GOAL12 aprile 2001. Nella sala stampa del Camp Nou va in scena una piccola, grande rivoluzione. Dopo 17 anni di barcelonismo, Pep Guardiola annuncia quel che nessuno si sarebbe voluto sentir dire: se ne va, cambia aria, abbandona il nido per portare un pizzico di novità alle ultime stagioni della propria carriera di calciatore. “Voglio terminarla all'estero – dice – per conoscere nuovi paesi, nuove culture, nuovi campionati”. Verrà in Italia. Prima a Brescia, quindi a Roma, infine di nuovo a Brescia. Giocherà con Roberto Baggio e Francesco Totti. Not bad.
Certo, ora il Barcellona si ritrova per le mani il bel problema di mettere una pezza a un addio che non è, e non può essere, come tutti gli altri. Perché è Guardiola a non essere come tutti gli altri: è arrivato a 13 anni a La Masia e se ne va a 30. Tornerà anni dopo per cambiare la storia recente del club, questa volta da allenatore in giacca e cravatta, ma ai tempi nessuno può immaginarlo. Del resto, interessa solo l'hic et nunc, il qui e ora. Tradotto: bisogna trovare un profilo che possa prendere il posto del Pep. E il profilo si trova. Gioca in Brasile e non ha nemmeno 20 anni. Si chiama Fabio Rochemback. E non lo sa ancora, ma verrà ricordato come uno dei fallimenti più sonori della storia recente del Barça.
Eppure, quando arriva in Catalogna, le sue credenziali sono più che positive. A visionarlo è stato direttamente Carles Rexach, prima vice di Serra Ferrer e poi in panchina nella parte finale del 2000/2001. Lo ha visto all'opera nell'Internacional e se n'è innamorato. Il ragazzo è pure nel giro della Seleção, che lo ha convocato per la prima volta a nemmeno 18 anni, in una gara contro il Venezuela finita 6-0 con poker di Romario. E così, l'accordo con l'Inter si fa: nelle casse del club di Porto Alegre volano due miliardi e 430 milioni di pesetas, circa 12 milioni di euro. Rochemback è in buona compagnia: assieme a lui giunge dal Cruzeiro il ventunenne Geovanni. Giusto per soffocare la saudade di casa.
“La dirigenza non accettò di pagare le cifre richieste per Buffon, Thuram e nemmeno Toldo – ricorda l'ex agente Josep Minguella, l'uomo che portò a Barcellona Diego Armando Maradona, nel suo 'Minguella Leaks' – Così prese Bonano e Christanval. Nel frattempo parlarono anche con Luiz Felipe Scolari. Lo consultarono perché serviva qualcuno di forte e lottatore a centrocampo e un attaccante rapido. Scolari parlò a Rexach di Fabio Rochemback. “Sarà il nuovo Dunga”, diceva. E raccomandò anche Geovanni, del Cruzeiro.
La notizia dell'acquisto di Rochemback arriva anche a un giovanissimo centrocampista fatto in casa. Mikel Arteta, si chiama. L'attuale manager dell'Arsenal è un prodotto de La Masia sul quale il Barcellona non ha mai contato più di tanto. Fa parte della rosa, ma quando capisce che sta per arrivare il brasiliano sospira: “Dicono che stanno prendendo un brasiliano e che sia il nuovo Guardiola: significa che non credono in me”. Vero: in quella stessa estate sarà prestato al PSG, che non è esattamente il PSG di oggi. E poi ceduto a titolo definitivo ai Rangers. Al Barça non tornerà mai più.
Quando Rochemback sbarca in Spagna, i quotidiani si scatenano con i paragoni. Quello con Guardiola, naturalmente. E poi proprio con Johan Neeskens, uno dei pilastri dell'Ajax del calcio totale, al Barcellona dal 1974 al 1979. Nella conferenza stampa di presentazione, il giovane brasiliano prende le distanze dal Pep, avvicinando semmai, come suggeriva Scolari, il proprio stile di gioco a quello di Carlos Dunga, con cui ha condiviso lo spogliatoio nei suoi ultimi mesi da calciatore: “Amo giocare sul centro-destra del centrocampo, come ho sempre fatto sia nell'Internacional che nel Brasile”. Eccolo, l'equivoco: Rochemback è stato preso per rimpiazzare Guardiola, ma ha caratteristiche diverse. Si divide tra inserimenti e fase di distruzione del gioco e ha la dinamite nel piede destro. È più fisico, più aggressivo. E non possiede la stessa capacità di organizzazione del suo illustre predecessore.
Getty ImagesEppure l'avventura col Barcellona non inizia con il piede sbagliato. All'esordio in Liga, Rochemback sforna un assist per Kluivert. E si ripete una settimana più tardi contro il Rayo Vallecano. In mezzo al campo fa coppia con un altro giovane di buone prospettive, tale Xavi. E attira l'attenzione anche dei suoi connazionali, che da lontano chiedono a gran voce al ct Scolari di riprendere a convocarlo nonostante il sonoro flop (generale) nella Copa America dell'estate 2001.
“Ho guardato la partita tra il Barcellona e il Tenerife – scrive a inizio ottobre il giornalista Arnaldo Ribeiro sulla rivista PLACAR – Quando la gara è finita, ho quasi chiamato Felipão. “Come puoi convocare Eduardo Costa ed escludere Fabio Rochemback?”. Da quando uno giocava nel Gremio e l'altro nell'Inter, o da quando erano compagni di squadra nella Seleção Under 20, si poteva intravedere che Eduardo è tutta distruzione, mentre Fabio è costruzione e pure conclusione. Entrambi giocano a centrocampo, sono giovani, ma Fabio è molto più completo. E non a caso gioca in uno dei club più importanti del mondo, mentre Eduardo è al Bordeaux. Non c'è paragone”.
La serata più bella è ad Anfield. 20 novembre 2001, Liverpool contro Barcellona. Vincono gli spagnoli per 3-1 e Rochemback è uno dei grandi protagonisti. Michael Owen ha portato in vantaggio i Reds, ma Kluivert ha rimesso le cose a posto poco prima dell'intervallo. A metà ripresa sempre Kluivert si ritrova il pallone al limite dell'area, spalle alla porta, e lo appoggia all'accorrente Rochemback: destro a giro perfetto che si infila alle spalle di Dudek. Una rete che quasi tutti ricordano ancor oggi.
L'incantesimo finisce ben presto. Non è un gran Barcellona, quello del 2001/2002, anche se si inerpica fino alla semifinale di Champions League, perdendola dolorosamente contro il Real Madrid. E Rochemback risente dell'andazzo generale. Gioca spesso, a dire la verità, perché la fiducia del suo mentore Rexach non viene mai meno. Ma finisce nel calderone generale delle difficoltà di una squadra che si qualifica alla Champions League solo all'ultima giornata, dopo uno scontro diretto contro il Valencia, grazie all'indimenticabile rovesciata in extremis di Rivaldo e per il criterio della differenza reti.
Quando in panchina si siede Louis van Gaal, le porte iniziano lentamente a chiudersi. Rochemback gioca titolare solo una volta in Liga da settembre a dicembre 2002, un'ottantina di minuti contro il Rayo Vallecano. La situazione non migliora con l'esonero dell'olandese e l'arrivo di Radomir Antic. Alla fine il brasiliano collezionerà 21 presenze, gran parte delle quali da subentrato. Un rendimento misero che è quasi una sentenza di separazione. Ed è effettivamente così, perché nell'estate del 2003 il Barça accetta di cederlo in prestito, e 12 mesi più tardi a titolo definitivo, ai portoghesi dello Sporting, includendolo nell'operazione che porta al Camp Nou Ricardo Quaresma.
È la fine di ogni sogno di rimanere ai massimi livelli in Europa. E una macchia indelebile sulla reputazione di Rochemback. Cercate nei siti spagnoli qualche undici formato dai peggiori acquisti della storia del Barcellona: difficilmente il nome del brasiliano sarà escluso dalla lista. L'ex barcelonista Ferran Soriano, oggi uomo forte del Manchester City, ha parlato anche di lui nel suo celebre libro “La pelota no entra por azar”, ovvero “La palla non entra per caso”.
“Una volta chiesi a un dirigente del Barcellona dell'epoca in cui furono ingaggiati due giocatori brasiliani molto giovani, praticamente sconosciuti e senza esperienza nel calcio europeo (Giovanni Deiberson e Fabio Rochemback), perché lo avessero fatto e avessero pagato una somma così elevata (rispettivamente 18 e 12 milioni di euro). Mi rispose: “Mi avevano detto che Rochemback era uguale a Neeskens e che Geovanni era il nuovo Garrincha. Pensai che, dopo tanti errori commessi e dopo tanta sfortuna, forse qualche decisione sarebbe stata buona, che era giusto che finalmente ci andasse bene qualcosa”. Come dire che, apparentemente, aveva deciso che il Barça spendesse 30 milioni di euro per due giocatori giovani e sconosciuti perché era convinto che la provvidenza doveva risarcirlo di tutti gli errori e delle disavventure precedenti. È chiaro che esiste un criterio più razionale per valutare la necessità di ingaggiare dei giocatori e a quale prezzo, un criterio che non ha niente a che vedere con la fortuna, il caso o una presunta montagna russa di successi ed errori governata da un Dio capriccioso”.
Getty ImagesTornando a Rochemback, lo Sporting si dimostra un contesto più adeguato alle sue potenzialità. Tanto che, nel 2004/2005, anche lui partecipa a pieno titolo alla cavalcata dei portoghesi in Coppa UEFA, interrotta dolorosamente in finale, e in un Alvalade vestito a festa, dal CSKA Mosca di Vagner Love. Tornerà a Lisbona nel 2008, dopo un triennio inglese col Middlesbrough, durante il quale nuovamente si isserà fino a una finale di UEFA e nuovamente uscirà sconfitto, questa volta contro il Siviglia.
Chiuderà in Cina, al Dalian, dopo aver coronato il proprio sogno d'infanzia: giocare con il Gremio. Lui che la carriera l'ha iniziata sull'altra sponda di Porto Alegre, coi colori rossi dell'Internacional. “Ma sono un professionista, i tifosi devono capirlo”, si giustifica appena tornato in Brasile. E poi all'Inter ha conosciuto Leandro Guerreiro, scoprendo per puro caso di essere... suo cugino. Come dire che non tutti i mali, naturalmente sportivi, vengono per nuocere. Neppure un biennio poco fortunato al Barcellona, in fondo.
E poi c'è la storia del combattimento tra galli, roba di qualche anno fa. Alcuni personaggi organizzano sfide clandestine e pure lui finisce in mezzo alla bagarre degli arresti. Un modo come un altro per tornare in auge, per uno che è ricordato quasi esclusivamente per aver fallito la missione di sostituire Guardiola.


