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Marcos Brazil 2002Getty Images

Marcos, il "santo" campione del Mondo senza voler giocare

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18 anni dopo, del Brasile pentacampeão nel 2002 in Giappone e Corea del Sud ci si ricorda praticamente tutto. Gli inguardabili capelli di Ronaldo e le sue strepitose prestazioni in campo. I doppi passi e le simulazioni di Rivaldo. Ronaldinho che sorprende Seaman da casa sua. Cafu che alza al cielo di Yokohama la quinta Coppa del Mondo. Un attimo, però: ma chi c'era in porta? Taffarel no, Dida nemmeno. Non è semplice ricordarselo, perché il personaggio in questione non ha mai fatto granché per farsi ricordare dal grande pubblico, preferendo diventare immortale nel giardino di casa. Con l'eccezione della meravigliosa parentesi nippo-coreana, naturalmente.

Non servono molte parole per descrivere chi e cosa sia e rappresenti Marcos Roberto Silveira Reis, per tutti Marcos, che oggi ha 47 anni e che verrà ricordato eternamente per aver difeso i pali di quel Brasile. Uno che nella propria carriera ha indossato una e una sola maglia: quella del Palmeiras. Oltre all'amarelinha, appunto. Al contempo, Marcos è uno e trino. Nel vero senso del termine. Bandiera, idolo, ma soprattutto santo, perché è così, são Marcos, che i tifosi del Verdão lo hanno ribattezzato. Un vero oggetto di culto (nazionale, non solo locale) per il quale sono state organizzate processioni, costruite statue, scritti libri, lanciati dvd.

Marcos, del resto, ha sempre giocato nel Palmeiras. E sempre significa sempre. 20 anni esatti, dal 1992 al 2012, l'anno del ritiro. Tra lui e Rogerio Ceni, il portiere goleador del San Paolo, è una bella lotta in fatto di iconicità. Difficile capire se sia Marcos il Rogerio del Palmeiras, pur senza battere rigori e punizioni, o il contrario. Perché il paulista nato nella minuscola Oriente, poco più di 6000 anime nello Stato di San Paolo, ha il merito non comune di aver messo d'accordo tutti: tifosi, avversari, semplici appassionati, critici.

L'apice della carriera di Marcos, manco a dirlo, è la conquista dei Mondiali del 2002. Da protagonista. Di più: da protagonista assoluto. Il portiere del Palmeiras, divenuto titolare pochi mesi prima al posto di Dida, padrone dei pali nella Confederations Cup del 1999, è l'unico della “familia Scolari” a giocare tutti i 90 minuti di tutte le partite. Subisce pochissime reti, appena 4 in 7 gare, e si erge a baluardo. Contribuendo ancora una volta, come aveva fatto il predecessore Taffarel, a innalzare il bistrattato ruolo del goleiro a un livello superiore.

Spettacolare, Marcos lo è soprattutto nel difficilissimo quarto di finale contro il Belgio e nella storica finale contro la Germania. Quella della doppietta di Ronaldo versione mohicano e della clamorosa papera di Oliver Kahn in occasione della prima rete del Fenomeno. Alla fine il Pallone d'Oro della competizione e il Premio Yashin se li prende proprio il capitano tedesco, in effetti fin lì impeccabile, ma sono in tanti a pensare che due riconoscimenti del genere sarebbero potuti spettare proprio al collega brasiliano.

E pensare che Marcos, in quell'estate 2002, nemmeno vorrebbe essere in campo. Prego? Sì, proprio così. Il "santo" non si sente in forma, col Palmeiras non sta vivendo un buon momento. Ed è talmente umile da consigliare a Luiz Felipe Scolari di puntare su altri profili per condurre il Brasile verso la finale.

“Dida e Rogerio Ceni stavano giocando meglio di me. Io non avrei avuto la totale fiducia da parte della gente, che già stava perdendo la pazienza con qualche errore commesso con la Seleção. Dicevo a Felipão: 'Punta su Dida, schiera Rogerio'. Ma lui un giorno mi ha preso da parte e mi ha detto: 'Non mi interessa quello che dice la gente. Il mio portiere sei tu, quindi preparati. Sarai tu a giocare i Mondiali, punto e basta'. Alla fine l'ho abbracciato, dicendogli: 'Grazie per aver creduto in me'. Perché ero io a non credere in me stesso”.

Marcos Luiz Felipe Scolari Felipão Brasil Turquia Copa do Mundo 2002Stu Forster/Getty Images

Che quel 2002 sia particolarmente strano, poi, è testimoniato da quel che accade qualche mese più tardi. 17 novembre: il Palmeiras, il glorioso Palmeiras reduce da anni di vacche magre con la sponsorizzazione milionaria della Parmalat, perde per 4-3 in casa del Vitoria e retrocede per la prima volta seconda divisione. E Marcos dov'è? Non è in campo, in quanto infortunato. Ma è lo stesso lì, a piangere e a disperarsi come l'ultimo dei tifosi. Un campione del Mondo che crolla in B nello stesso anno: accadrà di nuovo nel 2006 con la Juventus, penalizzata però dallo scandalo Calciopoli.

Come decideranno di fare tre anni più tardi Buffon, Del Piero e Camoranesi – più Trezeguet, sconfitto in finale, e l'altro fuoriclasse Nedved – il Marcos iridato decide di compiere la scelta più difficile della propria carriera: rimane al Palmeiras anche in B. Oddio: a gennaio, a dire il vero, pare tutto fatto con l'Arsenal. L'accordo tra i club viene trovato e Marcos viaggia a Londra per sottoporsi alle visite mediche con i Gunners. Ha un contratto quadriennale in mano, può far parte – anche se ancora non lo sa – degli Invincibili che nel 2003/04 domineranno la Premier League senza sconfitte. Ma l'affare, impensabilmente, salta. Perché è l'Arsenal a fare un passo indietro, dicono in Inghilterra e in Brasile. No, perché ho rifiutato io, ribatte Marcos al suo ritorno in patria: “Ho ancora delle cose da risolvere qui. Non potevo andarmene adesso”.

“È la cosa più grande che abbia fatto nella mia carriera – ha raccontato qualche anno più tardi – Ci saranno stati portieri più forti di me, ma è difficile trovare un campione del Mondo che abbia giocato in Serie B. Questo è il grande marchio sulla mia carriera al Palmeiras. Sia che la squadra andasse bene, sia che andasse male, ho sempre deciso di rimanere”.

Il suo legame con il Palmeiras, del resto, è simbiotico. Pensate a Maldini col Milan, a Del Piero con la Juventus, a Zanetti con l'Inter, a Totti con la Roma, e aggiungeteci anche lui. Marcos inizia nel 1992, giovanissimo, alle spalle dell'icona Velloso. E con il passare degli anni, mentre i capelli iniziano inesorabilmente a diradarsi, la consapevolezza cresce. Con qualche storia curiosa sul rapporto tra i due concorrenti per la porta del Palmeiras.

Compagno di camera di Velloso durante i ritiri prepartita, l'ancora giovanissimo Marcos si inventa di tutto per scalzare l'intoccabile titolare. Come alzare l'aria condizionata al massimo per tentare di far ammalare il rivale. Senza successo, però. “Solo che lui non starnutiva nemmeno e io mi prendevo una polmonite: ma com'era possibile?”.

Quando Velloso allenta la presa, sul finire degli anni Novanta, inizia la leggenda del santo paratore. Marcos, che da riserva è già nel giro della Seleção, nel marzo del 1999 prende il posto del compagno infortunato. E non molla più la presa. Inizia tutto nei quarti di Libertadores contro gli eterni rivali del Corinthians. 2-0 Verdão all'andata, 2-0 Timão al ritorno, calci di rigore: Marcos ne para due, uno a Dinei e l'altro all'amico Vampeta, entrando nella storia del club. E ripetendosi un anno più tardi, sempre ai rigori e sempre contro il Corinthians, con un leggendario intervento a mano aperta sull'esecuzione di Marcelinho Carioca, parata considerata la più celebre della sua carriera.

Busto Marcos PalmeirasDivulgação/Palmeiras

Certo, i momenti duri non mancano. Qualche insulto da parte dei tifosi nei momenti bui, ma non solo. Se nel giugno del '99 Marcos conquista la Libertadores venendo eletto – prima volta per un portiere – miglior giocatore della competizione, qualche mese più tardi, in quello stesso Giappone che due anni e mezzo dopo lo consacrerà sul trono del Mondo, è proprio un suo errore su un cross dalla sinistra di Giggs a regalare a Roy Keane la rete decisiva e al Manchester United la Coppa Intercontinentale.

Nel 2005, qualche tempo dopo la tentazione Arsenal, rischia invece di accadere l'impensabile: Marcos al Corinthians. L'ambiziosissimo Corinthians che ha legami con la MSI di Kia Joorabchian, capace di portare in Brasile Carlos Tevez e Javier Mascherano. Per la porta il Timão vorrebbe l'idolo dei rivali e, a un certo punto, pare che l'operazione possa andare a segno. Come se Paolo Maldini passasse dal Milan all'Inter o Javier Zanetti compiesse il percorso inverso.

“Il problema – ha ricordato Marcos – è che il Corinthians voleva girarmi in prestito al Benfica e farmi tornare in Brasile qualche mese dopo. Io risposi loro: 'Per me non c'è nessun problema, però voi dovete spiegare quello che accadrà'”.

Per la cronaca, quel Corinthians – per un breve periodo allenato anche da Daniel Passarella – conquisterà il Brasileirão in quel 2005. Ma due anni più tardi, privo di quasi tutte le proprie stelle, retrocederà in Serie B. Marcos, però, nelle settimane in cui tratta il clamoroso cambio di maglia non può sospettarlo.

“A quei tempi il Palmeiras non vinceva nulla. Ed è difficile passare anni senza vincere nulla. Io sono palmeirense, ma se fossi andato al Corinthians avrei dato la vita per loro”.

Il tradimento, alla fine, non si consuma. Il Corinthians prende Fabio Costa e Marcos rimane al Palmeiras. Dove non vincerà più nulla, escludendo il titolo paulista del 2008. Dove, però, entrerà di diritto nella galleria degli immortali, divenendo il settimo giocatore con più presenze nella storia del club. Si ritira nel 2012, dopo anni di infortuni in serie conditi dalla richiesta, non accettata dalla dirigenza, di non essere pagato durante uno degli innumerevoli periodi ai box.

Il Marcos calciatore è anche questo: umile, capace di capire i propri limiti. Il Marcos privato, invece, è talvolta irascibile, come quando insulta il mentore Scolari dopo un'esclusione oppure quando, a un quarto d'ora dalla fine di una partita che il Palmeiras sta perdendo contro il Gremio, per due volte si precipita nell'area avversaria in occasione di altrettanti calci piazzati. Provocando un mezzo infarto a Vanderlei Luxemburgo, l'allenatore. Un'altra volta, invece, si fa portare un caffè durante una gara di Libertadores contro i boliviani del The Strongest, bevendoselo tranquillamente appoggiato al proprio palo mentre l'azione si svolge dalla parte opposta.

“Questo caffettino ha creato una polemica, eh? – ridacchia Marcos dopo il 90' – Ma se avessi bevuto un succo di frutta o un bicchiere d'acqua, nessuno avrebbe detto nulla”.

L'ultima immagine del Marcos giocatore risale al 18 settembre 2011, 1-1 in casa dell'Avaí. Nel gennaio dell'anno successivo, il portiere annuncia ufficialmente il ritiro. E alla prima partita senza di lui, l'amichevole organizzata a San Paolo contro l'Ajax, 5000 tifosi circa organizzano una vera e propria processione verso il Pacaembu, teatro della sfida. E sulle tribune, uno striscione enorme con l'effigie di Marcos: “Santificate siano le tue mani”.

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