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Claudio Pizarro BayernGetty Images

Claudio Pizarro, il modello di Lewandowski diventato leggenda in Bundesliga

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“Era forte, sempre tranquillo, aveva una tecnica incredibile. Sapeva sempre esattamente cosa fare con la palla tra i piedi, ed è questo che ho imparato da lui. Non ho problemi nel dire che molto di quello che so, l'ho imparato da lui”.

Robert Lewandowski non sembra essere uno troppo bisognoso di consigli. Affatto. Eppure anche lui ha avuto bisogno di un modello per affinare la propria tecnica, la propria visione generale. Anche se con Claudio Pizarro ha giocato solo una stagione, il 2014/15, l'unica in comune al Bayern. Però sono stati mesi importanti e utili per spiccare definitivamente il volo, e magari non è un caso che le 17 reti in Bundesliga di quell'anno siano state quasi doppiate dal polacco nel biennio successivo.

Pizarro, del resto, non è mai stato davvero uno qualunque. Per anni è stato il marcatore straniero più prolifico della storia del massimo campionato tedesco, con 195 goal in 464 partite. Nel marzo del 2019 lo ha superato proprio Lewandowski, l'allievo, tutt'oggi al secondo posto nella classifica generale di tutti i tempi. Claudio è invece sesto, dietro a personaggi come Gerd Müller, Jupp Heynckes e, appunto, l'attuale centravanti del Barcellona.

Pizarro LewandowskiGetty Images

Lo hanno amato dappertutto, Pizarro. Soprattutto in Germania. A Brema come a Monaco, le due piazze del cuore. Gli ha voluto bene il Werder, la squadra che lo ha portato in Europa nel 2001 e con la quale Claudio si è ritirato quasi due decenni più tardi, nel 2020, a quasi 42 anni e dopo un drammatico doppio spareggio salvezza contro l'Heidenheim. Gli ha voluto bene anche Pep Guardiola, che al Bayern lo ha allenato dal 2013 al 2015, già alle ultime curve della carriera del peruviano. Lo ha apprezzato così tanto da chiedergli di entrare nel suo staff una volta chiusa la carriera da calciatore.

“Gli ho sempre detto che mi sarebbe tanto piaciuto allenarlo a 24 o 25 anni – ha detto il manager del Manchester City un paio d'anni fa – È uno dei migliori attaccanti che abbia visto nella mia vita. Aveva qualità simili a quelle di Benzema ed era un essere umano incredibile”.

In Perú lo chiamano El Bombardero de los Andes, e per la traduzione non serve perdere troppo tempo. Non è così sin da subito, perché il piccolo Claudio gioca da centrocampista negli anni degli esordi. Poi si sposta qualche metro più avanti, inizia a macinare minuti e partite con il Deportivo Pesquero e poi con l'Alianza Lima, segna la sua prima rete in maniera rocambolesca e fortunosa, poi si mette sempre più in mostra. Fino ad attirare, giovanissimo, le attenzioni del Werder Brema. Anche se in quegli anni di fine millennio (il trasferimento è del 1999) non è poi così normale che un peruviano si sposti dalla propria patria alla Germania.

Jürgen Born, ai tempi direttore sportivo del club anseatico, ha raccontato di aver scoperto Pizarro quasi per caso. Si trovava a Lima per altre questioni di mercato e aveva deciso di andare a vedere l'allenamento dell'Alianza. Che però era a porte chiuse. Born era riuscito a trovare un modo per infiltrarsi e, nascosto dietro a una colonna, si era imbattuto in un potenziale campione. Naturalmente, aveva poi deciso immediatamente di spingere per il suo acquisto.

“Non mi è servito molto tempo per osservarlo. La sua agilità, la sua rapidità e la sua freddezza davanti alla porta erano immediatamente riconoscibili. Ero sicuro: doveva venire al Werder”.

Nessuno può immaginare che razza di storia d'amore stia per avere inizio. Pizarro indosserà la maglia del Werder in tre diverse parentesi, facendone il club più importante e significativo della propria carriera. Nel primo biennio, dal 1999 al 2001, segna complessivamente 29 volte in Bundesliga. Vi torna nel 2008, per riprendersi da un'annata da incubo al Chelsea, e subito trascina la squadra alla finale dell'ultima edizione della Coppa UEFA, poi persa contro lo Shakhtar Donetsk nel maggio del 2009, nelle stesse settimane in cui porta a casa la Coppa di Germania, l'ultimo trofeo vinto dal Werder fino a oggi. Un anno più tardi (2010), Claudio si laureerà capocannoniere dell'Europa League con 9 centri, gli stessi di Oscar Cardozo, altro sudamericano che ha fatto fortuna in Europa.

È talmente stretto, il legame col Werder, che Pizarro tornerà a casa altre due volte: nel 2015, quando ha 37 anni, e poi nel 2018, dopo un'annata al Colonia, quando le primavere sono ormai 40. Il doppio spareggio salvezza contro l'Heidenheim, quello che grazie a due pareggi procrastina di 12 mesi l'amarissima retrocessione in Zweite Bundesliga, lo vive interamente dalla panchina. E poi decide che davvero può bastare così, che donare un ultimo regalo a chi gli ha aperto le porte dell'Europa non può non essere la sua ultima missione.

E poi c'è il Bayern, naturalmente. Il posto dove Pizarro rimpolpa il curriculum personale con un trofeo dopo l'altro. In patria e in Germania. Anche qui ci gioca più volte in periodi distinti, quand'è nel fiore della carriera e poi quando l'esperienza ha preso il sopravvento sulla gioventù. Vince la Bundesliga e l'Intercontinentale, coppe, supercoppe e la Champions League londinese del 2013, quella della notte magica di Arien Robben. Nel 2005, al culmine di anni costantemente trascorsi in doppia cifra in campionato, viene nominato miglior sudamericano militante in Europa.

Sempre nel 2013, poche settimane prima di Wembley, Pizarro bombarda l'Amburgo firmando un poker nel tremendo 9-2 dell'Allianz Arena, in quello che lui stesso definirà “un festival”. E che dire della serata contro il Lille di qualche mese prima? Il 7 novembre del 2012 il Bayern stravince per 6-1 in una partita dei gironi di Champions League, in quella che sembra una goleada come tante altre ma non lo è. Per nulla. Perché tre di quei centri sono di Pizarro, che entra nella leggenda come il triplettista più anziano della storia della manifestazione con i suoi 34 anni e 35 giorni. Lo eguaglierà qualche anno più tardi Cristiano Ronaldo, autore della celeberrima tripletta contro l'Atletico Madrid del marzo 2019. Nessuno è ancora riuscito a superare la strana coppia di testa.

Claudio Pizarro BayernGetty Images

A Monaco non sono tutte rose e fiori, questo no. Nel 2004, ad esempio, la Bundesliga se la prende il... Werder Brema. Quello di Ailton, l'attaccante pacioccone, e di Johan Micoud. Mentre l'ex Pizarro, ironia della sorte, deve accontentarsi della seconda piazza. Tre anni più tardi, nel 2007, rifiuta il rinnovo del contratto e rompe col Bayern e con Karl-Heinz Rummenigge, che spara a zero: “Se vuole guadagnare come Shevchenko è meglio che inizi a giocare come Shevchenko”. Quell'estate se ne va al Chelsea di José Mourinho proprio al posto di Sheva, ma un rigore fallito già alla prima partita, nel Community Shield, fa già capire che razza di annata sarà: negativa. Però il Bayern lo ha sempre perdonato. E nel 2020, all'indomani del ritiro, lo ha promosso ambasciatore del club.

Ecco: magari se c'è un luogo dove Pizarro ha avuto minore considerazione di quanto avrebbe meritato, è stato paradossalmente in Perú. L'ascesa dell'amico-nemico Paolo Guerrero, suo compagno anche al Bayern e poi suo acerrimo rivale, con cui in nazionale parla spesso in... tedesco per non farsi capire dagli avversari, lo fa scivolare in secondo piano nelle preferenze della gente. E molto incidono i risultati negativi della Blanquirroja, che solo negli ultimi anni è riuscita a rialzare la testa, raggiungendo peraltro una finale di Copa América nel 2019. Ai tempi in cui ci gioca Pizarro, sono solo delusioni. Anche nel 2004, l'anno della Copa organizzata in casa, edizione in cui Solano e compagni si bloccano ai quarti di finale contro l'Argentina di Carlos Tévez.

Però occhio a mancargli di rispetto. Può farlo la madre di Guerrero, magari, secondo cui dietro alla squalifica (poi revocata) del figlio per i Mondiali russi del 2018 “c'era Pizarro assieme alla sua famiglia”, nel tentativo (fallito) di guadagnarsi la convocazione di Gareca. Ma meglio che a scherzare non siano i compagni di squadra. Come quella volta in cui un giovane Paolo Hurtado si permette di chiamarlo “zio” durante una banale conversazione in ritiro e viene gelato dagli sguardi di Yotún e Advincula: “Ho iniziato a sudare freddo, era la mia prima convocazione in nazionale”. O come quando un altro elemento del Perú, l'ex portiere Juan Flores, compie il grave errore di gridargli contro in una partitella d'allenamento:

“Gli urlai: “Ehi, cazzo, non sei capace di marcare?”. E lui mi rispose: “Che cazzo mi gridi contro?”. Da quella volta non sono più stato convocato”.

Eppure Pizarro, che col Perú è sceso in campo in 85 occasioni andando a segno 20 volte, è stato anche uno capace di gesti nobili. Come rivelato dall'ex compagno di nazionale Andrés Mendoza, una volta si è offerto di pagare i premi partita alla squadra saldando così un debito della FPF, la Federazione locale. “Ci disse: non muovetevi di qui, aspettatemi un attimo. E cominciò a pagarci tutti con i suoi soldi. Questa cosa non lo sa nessuno”, ha detto il 'Condor' qualche mese fa.

Pizarro ha organizzato la partita d'addio nel settembre del 2022, due anni dopo il celebre playout che ha rappresentato l'ultima curva della carriera. Si è giocato al Weserstadion, casa del Werder. Sono accorsi in tanti, anche del Bayern: da Philipp Lahm ad Arjen Robben, passando per Mats Hummels. E nel triangolare tra il Werder, le Leggende del Bayern e gli Amici di Claudio, tanto per cambiare, Pizarro ha segnato anche lì. Un classico.

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