GOAL“Paolo es el futuro crack del fútbol peruviano”.
L'anno di grazia è il 1994. La televisione del Perú trasmette 'Hola Yola', programma di intrattenimento per bambini condotto da Yola Polastry, e tra gli ospiti è presente una formazione giovanile dell'Alianza Lima, club tra i più importanti del paese. Il coordinatore del vivaio blanquimorado, Fernando Masias, appoggia una mano sulla testa di uno dei niños, lo presenta come “nipote diretto di José Gonzalez Ganoza” (il “Caico”, portiere per 12 anni nel giro della Nazionale, perito nel tragico indicente aereo che coinvolse l'Alianza nel 1987) e spara:“Paolo è il futuro campione del calcio peruviano”. Ohibò.
Paolo è un giovanissimo Paolo Guerrero, 10 anni appena. E durante la trasmissione dimostra subito di saperci fare con un pallone tra i piedi, esibendosi in una serie di palleggi sotto gli occhi divertiti della presentatrice, presto imitato dai compagni di squadra. All'epoca il grande pubblico non lo conosce, naturalmente. È un bambino come tanti altri, con sogni e speranze come tanti altri. Uno su mille ce la fa, e perché quell'uno dovrebbe essere proprio lui? Tanto che l'investitura di Masias nei suoi confronti non sembra che una boutade, da accogliere con una risatina accondiscendente prima di cambiare rapidamente argomento. E canale, magari.
Il tempo ha dimostrato che, quella sera, il buon Masias aveva ragione. Il talentino Paolo Guerrero si è trasformato, almeno in Sudamerica, in campione. Uno dei più importanti e amati della storia del calcio peruviano. Ancora in auge con i suoi 39 anni, compiuti a Capodanno, da giocatore dell'Avaí, anche se dopo la retrocessione in B si è accordato con gli argentini del Racing di Avellaneda, solo l'ultima tappa di una lunga carriera. Nel giugno del 2016, segnando ad Haiti in quella Copa America che per tre volte ha dominato da capocannoniere, ha superato la leggenda Teofilo Cubillas ed è diventato il massimo marcatore della storia della Selección peruviana con 27 reti. Per la cronaca, si è fermato a 39.
Non si chiama Paulo, Guerrero. Si chiama proprio Paolo, con la o in mezzo. All'italiana. Paolo come Paolo Rossi,il nostro Pablito, l'eroe della magica estate del 1982. Nei giorni del Mundial spagnolo papà José è davanti alla televisione, a tifare per il Perú di Tim e di Hector Chumpitaz, capitano e cugino della moglie Petronila. Perú che, coincidenza, fa parte dello stesso raggruppamento dell'Italia. Rossi non segna, contro Cubillas e compagni. Anzi, viene tolto da Bearzot all'intervallo. Ma troverà ben presto una dirompente rivincita: tre reti al Brasile, due alla Polonia, una alla Germania. Per José Guerrero è una folgorazione. Nemmeno due anni più tardi, quando mette alla luce il proprio secondogenito, non ha dubbi: mio figlio si chiamerà Paolo.
“Mio padre gli ha dato questo nome perché era un tifoso fanatico dell'italiano Paolo Rossi – ha confermato Israel Guerrero, il fratello maggiore – In questo modo voleva quasi augurargli un grande futuro nel calcio”.
Ne ha passate, Guerrero, nel corso della propria carriera. Un recente e gravissimo infortunio a un ginocchio, ad esempio. Ma anche la positività all'antidoping che ha rischiato seriamente di escluderlo dai Mondiali russi. Lui che il Perú ce l'aveva portato quasi di peso, alla fase finale. Il caso diventerà addirittura un documentario di Netflix, intitolato "Contigo Capitán". Novembre e dicembre 2017, i mesi più bui dopo la grande gioia del pass per la Russia: Paolo viene trovato positivo alla benzoilecgonina, il principale metabolita della cocaina, e inizialmente squalificato per un anno. Ogni conquista va in fumo. È uno choc per Ricardo Gareca, il ct, e per l'intera Nazione.
È stata colpa di un infuso preparato con le foglie di coca, si difende Guerrero davanti alla FIFA. In Sudamerica è tutto legale. Ma a tirarlo fuori dai guai, più che le sue parole, è soprattutto l'intervento di tre... mummie rinvenute 18 anni prima sulla Cordigliera delle Ande, e risalenti a circa 500 anni fa, sulle quali sono state trovate tracce di benzoilecgonina. I suoi avvocati le portano come prova, per ribadire come in Perú il consumo delle foglie di coca fosse una pratica piuttosto diffusa anche secoli prima. Lo stop viene così ridotto a 6 mesi, quindi nuovamente allungato a 14 dal TAS, infine sospeso per consentirgli di giocare il Mondiale. Paolo si ferma nell'agosto del 2018 e torna in campo quasi un anno dopo, ma intanto in Russia c'è.
Giusto così. Guerrero era stato il grande protagonista del ritorno del Perú a una fase finale, 32 anni dopo la partecipazione di Cubillas e soci in Spagna. Aveva realizzato 5 reti nel raggruppamento sudamericano di qualificazione. L'ultima delle quali, quella decisiva contro la Colombia, era arrivata in maniera piuttosto inusuale: punizione di seconda dal limite dell'area, Paolo calcia direttamente in porta dimenticandosi il regolamento, ma per sua fortuna nemmeno Ospina è troppo ferrato, visto che tocca il pallone e lo devia nella propria porta. Inutili le proteste dei colombiani, Cuadrado in primis: la prodezza è perfettamente regolare.
Il Perú vola in Russia così. Poi accade l'impensabile. La squalifica, il terrore di non esserci. Infine la grazia. Anche per l'intervento di Kjaer, Lloris e Jedinak, i capitani di Danimarca, Francia e Australia, ovvero gli avversari dei peruviani nel girone, che inoltrano alla FIFA "urgente richiesta di clemenza, affinché la squalifica di Guerrero sia temporaneamente interrotta, per la durata dei prossimi Mondiali in Russia, fino al momento dell'eliminazione del Perú dalla suddetta competizione". La squadra di Gareca viene estromessa subito, ma si toglie lo sfizio di battere per 2-0 l'Australia. E una delle reti è timbrata proprio dal suo capitano.
L'avventura russa rappresenta il punto più alto del percorso calcistico di Guerrero. Non è l'unico apice, però. Nel dicembre del 2012 è un suo guizzo vincente contro il superfavorito Chelsea di Rafa Benitez a regalare al Corinthians, allenato dall'attuale ct della Seleção Tite,il Mondiale per Club di Yokohama. Danilo rientra sul destro, Cahill sporca il suo tiro e Paolo è lì, rapace, a mettere dentro di testa superando Cech. Pochi giorni prima, sempre lui aveva deciso anche la semifinale contro l'Al Ahly, ancora 1-0, ancora di testa. Curiosità: Guerrero aveva trafitto il Chelsea anche 7 anni prima, nel ritorno dei quarti di finale di Champions League, firmando il primo dei suoi due centri nella competizione. Tutto inutile: ad approdare in semifinale erano stati gli inglesi di José Mourinho, poi eliminati dal Liverpool.
La seconda vita di club di Guerrero è questa: Corinthians, appunto, e poi Flamengo e poi Internacional. La prima, treccine in testa e viso da piccolo ribelle, lo aveva visto sbarcare giovanissimo al Bayern. Ricordate la previsione di Masias? Bene: nel 2002 i bavaresi mandano uno scout a Lima e notano proprio lui, “el futuro crack del fútbol peruviano”, autore di qualcosa come 200 reti nelle giovanili dell'Alianza. E decidono di portarlo immediatamente in Germania. Paolo viene inserito nella squadra B e curato da una leggenda come Gerd Müller, che “gli voleva bene, tanto da offrirgli un cioccolatino dopo ogni goal”, come ha rivelato la madre Petronila. E segna parecchio: 8 volte in 18 presenze nel 2002/03, 21 in 24 la stagione successiva. Portando il Bayern II alla promozione dalla terza alla seconda serie tedesca nel 2004.
GettyIl passaggio nella prima squadra di Felix Magath è pressoché inevitabile e si concretizza proprio in quelle stesse settimane. Guerrero ha appena 20 anni e si piazza sotto l'ala protettrice di Claudio Pizarro, con cui in seguito comunicherà in... tedesco anche in Nazionale “perché gli avversari non ci capiscano”. Non va benissimo, nonostante i numeri non siano da disprezzare in rapporto all'età: il giovane centravanti mette a referto una decina di reti in due stagioni, ma il minutaggio è quello che è e lo costringe a una sorta di spola tra la Bundesliga e la Zweite Bundesliga, ancora col Bayern II. Fino alla cessione a titolo definitivo all'Amburgo, nel 2006.
All'HSV resta sei anni, senza mai arrivare alla doppia cifra in campionato. Il suo massimo di reti è 9, per due annate di fila (2008 e 2009). Gioca e segna in Europa League, due volte anche al Manchester City. Qualche alto, qualche basso. Nel 2009 si rompe il crociato in Nazionale, nel marzo del 2012 viene squalificato per 8 turni dopo un fallaccio sul portiere dello Stoccarda Ulreich (che nel 2020/2021 ha giocato proprio nell'Amburgo). Una volta, dopo un deludente 0-0 contro l'Hannover, viene insultato da un tifoso all'uscita dal campo: “Torna in Perú!”. E reagisce lanciandogli contro una bottiglietta d'acqua. Mira perfetta: centrato in pieno. Guerrero viene prima multato e poi squalificato per 5 giornate.
“Quel tizio mi ha maledetto – ha raccontato in seguito – Era una persona razzista. Arrivavo da un infortunio, non giocavo da 8 mesi. Sono entrato negli ultimi 8 minuti, era solo la mia seconda presenza dopo essere tornato a giocare. Mi ha insultato perché ero di colore. Mi sono fatto prendere dalla rabbia e gli ho lanciato quella bottiglietta”.
In ogni caso, meglio tenersi ben stretti i ricordi positivi. Nonostante i classici problemi di ambientamento per un sudamericano in Germania: il clima, il cibo, l'ostacolo della lingua. 10 anni di fila tra Monaco di Baviera e Amburgo non si possono dimenticare, del resto. Non è dunque una sorpresa assoluta che, dopo il Mondiale per Club vinto da eroe col Corinthians, Guerrero avesse chiesto di lasciare San Paolo per fare rapidamente ritorno in Bundesliga: “Ma non è stato possibile, perché il club ha chiuso le porte a tutti”.
“Giocare in Europa è il sogno di qualunque giocatore – ha confessato in seguito – Ho avuto il privilegio di farlo in due club storici del calcio tedesco. Tornare in Bundesliga? Parliamo di uno dei campionati più importanti del Mondo, per cui sì, è sempre un'opzione. La mia intenzione è quella di tornare a giocare in Europa prima di chiudere la carriera”.
La realtà, ora che le primavere sono 39, ha detto e sta dicendo altro. Dal 2012, dall'anno in cui il Corinthians lo ha preso dall'Amburgo per rimpiazzare l'Imperatore Adriano, Guerrero ha stabilito la propria residenza in Brasile. Relazione intensa e conturbata, quella col Timão. Prima i goal, l'idolatria della Fiel, il titolo di miglior marcatore straniero della storia del club davanti a Carlos Tevez. Poi qualcosa si rompe e alla fine, quando nell'estate del 2015 il peruviano passa al Flamengo a parametro zero al termine di lunghissime trattative per rinnovare il contratto, i tifosi lo chiamano “Giuda”. Qualche mese prima Paolo diceva: “In Brasile giocherò solo col Corinthians”. Va così.
Goal BRAl Flamengo lo accolgono come un re. “Acabou o caô, o Guerrero chegou”, è il mantra dei tifosi in quelle settimane. In sostanza: avete finito di scherzare, è arrivato Guerrero. Il Fla è reduce da anni in cui non vince quasi nulla a livello nazionale, ma si sta rialzando. Tornerà a gioire veramente solo nel 2019, ma intanto la prima pietra della rinascita viene posta proprio con il sensazionale acquisto del peruviano. Anche qui, alti e bassi. Goal su azione e su punizione, un fisico dominante, qualche polemica, il solito carattere forte che ne ha caratterizzato l'intera carriera. La celeberrima squalifica del 2017-2018 segna il punto di rottura, coi successivi trasferimento all'Internacional e all'Avaí.
In Sudamerica lo chiamano “El Barbaro”, ma anche “El Depredador”. Non tanto perché vada a caccia di prede sotto forma di portieri, quanto perché le treccine dei suoi primi anni da professionista lo accomunano al Predator della celebre serie cinematografica. Nonostante l'apparente scorza dura, ha una paura folle di volare. È appassionatissimo di ippica e cavalli, ama la musica brasiliana e peruviana. A proposito di musica, qualche anno fa il DJ locale Garcia Pà gli ha dedicato una canzone, intitolata semplicemente “Paolo Guerrero”, spiegando che “è un giocatore diverso dagli altri, un vero Inca, di quelli che si fanno sentire dentro e fuori dal campo. Lo rispettano sia gli avversari che i compagni. Si impone per le sue caratteristiche e ci rappresenta molto bene”.
Il giornalista e scrittore Beto Ortiz ha invece prodotto un libro su di lui, “Pequenas Infidencias”. Ospite assieme al calciatore a un programma televisivo peruviano, nel 2009 Ortiz ha finto di svenire alla sua vista, crollando a terra:“Ma durante la pubblicità l'attore Aldo Miyashiro mi ha insegnato a cadere. Era tutto freddamente calcolato”. Nel 2016 è invece uscito “Guerrero”, il film sulla sua vita diretto da Fernando Villaran. Un biopic che passa dall'infanzia umile a Chorrillos, a sud di Lima, fino alla gloria dei giorni nostri. Sempre con un pallone come compagno di vita. “Da bambino si metteva a piangere quando non segnava”, amano ricordare i suoi familiari, secondo cui Paolo “non amava perdere". Più o meno come oggi.
