Diego Cavalieri LiverpoolGetty Images

Diego Cavalieri e le delusioni in Premier League e Serie A: zero presenze in 3 anni

Archivio StorieGOAL

In principio fu Claudio Taffarel. Una novità assoluta. Perché portare un portiere brasiliano in Italia, in quegli anni, equivaleva più o meno a entrare in chiesa in mutande e canottiera: un'eresia. E poi fu Dida, e poi fu Julio Cesar, e poi fu, semplicemente, moda. E poi fu Diego Cavalieri. Un passo indietro, se non due o tre. Qualcuno se lo ricorda, molti altri no. E del resto non è semplicissimo tenere a mente un calciatore passato per il nostro campionato senza lasciare alcun tipo di traccia, tra i proclami di chi si diceva pronto a spaccare il mondo e una realtà rivelatasi completamente differente: zero presenze, qualche mugugno, il foglio di via dopo nemmeno sei mesi.

Cesena, estate 2010. Che in Romagna sbarchi un calciatore del Liverpool è un discreto evento. Anche se Cavalieri, a dire il vero, con i Reds ha giocato pochissimo. Quasi mai, per la verità. Il club lo ha prelevato un paio d'anni prima dal Palmeiras, a 26 anni, in cambio di quattro milioni e mezzo di euro circa. Qualcuno non è riuscito a comprendere a fondo la motivazione di quell'investimento. Non tanto per la diffidenza nei confronti di un portiere proveniente dal Brasile, quanto per il fatto che Diego a San Paolo faceva la riserva. Non di uno qualunque, in realtà: di Marcos, il “Santo”, leggenda vivente del Verdão e campione del Mondo nel 2002 col Brasile di Scolari. Anche se in campo se la cavava piuttosto bene, facendosi trovare pronto nei non rari giorni d'assenza per infortunio del titolare.

L'articolo prosegue qui sotto

Al Liverpool, che nel 2008 ha superato la concorrenza di diversi club europei tra cui anche il Siena, Cavalieri si ritrova a fare da ombra a un numero 1 ancora più illustre: Pepe Reina. Prova a lottare, a rovesciare le gerarchie, ma non c'è nulla da fare. In due anni, non mette mai piede in campo in Premier League. Zero presenze, zero opportunità, tante panchine. Nel 2020 il sito 'Rousing the Kop' lo ha inserito, in maniera forse un po' ingrata, nella flop 11 dei Reds dello scorso decennio. Assieme a lui, anche personaggi come Christian Poulsen o il nostro Alberto Aquilani.

“Sono arrivato al punto di mettermi a piangere – ha rivelato nel 2012 a 'Globoespoerte' – chiedendomi: 'Sto facendo qualcosa di sbagliato? Sto disimparando a giocare a calcio?'. Quando rimani per due anni e mezzo senza mai giocare, le cose si complicano molto. Le buone stagioni col Palmeiras sono state azzerate”.

Di Cavalieri al Liverpool si ricorda poco, talmente poche sono state le sue apparizioni tra i pali. In qualche serata autunnale o invernale di un primo o secondo turno di League Cup, certo, tocca a lui. Ma è solo questione di turnover, di forze da preservare. Gioca anche un paio di volte nei preliminari di Europa League e colleziona un paio di presenze in Champions League: una di queste, contro la Fiorentina nel gennaio del 2009, l'epica sfida che vede la formazione di Prandelli espugnare Anfield in rimonta e qualificarsi per la fase a eliminazione diretta.

La serata più nera, però, Cavalieri l'ha già vissuta poco più di un anno prima. Nel novembre del 2008, c'è lui tra i pali del Liverpool che sfida il Tottenham in League Cup. Gli Spurs si sono già imposti un paio di settimane prima e vincono anche quella volta. 4-2 è il risultato finale, con il brasiliano che ha sulla coscienza un paio di reti avversarie. Il giornalista Tim Vickery, grande esperto di futebol brasiliano, scrive sul sito della BBC: “È stata dura non provare pena per lui”.

Fraizer Campbell Diego Cavalieri Tottenham Liverpool League Cup 2008Getty Images
“Ma non mi pento di aver scelto il Liverpool – dirà nel 2012 a ESPN.com.br – Quando ci sono andato ero la riserva di Marcos. Difficilmente sarebbe capitata un'altra opportunità di giocare per una grande squadra europea, il sogno di tutti. Non mi pento. Ho imparato molto, anche se nessuno è felice se non gioca. Tanto che, nonostante avessi altri due anni di contratto, ho mollato tutto e me ne sono andato in Italia”.

Italia uguale Cesena, appunto. Poche settimane prima i romagnoli hanno ritrovato quella A perduta da un paio di decenni, volando in 24 mesi dalla terza alla prima serie. In panchina è arrivato Massimo Ficcadenti al posto di Pierpaolo Bisoli, il tecnico della promozione. In rosa compaiono Emanuele Giaccherini, Ezequiel Schelotto, Yuto Nagatomo e Marco Parolo. Tutta gente che più tardi spiccherà il volo verso qualche grande squadra. Oltre al vecchio Francesco Antonioli, 41 anni, già campione d'Italia con Milan e Roma.

Il portiere titolare è lui, ma la dirigenza decide di affiancargli Cavalieri per dare vita a una sana concorrenza. Quando il brasiliano sbarca in Romagna, il direttore generale Luca Mancini non riesce a contenere l'entusiasmo: “Abbiamo portato un grande portiere in una piccola città”. Il suo agente, Juninho Parmigiani, dice invece che Diego “non è arrivato qui per fare una comparsata una volta ogni tanto, ma per giocare”. Il Cesena non ha dovuto sborsare un euro per il cartellino, essendo riuscito a convincere il Liverpool a lasciar partire gratis il suo brasiliano triste.

La conferenza stampa di presentazione a stampa e tifosi è una compilation di ultime parole famose. “Sento già un’aria diversa rispetto a quella inglese, ho trovato un gruppo bellissimo”, dice Cavalieri. E poi: “Antonioli? Un bel portiere e una bella persona, mi sta già aiutando ad ambientarmi. Il dualismo con lui sarà positivo per spronarci a lavorare sodo, poi deciderà il mister. La competizione porta a dare il massimo”. E ancora: “Cercare di bloccare i tiri di campioni come Eto'o sarà una bella sfida”. E infine: “Sono pronto a dare il cento per cento sin da sabato”.

Quel sabato, ovvero il 28 agosto 2010, il Cesena va a Roma e strappa uno 0-0 che vale come una vittoria. In porta va Antonioli, mentre Cavalieri si accomoda in panchina. Senza drammi. Lo stesso accade la giornata successiva, 2-0 al Milan di Ibra e Allegri. E poi quella dopo. E quella dopo ancora. Morale della favola: nonno Antonioli si dimostra all'altezza nonostante l'età avanzata e il brasiliano inizia progressivamente a sentirsi sempre meno a proprio agio.

Il direttore tecnico Lorenzo Minotti applaude l'ex giallorosso, giura che “Cavalieri mi sembra una persona seria, che ha capito la situazione” e che “non esiste nessun caso”. Ma non è proprio così, anche se non si registrano sfoghi pubblici. L'ex Liverpool scende in campo una volta sola in sei mesi. Non in campionato: in Coppa Italia. Un 1-3 casalingo dopo i supplementari contro il Novara di Attilio Tesser, destinato a tornare in Serie A al termine di quella stagione. Deprimente.

Quando all'inizio del 2011 arriva la chiamata del Fluminense, Cavalieri non ci pensa su due volte e riempie le valigie. Il Tricolor carioca è alla ricerca di un portiere di livello da una ventina e passa d'anni, dai tempi di Paulo Victor. Poche settimane prima ha vinto il campionato alternandone... tre. Ha bisogno di stabilità tra i pali. Ma non la trova immediatamente. Perché Diego è visibilmente condizionato dalla lunga inattività e, dopo un erroraccio in Copa Libertadores contro l'Argentinos Juniors, viene preso di mira dai tifosi. Ed è costretto a far spazio al secondo Ricardo Berna, sedendosi di nuovo in panchina. Pure in Brasile. Una maledizione.

Dura poco, in ogni caso. Cavalieri si riprende ben presto il posto e non lo molla più. Il 2011 è un anno positivo individualmente e collettivamente, se è vero che il Fluminense chiude terzo. Il 2012, addirittura magnifico. I carioca conquistano il secondo Brasileirão in tre anni e il loro portiere viene unanimemente considerato il più bravo del paese. Una saracinesca che non lascia passare praticamente nulla. Dalle tribune dell'Engenhão, dove in quegli anni il Fluminense gioca le proprie partite casalinghe in attesa che il Maracanã venga ristrutturato per i Mondiali del 2014, il canto è sempre lo stesso: “É o melhor goleiro do Brasil”. È il miglior portiere del Brasile. Lo chiamano “homem de gelo”, uomo di ghiaccio, per la sua imperturbabilità in campo e fuori. Sui social spopola un meme che lo ritrae in diversi stati d'animo: arrabbiato, triste, felice. Sempre con la stessa (non) espressione.

Diego Cavalieri FluminenseGetty Images
“Difficilmente festeggio molto, o esagero. E continuerò così – ha detto a 'Globoesporte' – È una mia caratteristica. Sono sempre stato così, anche fuori dal campo. Ciò mi aiuta a mantenere la concentrazione”.

Uno strepitoso 2012 porta Cavalieri a scoprire la Seleção alla bella età di 30 anni. Nel novembre di quello stesso anno, poco dopo il trionfo nel Brasileirão, l'ex cesenate sfida l'Argentina nel Superclásico de las Americas assieme a quattro compagni: Carlinhos, Jean, Thiago Neves e Fred. La “SeleFlu”, come viene ribattezzata ai tempi, si impone ai rigori grazie anche alla notte di grazia del proprio goleiro, che ne para un paio. È il vero apice della carriera di Cavalieri, che aveva scelto Cesena anche nell'ottica di una chiamata in Nazionale, ma che la Nazionale la conquista a Rio. Tenendosela stretta nella Confederations Cup del 2013, ma mancando i Mondiali casalinghi dell'anno seguente.

Il rapporto col Fluminense, costretto a disfarsi di un pezzo grosso dopo l'altro dopo la rottura col colosso sanitario Unimed, si consuma alla fine del 2017. Avviene in maniera traumatica: con un... messaggio Whatsapp. Spedito a lui e ad altri elementi della rosa dall'ingaggio troppo pesante, come l'ex napoletano Henrique. Uno smacco che gran parte della tifoseria non ha mai perdonato alla dirigenza dell'epoca, accusata di ingratitudine nei confronti di uno dei grandi eroi moderni del club verde, bianco e granata.

Evidentemente, però, è destino che Cavalieri sia profeta soltanto in patria. Perché prima di chiudere col Botafogo, sempre a Rio, c'è spazio per un'altra discreta delusione fuori dai confini brasiliani. Sempre in Inghilterra, sempre in Premier League. Lo chiama il Crystal Palace e lui non sa resistere. Ritrova Roy Hodgson, il manager che l'aveva lasciato partire in direzione Cesena e che, nel 2010, diceva di lui: “Ha fatto un lavoro meraviglioso qui, ma non poteva più rimanere a guardare Reina ogni settimana”. La situazione non cambia nemmeno alle Eagles, perché il titolare in quella stagione è Wayne Hennessey e schiodarlo dai pali non si può.

Va addirittura peggio che a Liverpool, dando un'occhiata ai dati: Cavalieri non scende in campo neppure per un minuto in Premier League, ancora una volta, ma nemmeno nelle due coppe nazionali, dove se non altro coi Reds qualche comparsata l'aveva collezionata. E dopo pochi mesi, nell'estate del 2018, viene lasciato libero. Farà ritorno in patria per vestire la maglia del Botafogo sino all'estate del 2021. Al di fuori della terra natìa, però, il bilancio è impietoso: tre anni tra Premier League e Serie A e zero minuti in campo. Un destino crudele.

Pubblicità