BelodediciGetty

Belodedici, l'eroe dei due mondi che fuggì su una zattera attraversando il Danubio

Banner archivio storieGOAL

Grande visione di gioco in fase di impostazione, senso tattico, puntualità e decisione negli interventi difensivi, carisma e le doti da leader, grazie alle quali comandava perfettamente la difesa. Erano queste le principali qualità di Miodrag Belodedici, senza dubbi il più forte libero che il calcio balcanico abbia espresso negli ultimi 40 anni e uno dei 5 più forti giocatori europei nel suo ruolo fra la seconda metà degli anni '80 e la prima metà degli anni '90.

Con un record che non potrà essere battuto: è stato infatti il primo a vincere la Coppa dei Campioni/Champions League con due squadre diverse giocando 2 finali, riuscendo ad eccellere sia in Romania, sia in Jugoslavia.

CAMPIONE D'EUROPA CON LA STEAUA

L'ascesa calcistica di Belodedici fu molto rapida. Miodrag nasce il 20 maggio 1964 a Socol, una piccola cittadina sul confine fra la Romania e la Jugoslavia, che si affaccia sul Danubio. Sua madre è rumena, suo papà è serbo (all'anagrafe fa 'Belodedic', senza la -i), e in questa dicotomia delle origini è già contenuta quella che sarà la parte più importante della sua carriera da calciatore. 

Socol è una località biligue, i cui abitanti parlano sia il serbo, sia il rumeno. Anche Miograd non fa eccezione e parla il serbo in famiglia e il rumeno a scuola. Fin da piccolo si appassiona al calcio e diventa un grande tifoso della Stella Rossa di Belgrado. Inizia a giocare nel Settore giovanile del Minerul Moldova Nouă. Nonostante viva sul confine, il suo talento emerge fin dalla tenerà età e nel 1981, ancora adolescente, a 16 anni approda nella capitale con il Luceafarul, la squadra-laboratorio composta dalle migliori promesse rumene, che rappresenta una sorta di 'Accademia' della Steaua Bucarest.

Quest'ultima è lo sbocco naturale del giovane libero, che ci approda un anno più tardi, nella stagione 1982/83. Quella squadra nel giro di pochi anni arriverà a dominare il calcio rumeno e a vincere, prima formazione dell'Est Europa, l'allora Coppa dei Campioni nel 1986. In breve tempo infatti Belodedici diventa, pur giovanissimo, il leader indiscusso della difesa della Steaua.

Con Bumbescu il serbo-rumeno forma una coppia centrale difficilmente perforabile e rappresenta uno dei punti di forza della Steaua. In 6 anni Miodrag vince 4 campionati rumeni, 3 Coppe nazionali e, soprattutto, la Coppa dei Campioni del 1985/1986 contro il Barcellona. Successivamente si aggiudica anche la Supercoppa europea battendo la Dinamo Kiev.

A Siviglia, il 7 maggio 1986, Belodedici è uno dei protagonisti assoluti della partita. Il difensore, fra i più giovani dei suoi (deve ancora compiere 22 anni) dà un contributo essenziale alla squadra per imbavagliare gli attaccanti catalani e mantenere il risultato sullo 0-0. La partita, come voleva l'allenatore Emerich Jenei, si risolve ai calci di rigore. Anche se poi a prendersi le copertine dei giornali è il portiere Duckadam, che diventa 'Eroul de la Sevilla', 'Eroe di Siviglia', con 4 rigori parati su 4 e consegna di fatto la Coppa dalle grandi orecchie alla Steaua.

Steaua Bucarest

È comunque in quella partita che il calcio europeo si accorge di Belodedici. Anche il difensore, al suo rientro in patria con il trofeo, trova i tifosi, che lo hanno eletto a loro beniamino, ad accoglierlo festanti, ma il regime è stranamente freddino. Il 'Conducator' Niculae Ceausescu non vede infatti di buon occhio la presenza nella squadra simbolo del Paese e in Nazionale di un giocatore che ha anche origini slave.

Schivo e timido caratterialmente, Belodedici si guarda bene dal farsi 'strumentalizzare' dal regime socialista, e preferisce starsene dietro le quinte quando tutta la squadra è ricevuta proprio da Ceausescu nel Palazzo del Parlamento di Bucarest. Non è chiaro come e perché, ma sta di fatto che i rapporti fra il pilastro della Steaua, il 'Conducator' e i suoi due figli, quello adottivo, Valentin, deus ex machina del club campione d'Europa, e soprattutto Nicu, figlio naturale violento e dedito alle scommesse (anche in ambito sportivo), all'alcol e alle donne, a capo della Securitate, la milizia segreta, e per questo vicino alla Dinamo, vanno progressivamente peggiorando. 

È tuttavia probabile che a Miodrag non siano andate giù le ingerenze sempre più forti del regime sulla squadra: giocatori portati allo Steaua letteralmente sottraendoli ad altri club (come Hagi per la Supercoppa europea), partite truccate per far vincere la classifica dei cannonieri o la Scarpa d'Oro a determinati calciatori (fu clamoroso, ma non l'unico, il caso di Camataru nel 1987), o semplicemente per soddisfare i vizi di Nicu Ceausescu. Di certo iniziarono a vedersi sempre più frequentemente cose strane, su tutte il misterioso ritiro dell'eroe di Siviglia, Duckadam.

In quella situazione, il difensore inizia a coltivare dentro di sé l'idea di lasciare la Romania per andare in Jugoslavia, l'altra sua patria. Dopo la Coppa Intercontinentale persa a Tokyo con il River Plate nel dicembre 1986, e i nuovi trofei conquistati in Romania, è probabilmente quanto succede in finale di Coppa di Romania contro la Dinamo nel 1988 a togliere a Belodedici ogni residuo dubbio. La Steaua segna prima del 90' il 2-1 con Balint che finalizza su assist di Hagi. Il goal è nettamente regolare, ma l'arbitro e il segnalinee annullano per fuorigioco. In campo si scatena una rissa. Lo zampino di Nicu è evidente. Il fratellastro Valentin, letteralmente furioso, scende dalla tribuna d'onore per far rientrare la squadra negli spogliatoi:

"Non accetto questo trattamento: si tengano la Coppa, se la mettano in c***o".

La Steaua non torna in campo, e viene data inizialmente la vittoria a tavolino per 3-0 alla Dinamo. Il tutto in diretta tv, con le telecamere che riprendono in quei concitati momenti i tifosi sugli spalti (il regime vieta di trasmettere immagini violente). L'indomani però va in scena una sorta di VAR ante-litteram nell'ufficio del presidente della Federcalcio rumena, Mircea Anghelescu.

Bussano infatti alla sua porta un membro del comitato centrale del Partito comunista, il capo del Consiglio nazionale dello sport e i rappresentanti delle due società coinvolte. Appurato attraverso le immagini che il goal di Balint era regolare, viene data la vittoria per 2-1 alla Steaua. Questa è poi ratificata dal regime e diffusa ai media, tenuti fino a quel momento all'oscuro. Arbitro e guardalinee, forse affiliati alla Securitate, sono squalificati per un anno e quella Coppa passa alla storia come La Coppa della Vergogna.

IN FUGA DA CEAUSESCU

Stanco dei continui soprusi del regime di Ceausescu e desideroso di conoscere l'altra sua patria, Miograd Belodedici organizza in segreto la grande fuga dalla Romania e il 23 dicembre 1988 mette in atto il suo piano

Le cose però sarebbero andate in modo diverso rispetto a quanto era stato ipotizzato fino ad oggi. Danilo Crepaldi, autore del libro 'Footballslavia. Il Calcio nella Repubblica popolare socialista di Jugoslava', e grande esperto di calcio slavo, intervenuto in esclusiva ai microfoni di Goal, ha raccontato una nuova verità.

"Secondo quanto ho appreso da Mise Gavrilovic, un'istituzione del giornalismo serbo, sulla fuga di Belodedici dalla Romania alla Serbia ci sono due versioni: una è quella tradizionale che racconto nel mio libro, la seconda, che corrisponde molto probabilmente a quanto è realmente accaduto, rappresenta una novità assoluta. La prima ricostruzione, quella classica finora conosciuta, vuole che lui attraversi illegalmente la frontiera assieme alla sorella e alla madre e una volta giunto a Belgrado vada a bussare alla porta della Stella Rossa. A quel punto si presenta: 'Buongiorno, mi chiamo Miograd, sono serbo e voglio giocare con la Stella Rossa Belgrado'. Questi lo riconoscono e lo fanno andare da Dragan Džajić (il presidente, ndr), al quale non sembra vero di trovarselo lì, e lo fa immediatamente firmare".

"L'altra versione è diversa e sembra però che sia quella più veritiera. Sugli archivi delle guardie di frontiera dell'allora Jugoslavia sono registrati i nomi della sorella e della madre di Belodedici. Loro risultano dunque aver passato la frontiera legalmente, con regolari documenti, dietro la scusa di dover effettuare delle visite mediche in Jugoslavia perché queste visite non era possibile farle in Romania. Dato che erano comunque parenti strette di Belodedici, che era considerato un eroe, Miograd era riuscito ad ottenere per loro questo permesso, ma non era riuscito ad ottenerlo per lui. Il regime rumeno lo faceva uscire proprio solo quando doveva giocare all'estero con la Steaua piuttosto che con la Nazionale, sempre strettamente sorvegliato.Tutti i calciatori del blocco socialista, quando uscivano dal proprio Paese, dovevano avere insieme a loro un responsabile politico, un uomo o una donna molto vicino al Governo, di provata fede politica, che seguiva la squadra ed era una sorta di spia".

"Dagli archivi delle guardie di frontiera risulta dunque in data 23 dicembre 1988, il passaggio di queste due donne. Lui invece attraversa il Danubio su una zattera e arriva in Serbia. Giunto nell'allora Jugoslavia, fa l'auto-stop. Si ferma un cittadino che non lo riconosce, Miograd sa parlare perfettamente il serbo e si fa dare un passaggio fino a Belgrado. Quel giorno c'è il Večiti derbi, quindi lui si reca allo stadio, con i soldi che si è portato riesce a comprare un biglietto per la tribuna e lì parla con un dirigente della Stella Rossa che lo riconosce. Questi organizza allora per il giorno dopo un appuntamento con Dzjaic, il quale ovviamente nel frattempo è al settimo cielo. All'epoca, dopo Baresi, forse Belodedici era il difensore più forte d'Europa. L'indomani Miograd va all'incontro e firma il contratto con la Stella Rossa".

I problemi per il difensore arrivano però per la Romania.

"Succede che in Romania si accorgono che questi sono scappati e non tornano. Miograd allora chiede alla Stella Rossa come unica garanzia protezione per la madre e la sorella. Ed essendo la Stella Rossa un club molto vicino al governo jugoslavo, riesce ad ottenerla. È vera poi la storia che le due donne dopo la firma del contratto si sono fatte accompagnare nella chiesetta sopra la sala e si sono messe a pregare. Ma Belodedici viene processato in Romania e gli viene inflitta una condanna in contumacia a 10 anni di reclusione per 'abbandono della Repubblica'. Addirittura per quel reato era previsto anche l'ergastolo, lui probabilmente essendo un personaggio famoso se la cava con meno. Miodrag da quel momento non farà più ritorno in Romania fino alla caduta di Ceausescu". 

"A quel punto la Stella Rossa deve pagare il trasferimento alla Steaua Bucarest e alla Federcalcio rumena, ma i documenti spariscono. La Steaua dice di non avere i documenti relativi a Belodedici e non glieli fanno avere. Il trasferimento non può completarsi e in quel momento interviene l'UEFA, che minaccia di escludere dalle Coppe europee la Steaua. Belodedici può finalmente firmare con la Stella Rossa, ma la Steaua fa ricorso. L'UEFA, dando un colpo al cerchio e un colpo alla botte, gli commina una squalifica di 6 mesi"

Da lì Miograd deve star fermo circa un anno, e potrà debuttare con la Stella Rossa soltanto nel mese di novembre del 1989 a squalifica scontata. Ma la libertà, si sa, non ha prezzo.

"La vera patria è quella in cui incontriamo più persone che ci somigliano", dirà anni dopo il difensore commentando la sua vicenda personale e facendo proprie le parole di Stendhal.

red star european cup final 1991

SUL TETTO DEL MONDO CON LA STELLA ROSSA

Belodedici (che in Jugoslavia riprendono a scrivere e chiamare Belodedic) alla Stella Rossa è l'ingranaggio mancante di una macchina che con lui diventa quasi perfetta.

"Al suo primo allenamento con la nuova squadra, Stojkovic provò a fargli un tunnel. - racconta Crepaldi, che sta scrivendo un libro sull'ex veronese - Pixie ci riuscì ma si ritrovò a gambe all'aria. Si alzò e tutti pensavano che avrebbe reagito in malo modo. Invece diede una pacca sulle spalle a Belodedici e fra le risate generali disse: 'Finalmente uno che ha il coraggio di stendermi' ".

Nel 1989/90 la squadra guidata da Dragoslav Šekularac incanta in Coppa UEFA, poi conquista la Prva Liga dopo che l'anno prima, senza il difensore rumeno, aveva quasi eliminato il Milan di Sacchi dalla Coppa dei Campioni. Savicevic, Prosinecki, Jugovic e Stojkovic danno spettacolo.

La situazione in Jugoslavia si fa tuttavia molto tesa dopo che in Croazia il 6 maggio 1990 le elezioni premiano la destra nazionalista di Franjo Tudmam una settimana prima della sfida fra la Dinamo Zagabria di Boban e Suker e la Stella Rossa, già laureatasi matematicamente campione di Jugoslavia. La partita è apparentemente priva di importanza, ma presto si capisce che la sua rilevanza trascende la sfera sportiva: si affrontano da un lato la squadra che insieme all'Hajduk è il simbolo dell'orgoglio croato, dall'altra la compagine che assieme al Partizan era il suo corrispettivo per i serbi.

Allo Stadio Maksimir di Zagabria, come scriveranno gli storici, inizia di fatto la Guerra che porterà alla dissoluzione della Jugoslavia quale il mondo l'aveva conosciuta sotto il regime di Tito. In quell'occasione infatti, un campo di calcio si trasforma in un campo di battaglia fra le opposte tifoserie. Da Belgrado arrivano a Zagabria 3 mila giovani tifosi serbi, i Delije, sotto la guida di Zeljko Raznatovic, colui che durante le guerre balcaniche sarebbe diventato il criminale noto come 'La Tigre Arkan'.

Gli ultras serbi, non ancora confluiti nei corpi paramilitari del loro comandante, si comportano lungo il viaggio come un'orda barbarica, devastando le carrozze del treno e terrorizzando i passeggeri. Giunti poi a Zagabria, rompono le vetrine dei negozi e intonano cori anti croati e anti jugoslavi. Ad aspettarli dall'altro lato ci sono i Bad Blue Boys, gli ultras croati, che preparano il terreno della battaglia nascondendo pietre e combustibili in gran quantità dentro l'impianto e intonando cori anti serbi.

Appena lo speaker annuncia le formazioni, succede il finimondo. La polizia, numericamente insufficiente, perde il controllo della situazione e gli ultras serbi scavalcano in gran numero la recinzione della loro Curva e si portano sulla gradinata superiore, fortunatamente priva di pubblico, distruggendo tutto quello che capita loro sotto mano. Quindi, all'ingresso delle due squadre, lanciano in campo i seggiolini divelti. Alcuni degli ultras croati raggiungono i nemici belgradesi e iniziano le collutazioni corpo a corpo.

zvonimir boban dinamo crvena zvezda 1990

La mini-guerra dagli spalti si sposta rapidamente sul terreno di gioco. Belodedici e i suoi compagni della Stella Rossa fanno rapidamente rientro negli spogliatoi, mentre alcuni della Dinamo, fra cui il futuro milanista Boban, restano fuori. Proprio il capitano dei croati quando vede la polizia malmenare i tifosi croati non ci vede più e colpisce un poliziotto, che lo aveva preso a colpi di manganello, con un calcio che gli rompe la mascella.  

Gli ultras croati sfondano le recinzioni e si riversano in campo per correre in soccorso dei loro compagni in difficoltà nel settore serbo e quando le due fazioni vengono a pieno contatto è un miracolo se non ci scappa il morto. In quel momento la polizia jugoslava entra in azione con lacrimogeni e manganelli. Mentre i serbi fanno ritorno nel loro settore, i Bad Blue Boys, presenti in numero decisamente superiore, vedendo la polizia come espressione del Governo centrale di Belgrado, scatenano la guerriglia. La battaglia infurierà dentro lo stadio per circa 70 minuti e al di fuori per altre tre ore, con un bilancio di 59 feriti fra i tifosi e 79 fra i poliziotti, mentre 17 tram e alcune decine di auto in sosta sono devastate e 132 persone arrestate.

Inizialmente le principali resposabilità furono attribuite ai nazionalisti serbi, ma recenti notizie sembrano cambiarne la lettura, dimostrando che entrambe le tifoserie erano pronte ad una battaglia che nulla aveva a che vedere con il calcio.

"Su quei fatti è uscita una notizia molto importante che cambierebbe le carte in tavola. - rivela Crepaldi - I croati contestavano il fatto che la polizia jugoslavia si fosse schierata contro i Bad Blue Boys e non picchiò tutti indistintamente.Tudman strumentalizzò la cosa dicendo che la Jugoslavia era un inferno comunista controllato dai serbi. Ma perché la polizia agì così? Sembra che i Bad Blue Boys volessero fare una cosa eclatante: uccidere un giocatore della Stella Rossa".

"Mise ha intervistato Stojkovic, e Piksi ha raccontato che quando erano sul treno che li portava a Zagabria, è arrivato un uomo dell'OZNA, la Polizia segreta jugoslava, che gli avrebbe detto che i tifosi della Dinamo Zagabria avevano in mente qualcosa di brutto. L'uomo avrebbe poi consigliato che qualunque cosa fosse successa, avrebbero dovuto raggiungere gli spogliatoi (come di fatto faranno, a differenza dei calciatori avversari)".

"Quindi si sarebbe rivolto a Stojkovic e gli avrebbe detto: 'Piksi, tu è meglio che torni a Belgrado, da quello che sappiamo noi i Bad Blue Boys vogliono la tua testa'. Il numero 10 è il capitano e il simbolo della Stella Rossa. Inizialmente Dragan non ci avrebbe creduto e avrebbe risposto che fare il calciatore era il suo lavoro e lui sarebbe andato a Zagabria. Al che l'uomo scosse la testa".

La notizia, uscita nei giorni scorsi sui principali quotidiani serbi (senza però il nome di Stojkovic), e in particolare su 'B92', ha fatto molto discutere, e naturalmente in Croazia si nega al momento che le cose siano andate in questo modo.

Lasciatasi alle spalle quel pomeriggio di ordinaria follia, la Stella Rossa di Belodedici, passata sotto la guida di Ljupko Petrovic, parte nel 1990/91 con rinnovate ambizioni europee. I biancorossi, che prendono anche il giovane Sinisa Mihajlovic, dominano in patria e in Europa, dove eliminano gli svizzeri del Grasshoppers, gli scozzesi dei Glasgow Rangers e i tedeschi orientali della Dinamo Dresda.

In semifinale di Coppa dei Campioni la Zvezda fa l'impresa con il favorito Bayern Monaco: all'Olympiastadion Pancev e Savicevic ribaltano il vantaggio iniziale dei tedeschi, e al ritorno al Marakana un rocambolesco 3-3 proietta in finale i biancorossi. La finalissima si gioca in Italia, al San Nicola di Bari. Avversari i francesi dell'Olympique Marsiglia, che ai quarti avevano estromesso il Milan, sconfitti a tavolino al Velodrome dopo aver abbandonato il terreno di gioco, sotto per 1-0, per lo spegnimento di parte dei riflettori.

In finale ancora una volta Belodedici, come aveva fatto 5 anni prima con la Steaua, imbriglia il gioco offensivo dei francesi, che puntano sull'estro di Abedì Pelé, sui guizzi di Waddle e sul fiuto del goal di Jean-Pierre Papin. In panchina proprio Stojkovic, che aveva lasciato la Stella Rossa e aveva tentato l'avventura in Ligue 1, restando tuttavia fermo a lungo per problemi al ginocchio.

Sostanzialmente le difese hanno il sopravvento sui rispettivi attacchi e si va ai calci di rigore. Nel Marsiglia Stojkovic rinuncia a calciare, Belodedici invece fa il suo, trasformando il terzo penalty per gli jugoslavi. A Stojanovic basta parare il primo tiro di Amoros, perché poi i suoi compagni saranno freddissimi dagli 11 metri. Quando Pancev, quinto rigorista, batte Olmeta, al San Nicola esplode la festa biancorossa. La Stella Rossa è campione d'Europa.

Persa poi la Supercoppa Europea con il Manchester United, gli sforzi si concentrano sulla Coppa Intercontinentale che vede la Stella Rossa opposta al Colo Colo, l'8 dicembre 1991. La Zvezda di Belodedici vince 3-0 e sale sul tetto del Mondo. Quella sarà l'ultima grande finale disputata da una squadra dell'ex Jugoslavia. La Slovenia aveva già ottenuto la sua indipendenza nell'agosto 1991 e di lì a pochi mesi sarebbero esplose nella loro cruenza le guerre balcaniche, che avrebbero portato al completo disfacimento della Repubblica Federale di Jugoslavia e alla creazione degli Stati nazionali. 

SPAGNA E MESSICO E IL RITORNO ALLA STEAUA

Sul piano calcistico succede che tutti i più grandi talenti lasciano la Stella Rossa e le altre squadre dell'ex jugoslavia per cercare fortuna in altri campionati. Belodedici ha varie richieste, anche in Italia, ma alla fine sceglie di accettare la proposta del Valencia di Guus Hiddink nella Liga. Nei successivi 4 anni resta in Spagna, indossando anche le maglie di Valladolid e Villarreal, ma la sua carriera sembra aver intrapreso la fase discendente.

"Sembra incredibile - afferma Crepaldi - come su Miograd, che era sicuramente uno dei 5 migliori difensori centrale d'Europa, non abbia puntato nessuna grande squadra. Il Real Madrid un anno prima aveva preso Spasic dal Partizan Belgrado, ma fra Miograd e lui c'era un abisso".

Dopo 4 anni poveri per lui di soddisfazioni, Belodedici varca l'oceano e va a giocare per 2 stagioni in Messico con l'Atlante. Nel 1998, a 34 anni, quasi 10 dopo l'incredibile fuga, torna alla Steaua Bucarest, con cui gioca per 3 stagioni fino a 37 anni, ritirandosi nel 2001 dopo aver vinto altri 3 campionati rumeni e una Coppa di Romania. 

L'ESPERIENZA CONTROVERSA CON LA ROMANIA 

Belodedici è stato anche un pilastro della Nazionale rumena, con cui ha debuttato a 20 anni nel 1984 contro la Cina. Ma a causa delle antipatie nei suoi confronti degli alti esponenti del regime e dello stesso Ceausescu, a dispetto del suo indiscusso valore, fino al 1988 colleziona appena una ventina di presenze. La fuga in Jugoslavia gli costa l'esclusione dai Mondiali di Italia '90, nonostante il crollo della dittatura socialista nel 1989.

Poi Belodedici è riabilitato e torna a giocare in Nazionale per le Qualificazioni a USA 94. In quei Mondiali la Romania di Angel Iordanescu, colui che aveva diviso con Belodedici il trionfo di Siviglia nel 1986, ottiene grandi risultati e arriva fino ai quarti di finale, eliminando in una grande partita l'Argentina agli ottavi. Esce ai calci di rigore con la Svezia, e contro gli scandinavi proprio l'errore dagli 11 metri del difensore di Socol si rivela decisivo per l'eliminazione. 

L'ex Stella Rossa gioca anche gli Europei del 1996 in Inghilterra, avari di soddisfazioni per lui e per la squadra, e chiude con gli Europei del 2000 in Belgio e Olanda dopo 55 presenze e 5 goal. A 36 anni il Ct. Jenei, l'ex tecnico della Steaua, lo chiama come vice-Popescu e non esita a mandarlo in campo dalla gara contro l'Inghilterra quando il titolare si infortuna. Miograd fa il suo, ma le speranze personali e della Romania si spengono nei quarti di finale contro l'Italia di Zoff, che vince 2-0 (goal di Totti e Inzaghi) e passa in semifinale. 

Quella sarà la sua ultima grande gara a livello internazionale prima di dire basta con il calcio giocato. L'amore per la libertà, il suo spirito di ribellione e il suo coraggio gli avevano regalato una carriera da romanzo dell'Ottocento, consegnandolo per sempre alla leggenda.

Pubblicità