello spogliatoio - ricorderà il celebre 'Veleno' -, Giampiero aveva appena vent'anni, era bellino, biondo, poco peloso, quasi efebico. 'Che fisico da Marisetta', gli dissi ridendo. Da allora divenne per tutti 'Marisa'. Poi siamo diventati grandi amici".

Dopo una presenza e 2 goal in Nazionale B, si ritaglia il posto da titolare con le sue prestazioni e nel 1950 partecipa ai suoi primi Mondiali in Brasile. Ma per l'Italia guidata da Ferruccio Novo, e subito sconfitta 3-2 dalla Svezia di Jeppson e Skoglund, non c'è grande fortuna, e gli Azzurri orfani di Superga vengono eliminati al primo turno nonostante un successo per 2-0 sul Paraguay nella seconda gara.

Boniperti, che disputa soltanto la sfortunata partita contro gli scandinavi, non riuscirà a incidere. Quattro anni dopo, dopo essere diventato capitano nell'ottobre del 1952, è uno dei pilastri della squadra che affronta i Mondiali di Svizzera '54, i secondi (e ultimi) della sua carriera. L'attaccante bianconero ha segnato la sua prima doppietta in azzurro nella gara di qualificazione vinta 5-1 sull'Egitto, ma anche la spedizione in terra elvetica sarà poco fortunata per lui e i suoi compagni.

Il 17 giugno 1954 gli Azzurri cadono 2-1 all'esordio contro i padroni di casa. Boniperti segna il goal del provvisorio 1-1 ma non basta.

"Subimmo goal in contropiede, poi pareggiai io - ricorderà il capitano -. Nella ripresa scoppiò il finimondo, prendemmo due pali con Galli e l’arbitro brasiliano Viana annullò in modo inspiegabile una rete di Lorenzi. E a dieci minuti dalla fine, ancora in contropiede, arrivò il secondo goal".
"Incrociai Viana 8 anni dopo in Cile. Ero là da osservatore e in un ristorante di Valparaiso lo riconobbi e montai su tutte le furie. Volevo quasi picchiarlo, ma riuscirono a fermarmi...".

Il capitano azzurro è vittima di un trattamento duro da parte degli avversari e di fatto il suo Mondiale finisce in quella gara.

"Presi un calcione terribile dallo svizzero Flukiger - racconterà -. Mi ha rovinato la caviglia, così rimasi fuori la seconda partita, quella con il Belgio a Lugano".

Nel secondo match, il 20 giugno, la squadra guidata da una commissione tecnica composta dal duo Lajos Czeizler-Angelo Schiavio travolge 4-1 il Belgio e guadagna il diritto a giocarsi l'accesso ai quarti di finale nello spareggio con la Svizzera, battuta nel frattempo dall'Inghilterra. Assieme agli inglesi saranno gli elvetici a passare, vittoriosi stavolta con un perentorio 4-1 sulla Nazionale italiana.

Giampiero ha programmato il suo matrimonio, ma si trattiene in Svizzera per assistere alla finalissima fra la Grande Ungheria di Puskas e la Germania Ovest.

"Quella partita è il miglior ricordo del mio Mondiale - dirà -. Dovevo sposarmi, ma restai apposta in Svizzera per andare allo stadio. Dopo otto minuti l’Ungheria era sul 2-0, volevo venire via, sembrava tutto finito. Ma i tedeschi misero in campo una forza dell’altro mondo, non ci credeva nessuno… Ancora oggi non mi spiego come la Germania Ovest riuscì a vincere quel Mondiale".

Rientrato in Italia, l'attaccante juventino convola a nozze con Rosi Vergnano, colei che diventerà sua moglie e la compagna di una vita. Dalla loro unione nasceranno tre figli, Giampaolo, Alessandro e Federica, che regaleranno alla coppia ben 7 nipoti.

Nonostante un rapporto conflittuale con i Mondiali (nel 1958 l'Italia non partecipa perché eliminata dall'Irlanda del Nord), Boniperti continuerà a indossare la maglia azzurra della Nazionale fino al 1960, quando si è ormai trasformato in sontuoso regista di centrocampo.

L'ultima partita con l'Italia, il 10 dicembre 1960, è ancora una volta un'amichevole con l'Austria. L'Italia perde 2-1 al San Paolo di Napoli, ma l'unica rete azzurra porta proprio la firma di Boniperti, che conquista così un record ancora oggi imbattuto: è infatti l'unico calciatore ad essere andato a segno in tre decadi differenti, dagli anni Quaranta agli anni Sessanta. Quel giorno si ritira dalla Nazionale dopo 8 goal in 38 partite.

IL CAMPIONE

Se in azzurro Boniperti non riesce a ottenere successi, il binomio con la Juventus è da subito fortunato, almeno sul piano personale. Gli anni Quaranta vedono infatti il dominio del Grande Torino di Valentino Mazzola, uno dei suoi idoli. Ma Boniperti si consacra campione appena ventenne.

Nel 1947/48, infatti, dirottato Astorri all'Atalanta, il giovane centravanti, protagonista di un ottimo finale di stagione nel precedente torneo, è promosso titolare da Renato Cesarini, poi sostituito a stagione in corso dallo scozzese William Chalmers, e con 27 goal in 40 presenze si laurea capocannoniere della Serie A davanti ai due campioni del Grande Torino, Valentino Mazzola (25 goal) e Guglielmo Gabetto (23 reti), nel primo anno della presidenza di Gianni Agnelli. Il 23 novembre 1947 segna al Livorno la sua prima tripletta nel massimo campionato nel 6-1 finale per la Vecchia Signora.

"Segnavo parecchio - racconterà - e L'Avvocato mi chiese cosa volessi in premio. 'Una mucca per ogni goal', gli risposi, ma la scelgo io".

Dopo qualche mese, però, la pacchia finisce per le lamentele del fattore, che ad Agnelli riferisce:

"Mi sta distruggendo l'allevamento, le sceglie tutte gravide...".

Lo cercano in tanti, fra cui lo stesso Torino, ma lui dice no a tutti e si lega indissolubilmente alla Juventus, come racconterà in più occasioni.

"Ho avuto tante offerte - ricorderà -. Inter, Milan, Roma, il Grande Torino. Valentino Mazzola aveva fatto il mio nome a Ferruccio Novo. Il presidente mi ricevette nel suo ufficio: 'Commendatore - gli dissi - sono della Juve, non posso'... ".
Giampiero Boniperti - Juventus-

Boniperti, con Carlo Parola che lo prende sotto la sua ala protettiva e gli fa da chioccia, continua ad andare regolarmente in doppia cifra nei campionati successivi: segna 15 goal nel 1948/49, 21 nel 1949/50 (anno del primo Scudetto), 22 nel 1950/51, dimostrando tutte le sue qualità da abile finalizzatore.

"La Juventus di fine anni ‘40 era una squadra stagionata: Depetrini, Locatelli, Magni, Sentimenti III, Rava... Il più giovane ero io - scriverà nel suo libro, 'Una vita a testa alta' -. Loro, i veterani, quando avevano la palla la lanciavano subito dentro a me, io certe volte facevo tre o quattro scatti uno dietro l’altro ed ero perso per il resto della gara. Basta, non toccavo più palla, perché se non rompi il fiato sei imballato per tutta la partita. Ma vaglielo a spiegare...".
"Se non correvo mi sgridavano: 'Dì cit, scatta', urlavano, e dovevi filare, in bocca a certi difensori che erano più che mastini. Castigliano, Tognon, Rigamonti...".
"Parola era maestro e capobranco ma anche avversario duro quando gli giocavo contro nelle riserve della Juventus, ed era quello che in allenamento mi ha picchiato di più - affermerà -. Nella prima foto ufficiale con la maglia bianconera, ho un occhio nero per una gomitata di Nuccio in allenamento: modo sbrigativo per spiegarmi che il tunnel che gli avevo fatto non gli era piaciuto. Parola mi voleva bene ed io lo adoravo. Era grandissimo, non a caso con la sua rovesciata è stato per anni sulla copertina delle figurine Panini".

Anche lui, come tanti, resta sconvolto dalla scomparsa del Grande Torino nella Tragedia di Superga del 4 maggio 1949. Giampiero, che nei quattro derby giocati contro Valentino non ha mai vinto, il 26 maggio 1949 accetta con orgoglio di indossare la maglia granata numero 7 del 'Torino Simbolo', una sorta di Top11 della Serie A, composta da giocatori prestati da tutte le altre squadre, che scende in campo al Comunale di Torino in un'amichevole con il River Plate per raccogliere fondi in favore delle famiglie delle vittime del disastro aereo.

La scomparsa tragica del Torino, che aveva dominato il calcio italiano degli anni Quaranta, spalanca le porte agli stranieri nel calcio italiano. Arriveranno in tanti: se il Milan punta sul trio svedese Gre-No-Li, e l'Inter si assicura l'apolide Nyers, il belga Wilkes e lo svedese Skoglund, la Juventus non è da meno e acquista i due assi danesi John Hansen e Carl Aage Praest e l'argentino Rinaldo Martino.

Accanto a loro Boniperti comporrà un tridente da sogno, che con 60 goal (28 Hansen, 21 Boniperti, 11 Praest) trascina la squadra bianconera, capace di raggiungere le 100 reti stagionali, alla vittoria dello Scudetto dopo 15 anni di digiuno. Boniperti non nasconderà che per lui è stato "il più bello", perché vinto con "la Juventus più forte" con cui ha giocato.

Ma il titolo del 1949/50 è solo la prima delle grandi soddisfazioni che si toglierà in bianconero. Due anni dopo, nel 1951/52, Boniperti e la Juventus fanno il bis: 'Marisa' si ferma a 19 goal, ma la Vecchia Signora, con Hansen capocannoniere, stacca di 7 lunghezze il Milan e di 11 l'Inter nella classifica finale. A fine stagione c'è anche la soddisfazione di partecipare alla Coppa Latina: i bianconeri perdono 4-2 in semifinale contro il Barcellona del grande Kubala, ma conquistano il 3° posto grazie ad un 1-0 sui portoghesi dello Sporting.

Nell'estate precedente, quella del 1951, Boniperti si era laureato capocannoniere anche della Copa Rio o Torneo internazionale dei Club campioni, organizzato dalla Federazione brasiliana. La Juventus è superata nella doppia finale dal Palmeiras (1-0 per i brasiliani nel primo match, pareggio per 2-2 nel secondo).

Giampiero BonipertiGetty

Per le sue prestazioni di alto profilo in bianconero, il tecnico olandese Lotsy il 21 ottobre 1953 lo seleziona per la gara di Wembley fra l’Inghilterra e il Resto d’Europa, organizzata per festeggiare il novantesimo anniversario della Football Association. Boniperti, unico italiano in campo, accanto a campioni come Nordahl, Vukas, Kubala e Zebec, è autore di una prestazione da favola che lo vede segnare una doppietta: finisce 4-4, ma il venticinquenne biondo di Barengo è unanimemente riconosciuto come il migliore in campo.

"Nel primo tempo - racconta Boniperti all'agenzia 'Ansa' nel 2012 - segnai 2 goal, dopo tanti anni rimango l'unico italiano ad avere realizzato una doppietta a Wembley: lo chiudemmo in vantaggio 3-2 nonostante il nostro portiere, un austriaco, si fosse fatto segnare una rete facendosi passare la palla tra le gambe".
"Si chiamava Zeman e fu sostituito da Beara, uno slavo che faceva anche il ballerino al teatro di Belgrado. Comunque anche grazie alle sue parate arrivammo in vantaggio al 90', quando l'arbitro gallese si inventò un rigore e la partita finì 4-4. Io e Beara volevamo strozzare il direttore di gara".
"Poi ci calmammo e trovammo carino il gesto della Federcalcio inglese che negli spogliatoi regalò a tutti i giocatori un orologio. Ci accorgemmo però che sul quadrante c'era scritto semplicemente 'England-The rest'. Ma 'rest' di che cosa? Ci infuriammo di nuovo, volevamo menare le mani...". 

A dispetto dei riccioli biondi e di quel soprannome di 'Marisa' datogli da Lorenzi, Boniperti in campo sapeva farsi rispettare.

"Un po' menavo - rivela - conservo ancora le scarpe di quella sfida: avevano il ferro davanti".

Restano epici i suoi racconti sui duelli con i difensori di quell'epoca, come quello con Ludovico Tubaro.

"Veniva dal Toro e giocava nel Legnano - ricorderà in diverse occasioni Boniperti -. Un tronco di stopper. Una domenica, mi entra a catapulta sulla caviglia e rischia di spezzarmela. Esco, mi medicano, rientro. Lo aspetto. Palla sopra la testa e gran botta, gran goal. Lo cerco e gli faccio il gesto dell’ombrello: 'Tubaro, tiè'. Lui mi ha inseguito fin sotto la doccia... Un giorno, che ero diventato europarlamentare, squilla il telefonino. Era lui. Quasi mezzo secolo dopo. Quel pomeriggio, l’avrei ammazzato. Quel giorno, l’avrei abbracciato".

Leggendarie anche le sfide con squadre che facevano della difesa il loro punto di forza, come la Triestina.

"Allora non c’era la Tv - scriverà l'ex centravanti nel suo libro, 'Una vita a testa alta' -. Tutti guardavano la palla e in area, lontano dal pallone, volavano colpi spesso proibiti. Quante botte ho preso là in mezzo... ".
"Vedersela con quelli della Triestina era come entrare a mani nude nella fossa dei leoni: Striuli, 90 chili di cemento distribuiti su un metro e spiccioli di altezza, Blason, Sessa, gente simpaticissima e amabile fino all’ingresso in campo, ma superata la linea pur di evitare un goal avrebbero menato anche madri e sorelle. Ti mollavano certe zuccate sulla nuca da stordimento".
"Sessa aveva un bel testone e tutte le volte che saltava in contrasto con Praest, il povero Carl aveva la peggio. Cadeva come una mela e si lamentava: 'Boni, non ce la faccio più'. Aveva ragione, contro i difensori della Triestina finivi le partite completamente rintronato".
"In quello stadio ho segnato un goal senza volerlo e poi le ho quasi prese. È andata così: Muccinelli ha crossato, ho visto arrivare i mastini e, per ripararmi, ho buttato le gambe in avanti tenendo alte le piante dei piedi. Il pallone ci ha picchiato sopra, del tutto casualmente, ed è finito in porta. Me ne hanno dette di tutte i colori; sono dovuto scappare da Parola, il mio angelo custode".
"A guidare quella formidabile squadra di lottatori era Trevisan, mezz’ala di grande personalità e burbero abbastanza da mettermi soggezione. Mi prendeva il naso fra le dita e urlava: 'Puparìn (bambino), cosa fai nella nostra area di rigore? Vai nella tua, fila!'".
"Adesso mi scappa da ridere, ma allora non era piacevole. Ero un ragazzino, correvo da Parola e lui mi rispediva in area con un affettuoso: 'Va là, falabràc (lazzarone)!' ".

Vivi i ricordi di Boniperti anche contro il Padova di Rocco.

"Altra impresa non da poco era affrontare in trasferta il Padova di Rocco - dirà -. Pin, Scagnellato, Blason, Azzini, Rosa picchiavano come fabbri. Il Paròn li chiamava 'i miei manzi'. Una volta, ancora su cross dal fondo, mi sono visto venire incontro, oltre che la palla, anche Scagnellato. Per la paura mi sono bloccato e Azzini, che non poteva immaginare che io non ci fossi, in rovesciata ha steso il compagno al posto mio. Sono filato via inseguito dai loro 'Mona' (ride, ndr)".
Giampiero Boniperti Getty

LA BANDIERA

L'arrivo di Umberto Agnelli alla presidenza della Juventus apre per i colori bianconeri un nuovo ciclo di successi a partire dalla stagione 1957/58.

Boniperti, che negli anni precedenti aveva ridotto sensibilmente il numero dei suoi goal (7 in 29 presenze nel 1952/53, 14 in 30 partite nel 1953/54 e 9 in nel 1954/55) si trasforma nella seconda metà degli anni Cinquanta in sontuoso regista. Dal 1954/55 eredita da Carlo Parola anche la fascia da capitano e per lui Gianni Brera conia il termine di 'centrocampista', che da quel momento in avanti definirà i giocatori che agiscono sulla mediana fra difesa e attacco.

Il campione di Barengo eccelle anche nel nuovo ruolo, che lo vede offrire tanti assist ai suoi compagni e quando nell'estate 1957 approdano a Torino due campioni come Omar Enrique Sivori e John Charles, il colosso gallese prelevato dal Leeds United formerà con loro il cosiddetto 'Trio Magico'. La squadra di Ljubisa Brocic vince lo Scudetto con tre giornate di anticipo. Per il club torinese è il decimo titolo, e per questo nella stagione seguente la Juventus si fregerà, prima in Italia, della stella sulle sue maglie. In Coppa Italia, invece, i bianconeri si fermano alle semifinali.

Boniperti segna 8 goal in 34 gare di campionato, bilancio che ripete nella stagione successiva, il 1958/59. Il 23 settembre 1959 conquista con i suoi compagni la Coppa Italia, battendo 4-1 in finale a San Siro l'Inter del tecnico danese Frank Pedersen. Nel 1959/60 arriva lo storico Double, la doppietta Scudetto-Coppa Italia, la quarta del proprio palmarès. In Serie A i bianconeri del tandem Cesarini-Parola precedono in classifica la Fiorentina, in Coppa sempre contro i viola si impongono 3-2 dopo i tempi supplementari.

Boniperti contribuisce alla stagione magica con 33 presenze e 8 goal e debutta in Coppa dei Campioni il 24 settembre 1958 nella vittoria per 3-1 contro il Wiener SC. Ma a passare il turno saranno gli austriaci.

"Sivori era strafottente - ricorderà Giampiero - Strafottente. Ti tirava i capelli, ti metteva le dita negli occhi. Ci ha creato un bel po' di problemi con gli avversari. Quando siamo andati a Vienna, nel ritorno del primo turno di Coppa Campioni, ci hanno ammazzato: 7 goal e un sacco di botte. Ce l'avevano giurata, dopo l’andata a Torino in cui Sivori aveva segnato una tripletta provocandoli in continuazione. Ma che grande giocatore, Omar. Ti divertiva, in campo e fuori, era una fortuna averlo come compagno".
"Dicevano che non andassimo d’accordo ed è vero solo in parte. Eravamo molto diversi, questo sì, mi disturbavano certi suoi atteggiamenti provocatori e glielo dicevo. Non ci siamo taciuti nulla, ma insulti mai, litigate mai. Anzi, ci siamo divertiti insieme".

Decisamente maggiore la sintonia fra Boniperti e Charles.

"John era un gigante di 1,90, campione dei pesi massimi - ricorderà Giampiero -, che saltava con le braccia lungo i fianchi per non far male. Uno dei più grandi signori del calcio. Gran colpitore di testa, come John Hansen. Ma Hansen, dopo un po' che era in Italia, aveva capito tutto e i gomiti li allargava. Charles no".
"Io allora mi arrabbiavo. Nell’intervallo delle partite spesso non cambiavo i calzoncini e non bevevo il tè per stare a parlare con lui: 'John, alza ‘sti gomiti. Non vedi che ti picchiano? Se tu allarghi i gomiti noi segniamo sempre'. Ma lui non l'aveva nel sangue, faceva dei gran sì con la testa e poi continuava a giocare come al solito...".

Il 'Trio magico' danza per l'ultima volta nella stagione 1960/61. I bianconeri si laureano campioni d'Italia con 4 punti di vantaggio sul Milan e 5 sull'Inter, ma proprio con il club nerazzurro non mancano le polemiche nel finale di campionato. Il 16 aprile 1961 l'Inter si presenta al Comunale con 4 lunghezze da recuperare sulla Vecchia Signora.

La gara inizia ma è sospesa poco dopo la mezzora per la presenza di tanti spettatori ai bordi del campo, fatto che configura 'un'invasione di campo'. Inizialmente viene dato il 2-0 a tavolino all'Inter dalla Commissione disciplinare, che configura la responsabilità oggettiva della Juventus, poi però la Commissione d'Appello ribalta la decisione e commuta la pena in una multa a carico del club bianconero, disponendo tuttavia la ripetizione della partita, fissata per il 10 giugno 1961.

Con la sconfitta a sorpresa al Cibali di Catania all'ultima giornata, l'Inter perde matematicamente la possibilità di conquistare il titolo, nonostante il pareggio bianconero col Bari. La ripetizione di Juventus-Inter diventa dunque inifluente, e, in segno di protesta, il presidente dell'Inter, Angelo Moratti, decide di mandare in campo per l'occasione la squadra dei ragazzi. La Juventus vince facilmente per 9-1, con 6 goal di Sivori, ma quella partita passa alla storia per essere l'ultima di Giampiero Boniperti e la prima di Sandro Mazzola.

Dopo aver incrociato in campo il figlio del grande Valentino, che tanto ammirava da giovane, Boniperti dice basta. E lo fa appena rientrato negli spogliatoi.

"Crova, ecco le mie scarpette - dice al magazziniere bianconero -. Tienile tu, a me non servono più. Oggi con il calcio ho chiuso".

Quel 10 giugno 1961, ancora trentaduenne, Boniperti si ritirava dopo 15 anni di Juventus, di cui 7 da capitano, 7 titoli (5 Scudetti e 2 Coppe Italia), 471 presenze (443 in Serie A, 13 in Coppa Italia, 9 nelle varie Coppe europee e 6 nella Coppa Rio) e 188 goal (178 in campionato, 1 in Coppa Italia, 3 nelle Coppe europee, 6 nella Coppa Rio).

“La Juve era il sogno della mia vita. La sognavo davvero - dirà -. Perché io avevo in quegli anni un solo desiderio: giocare una partita di serie A con la maglia bianconera. Me ne sarebbe bastata una, ero sicuro, per essere felice per sempre. È andata meglio: in campionato ne ho giocate 444 (443 più quella sospesa contro l'Inter, ndr)...”.

Riconosciuto dalla Juventus come calciatore più rappresentativo nella storia della società, ha detenuto per 49 anni, fino al 30 ottobre 2010, il record di reti in Serie A con la maglia bianconera (178), poi battuto da Alessandro Del Piero, e fino al 5 febbraio dello stesso anno, il primato di presenze con la Vecchia Signora nel massimo campionato (443), che è stato superato anch'esso da Del Piero.

DIRIGENTE, PRESIDENTE, EUROPARLAMENTARE

Smessi i panni del calciatore, il rapporto fra Boniperti e la Juventus non finisce, ma anzi, si rinnova sotto le nuove vesti del dirigente. La bandiera bianconera inizia a lavorare dietro una scrivania per il club per cui aveva sempre giocato, e nel 1969 diventa amministratore delegato. Dopo altri due anni, nel 1971 Boniperti assume la carica di presidente, che ricoprirà ininterrottamente per 19 anni, diventando anche la personalità più influente nella storia della Juventus.

Per due anni, fino al 1973, è affiancato da Italo Allodi, poi diventa il Deus ex machina della Juventus, che gestisce con metodi industriali e uno stile e una signorilità unici, e la porta a conquistare grandi successi in Italia, ma soprattutto in Europa e nel Mondo.

A lui si deve l'arrivo di campioni come Zoff, Scirea, Causio, Bettega, Paolo Rossi, Tardelli, ma anche Cabrini, Gentile, Furino, e, dopo la riapertura delle frontiere, Boniek e soprattutto Michel Platini. Ma anche quello di Alessandro Del Piero, che sarà poi colui che batterà i suoi primati.

Fra gli allenatori, punta su Picchi, poi su Vycpalek, Parola e Trapattoni, con il quale raggiunge i traguardi più importanti, a partire dalla Coppa UEFA del 1976/77, primo trofeo internazionale della storia della Juventus, per concludere con la Coppa Intercontinentale conquistata nel dicembre 1985. Negli ultimi anni si affida a Marchesi e a Dino Zoff, che gli regala altri successi.

Giampiero BonipertiGetty Images

In mezzo gioie e dolori, tante trattative di mercato giunte a buon fine e alcune mai concretizzatisi. Su tutte quella per Gigi Riva, il bomber e simbolo del Cagliari, che non riuscirà mai a convincere a trasferirsi a Torino.

"Agnelli mi voleva, ma quello che non mollava proprio mai era Boniperti - racconterà 'Rombo di Tuono' -. Per tre anni mi ha cercato con insistenza: non si rassegnava. Lo dichiarai anche all’epoca sui giornali che a Torino non sarei mai andato. Ogni anno però mi chiamava lo stesso, sperando che avessi cambiato idea. Partiva da lontano col discorso, ma poi arrivava sempre lì, alla Juve. E ogni volta gli ho risposto cortesemente di no. Quando il Cagliari giocava in continente, spuntava sempre Allodi, che mi diceva: 'Dai, telefoniamo a Boniperti'. Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito...".

Per convincere il campionissimo, nel 1972 arriva a fare una proposta irrifiutabile: un miliardo di Lire più 6 giocatori a scelta al club sardo. Ancora una volta però Riva dirà no. Quella telefonata tanto attesa, Boniperti la avrà così soltanto negli anni in cui ha lasciato gli incarichi operativi ed è diventato presidente onorario.

"Un giorno, qualche anno fa, in un aeroporto, incontro qualcuno della Juve che mi dice: 'Gigi, chiamiamo insieme Boniperti e gli facciamo gli auguri?'. Ora, se c'è una persona che stimo, nel mondo del calcio, è proprio Boniperti. E quindi rispondo: 'Certo!'. Così prendo la linea io e per un effetto sorpresa faccio: 'Sono Gigi Riva!'. Sento dall'altra parte del telefono che lui c'è. Ma non dice nulla. Gli faccio: 'Mi senti Giampiero?'. 'Ti sento, ti sento Gigi'. E fa una pausa. Allora gli chiedo: 'Tutto bene?'. E lui, serissimo: 'Bene, sì. Ma non sarei sincero se non ti dicessi che io questa telefonata da te l'aspettavo 50 anni fa' ...".

Nel 1961 andò male per Pelé, come nel 1982 per Diego Armando Maradona, che era stato prenotato.

"Andai in Argentina per chiudere - rivelerà Boniperti ad 'As' -, ma il presidente della Federazione Grondona si era messo di mezzo, mi odiava e ostacolò il trasferimento. Così Diego andò al Barcellona".

Gianni Agnelli racconterà a 'Mixer', su 'Rai Due', un'altra versione, più maligna:

"Mondiali di Argentina 1978, telefono a Boniperti e gli dico: 'Mi hanno segnalato un giovane con delle doti eccezionali, ti prego di farlo guardare. Si chiama Maradona e dev’essere qualcuno” e la risposta di Boniperti fu: 'Se fosse qualcuno, lo saprei'...".

Più avanti la Vecchia Signora fallirà l'assalto a Donadoni e Gullit. Ma gli aneddoti fioccano anche nella gestione dei suoi giocatori, da cui esigeva un look semplice e pulito e i capelli corti. Per questo, spesso, invitava i nuovi acquisti a tagliarli.

"Una testa senza capelli è più leggera anche per il calcio - sosteneva Boniperti -. È giusto presentarsi in pubblico con un aspetto decente".

Si dice poi che dopo lo Scudetto perso nel 1975/76 e vinto dai rivali del Torino, avesse con sé la foto del Perugia nel suo ufficio.

"Non è una leggenda - confermerà divertito Beppe Furino -, Boniperti ci aspettava come al solito per rinnovare il contratto nel suo ufficio di Villar Perosa e se qualcuno chiedeva l’aumento, saltava fuori la foto di Perugia. Così fra il serio e l’ironico, il presidente chiedeva: 'Tu c’eri qui? E mi chiedi pure l’aumento?'. Quella foto di Perugia racchiudeva in sé un altro messaggio, forse più importante dell’ingaggio. La Juventus, allora come oggi, partiva sempre per vincere lo Scudetto. Se non lo vinceva bisognava ragionare e analizzare bene la cosa. Mostrarci quella foto significava dirci: voi siete nati per vincere e non si può derogare da questo destino".

Alla fine degli anni Settanta, gli Agnelli affidano a Boniperti anche la gestione della Sisport, la società polisportiva della famiglia, e lui, con atleti come Maurizio Damilano, Pietro Mennea, Sara Simeoni e Gabriella Dorio la porterà ai vertici nazionali e internazionali.

Boniperti resta alla presidenza della Juventus fino al febbraio 1990, quando rassegna le dimissioni e viene sostituito da Vittorio Caisotti di Chiusano. Antonio Matarrese lo nomina capo delegazione dell'Italia ai Mondiali di Italia '90.

Fallita la rivoluzione di Montezemolo e Maifredi, torna nel giugno 1991 come amministratore delegato con pieni poteri. In questi panni mette a segno il colpo Del Piero nell'estate del 1993.

"L'ho conosciuto un pomeriggio a Udine - racconterà Alex a 'Sky Sport' - Era semplice e diretto, quando sono andato a Torino mi ha portato nella sala dei trofei. Me li ha fatti vedere e mi ha detto che si augurava che avrei aiutato la squadra a vincerne altri. Poi ha aggiunto di non preoccuparmi per il contratto ma di firmare: la cifra l'avrebbe messa lui. Io ho firmato in bianco e di quella firma non ho nessun rimorso. Ho firmato in bianco anche il mio ultimo contratto con la Juve e una delle motivazioni che mi hanno spinto a farlo è stato quell'episodio".

Saluta la società nel 1994, consegnandole in eredità quello che è stato sempre il suo motto, e che diventerà la filosofia stessa del club:

"Vincere non è importante, è l'unica cosa che conta".

Si dedica alla Politica, e viene eletto deputato del Parlamento europeo dal 1994 al 1999 nelle fila di Forza Italia. Nel 2000, quando muore il suo amico fraterno Carlo Parola, non esita ad annodargli al collo la sua cravatta della divisa bianconera.

"L’ho fatto io, - dirà a 'Virgilio Sport' nel luglio 2020 - anche se nella Juventus non avevo più un ruolo operativo. Ma il vecchio Parola alla Juventus ha portato eleganza, signorilità e gloria: non poteva andarsene nudo".

Dopo Calciopoli è richiamato dalla famiglia Agnelli per il progetto di ricostruzione della società. Dal 2006 al 2021 ricopre così la carica di presidente onorario assieme a Franzo Grande Stevens. Il suo amore per i colori bianconeri resta immutato fino alla fine.

Dopo una vita per la Juventus, si spegne il 18 giugno 2021 a Torino in seguito ad un'insufficienza cardiaca, a poche settimane dal suo 93° compleanno. Lasciando un grande vuoto nel calcio italiano.

"Caro Presidente, nessuno è stato la Juventus come lei, e nessuno lo sarà - scrive Del Piero su Instagram -. Io le devo tutto o quasi, da calciatore, e molto anche da uomo. Perché senza la Juventus, senza la sua Juventus, io non sarei quello che sono. Le sarò grato per sempre e spero di essere riuscito a ricompensarla sul campo e fuori dal campo, come voleva lei".

L'Italia gioca con il lutto al braccio la terza gara del girone di Euro 2020 contro il Galles. Nel 2012 era entrato nella Hall of Fame del calcio italiano come dirigente, mentre in precedenza, nel 2004, Pelé lo aveva inserito nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori giocatori viventi dell'epoca. Per sempre sarà identificato come il simbolo senza tempo della Juventus.

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