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Alessandro Pistone InterGetty

La carriera di Alessandro Pistone: il terzino che l’Inter preferì a Roberto Carlos

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Uno si è ampiamente guadagnato un posto tra i migliori esterni sinistri di tutti i tempi, ha vinto sia a livello di club che di Nazionale tutto ciò che un giocatore può anche solo sognare di vincere ed è universalmente considerato oltre che un fuoriclasse, anche una leggenda del calcio mondiale.

L’altro è stato un buon calciatore, che nel corso della sua carriera ha totalizzato solo 61 presenze in Serie A, alle quali vanno però aggiunte anche 149 in Premier League, e che ha messo in bacheca un solo titolo: quello di Campione d’Europa U21.

Immaginando di costruire una propria squadra ideale non ci sarebbero dubbi su chi puntare, ma una delle cose che rende il calcio uno sport tanto affascinante quanto amato, è proprio il fatto che non sempre tutto va come dovrebbe andare.

Può quindi succedere che il buon calciatore venga preferito al fuoriclasse e questo perché si ritiene quest’ultimo non adatto ai propri schemi di gioco. I due protagonisti di una storia che può sembrare quasi surreale, ma che surreale non è affatto, sono Roberto Carlos e Alessandro Pistone.

Ad un certo punto del loro cammino nel mondo del calcio, i loro percorsi si sono incrociati al punto di modificare il corso delle rispettive carriere. Più quella del brasiliano in realtà, ma ancora oggi quando si parla dell'uno viene spontaneo pensare all'altro.

La vicenda che accomuna i due è nota. E’ il 1995 e Massimo Moratti, da poco diventato proprietario dell’Inter, decide di investire con forza sul mercato al fine di rafforzare una squadra che nella stagione precedente si era piazzata solo al sesto posto in campionato.

Nel corso della sessione di calciomercato estiva, arrivano dunque alla corte di Ottavio Bianchi gli italiani Fresi, Centofanti, Ganz e Carbone, l’inglese Paul Ince, gli argentini Rambert e Zanetti (tra i due pare che il più forte sia il primo, ma poi la storia racconterà cose diverse) ed un mancino del quale si raccontano meraviglie: Roberto Carlos appunto.

A 22 anni si è già guadagnato le attenzioni di tutti i top club europei, è già uno dei punti fermi della Nazionale brasiliana, e di lui si dice che oltre ad essere veloce ed esplosivo come pochi, sia dotato di un sinistro semplicemente devastante.

Insomma ha tutto per diventare il terzino titolare dell’Inter per i successivi dieci anni ed il club meneghino non si fa quindi problemi nel versare nelle casse del Palmeiras qualcosa come dieci miliardi di lire pur di strapparlo alla nutrita concorrenza.

Roberto Carlos ripaga la fiducia mostrando fin dalle prime uscite di essere un giocatore speciale. Ara la fascia sinistra, sforna assist importanti e nelle sue prime tre partite in nerazzurro, tra campionato e Coppa Italia, segna altrettante reti. Roba da campioni e numeri da attaccante vero.

Basta poco agli appassionati per capire che tra i tanti colpi messi a segno da Moratti è proprio Roberto Carlos quello capace più di tutti di fare la differenza, ma intanto si presenta un problema non da poco: semplicemente la squadra non ingrana.

Già a fine settembre Ottavio Bianchi viene sollevato dal suo incarico e per la sostituzione la scelta ricade su Roy Hodgson che, già impegnato con la Nazionale svizzera, prende posto sulla panchina nerazzurra a fine ottobre, dopo un breve periodo di interregno del leggendario Luis Suarez.

E’ in questo momento che le storie di Roberto Carlos e Alessandro Pistone si intersecano. Sì perché per il tecnico inglese il brasiliano è forte, ma tatticamente indisciplinato e quindi va trovato un elemento che risulti ideale per il suo 4-4-2. Serve un esterno completo, che abbini alla fase di spinta anche quella difensiva, che sappia farsi sentire in avanti, ma che sappia anche fare le diagonali. Serve insomma un terzino nel senso più europeo e meno brasiliano del termine.

Massimo Moratti decide di assecondare le richieste dell’allenatore e il profilo giusto da mettergli a disposizione viene individuato in un ragazzo con poca Serie A alle spalle, appena sei presenze con il Vicenza, ma che ha già fatto intravedere doti importanti. A novembre quindi, in pieno calciomercato autunnale, l’Inter porta (o meglio riporta, visto che Pistone è di Milano) il giovane terzino italiano all’ombra del Duomo.

Alessandro Pistone InterGetty

Pistone colleziona presenze lì in basso a sinistra, questo mentre Roberto Carlos inizia a girovagare per il campo. Ora esterno di centrocampo, ora più alto in attacco, a volte interno al fianco di Ince. Un lungo peregrinare che lo porta quasi immediatamente ad una decisione: a Milano si sta bene, l’Inter è una società gloriosa, ma se l’andazzo è questo allora è meglio cambiare aria.

Il terzino italiano si troverà suo quindi a diventare uno dei protagonisti di una situazione che poi assumerà i contorni di più grandi rimpianti della storia dell’Inter. Il club nerazzurro infatti, al termine della stagione, deciderà di andare avanti con Hodgson e di rinunciare a Roberto Carlos, il quale, per la quasi incredulità di Fabio Capello, ripartirà poi dal Real Madrid, club nel quale resterà per i successivi undici anni.

“Un giorno arrivò Branchini e mi disse che l’Inter voleva cedere Roberto Carlos - racconterà anni dopo l’allora tecnico del Real ai microfoni di 'Sky' - Io pensavo che fosse uno scherzo, ma lui mi inviò un fax sul quale c’era addirittura scritto il prezzo del cartellino già fissato. Chiamai il presidente e gli dissi di chiudere subito l’operazione prima che la notizia fosse diventata di dominio pubblico. In meno di ventiquattro ore era nostro. A Milano erano convinti che non sapesse marcare, fu Hodgson a bocciarlo”.

Come a volte accade in ambito calcistico, Davide ha avuto la meglio su Golia. Mentre Roberto Carlos prende quindi il primo volo disponibile per Madrid, Pistone si guadagna la sua riconferma in nerazzurro.

Agli occhi di tutti passerà come il giocatore preferito al brasiliano, quasi la sua sia stata una colpa, ma questa etichetta non gli è mai piaciuta. Sarà lui stesso, nel 2017, a spiegare, in un’intervista a ‘La Gazzetta dello Sport’, come con l’addio di Roberto Carlos lui avesse poco a che fare.

“È una leggenda metropolitana. La verità è che Roberto Carlos volle andar via, avendo richieste dal Real Madrid. E la società, a mio parere, non fece nulla per trattenerlo”.

I fatti dicono però che l’Inter aveva individuato in lui un giocatore sul quale puntare con forza anche in ottica futura ed è per questo che sorprende che la sua avventura in nerazzurro si sia poi conclusa già al termine di seconda stagione scandita da trentanove presenze complessive, tra le quali anche quelle da titolare nella doppia finale di Coppa UEFA con lo Schalke 04 (ad imporsi saranno i tedeschi).

Nell’estate del 1997, complice forse la fine della prima avventura meneghina di Hodgson (tornerà poi all’Inter per una breve parentesi nel 1999), l’Inter lo cederà al Newcastle per una cifra di poco superiore ai 5 miliardi di lire.

Per Pistone non si tratta di un passo indietro, anzi. In un periodo nel quale i giocatori italiani iniziano a lasciare la Serie A per tentare nuove e ‘ricche’ avventure all’estero, lui si ritaglia uno spazio importante in una delle più forti compagini della Premier League. Dall’altra parte della Manica trova una squadra che può contare su grandi giocatori (Alan Shearer su tutti) e che solo un anno prima aveva sfiorato il titolo di campione d’Inghilterra, oltre che un allenatore più che pronto a puntare su di lui: Kenny Dalglish.

Adattarsi ad un calcio tanto diverso da quello al quale si è abituato, oltre che ad uno stile di vita che con quello italiano poco ha a che vedere non è semplice, ma Pistone si impegna, si merita la fiducia del suo tecnico, oltre che tanto spazio, e sfiora anche il successo in FA Cup (il Newcastle si arrenderà solo in finale all’Arsenal).

Ci sono tutti i presupposti quindi che fanno pensare ad una lunga avventura con i Magpies ma, come già accaduto ai tempi dell’Inter, quando il discorso sembra essersi fatto in discesa, la cose cambiano in maniera inaspettata. Pistone infatti si fa male ed è costretto ad un lungo stop. Quando rientra sulla panchina del Newcastle non c’è più Dalglish ma Ruud Gullit che fin da subito fa capire di non voler puntare su di lui. Viene quindi spedito ad allenarsi con la squadra ‘Riserve’, poi torna in Italia per una breve parentesi al Venezia che gli servirà a ritrovare i minuti in campo e le giuste sensazioni, e successivamente una volta volato di nuovo in Inghilterra riscoprirà in Bobby Robson l’uomo pronto a rilanciarlo ad alti livelli.

“Adesso l’atmosfera al Newcastle è molto migliorata e solo per merito di Bobby Robson. Fa sentire ogni giocatore importante, concede una possibilità a tutti. Con Gullit era tutto diverso, era molto arrogante. Quando è arrivato aveva già un’idea chiara sul sottoscritto e non c’era modo di fargliela cambiare. Mi ha sempre ignorato, per lui era come se non ci fossi”.

Con Robson alla guida del Newcastle, Pistone ritrova il suo posto in squadra, ma nell’estate del 2000 il club decide di cederlo all’Everton. L’inizio a Liverpool è di quelli drammatici, visto che una serie di infortuni, tra i quali uno grave ad un ginocchio, lo tengono fuori per quasi tutta la stagione, ma quella che ha appena iniziato con i Toffees si rivelerà la parentesi più importante della sua intera carriera: una parentesi nel corso della quale vedrà una delle più grandi stelle del calcio mondiale spegnersi lentamente (Paul Gascoigne) ed un’altra iniziare a brillare di una luce intensa (un giovanissimo Wayne Rooney).

Alessandro Pistone, EvertonGetty Images

Resterà all’Everton infatti per ben sette stagioni, alternando a ottime prestazioni anche una lunga sequela di stop figli di tanti problemi fisici. E’ questo il suo rimpianto più grande: ha ampiamente dimostrato di potersi distinguere in un campionato competitivo come la Premier League, ma semplicemente non ha avuto il modo di esprimersi con la giusta continuità.

“Non posso dimenticare i tanti momenti meravigliosi che ho vissuto, ma ho trascorso periodi troppo lunghi da infortunato. In quei momenti ho avuto bisogno dell’aiuto degli amici e tutti hanno condiviso con me le tante difficoltà. Il mio principale rammarico è proprio questo. Non ho mai invidiato nessuno, ma ci sono giocatori che non si infortunano mai”.

Oggi Alessandro Pistone vive in Italia, nella sua Milano e si è allontanato dalle luci dei riflettori del grande calcio. Appesi gli scarpini al chiodo nel 2008 dopo una toccata e fuga in Belgio al Mons, si è dato alla ristorazione e non è troppo complicato vederlo dietro al bancone del suo locale. La voglia di essere a contatto con le persone è rimasta e fa poca differenza il fatto che sia un pallone o un caffè il mezzo con il quale interfacciarsi con loro.

La sua è stata una lunga carriera da calciatore scandita dalla gioia di avercela fatta ma anche dal dolore di non aver probabilmente potuto dimostrare quanto valeva realmente. Ha esultato e maledetto la sfortuna, ha giocato in Serie A e in Premier League e sfidato alcuni dei campioni più forti della sua generazione.

Una carriera importante, ma per molti lui resterà sempre o soprattutto, colui che l’Inter preferì a Roberto Carlos.

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