Carlo Ancelotti alla guida della Juventus non ha saputo vincere. E questa, a distanza di anni, resta una notizia. Vuoi perché il tecnico di Reggiolo, ancora oggi, è uno dei tecnici più in auge dell'intero panorama internazionale. Vuoi perché, alle prese con un organico di livello, dal 1999 al 2001 Madama ha vissuto un periodo di magra.
Erano gli anni della forte crisi tra la Vecchia Signora e Lippi che, nel febbraio del 1999, lasciava il posto a Carletto. Ex grande calciatore, ex tecnico rampante del Parma. Insomma, il profilo giusto per creare un nuovo ciclo.
Eppure, però, fin da subito l'ambiente bianconero non palesa la sua felicità per il cambio in panchina. Una tifoseria troppo legata al mister viareggino, capace di riportare la Juve sul tetto d'Italia, d'Europa e del mondo.
Ancelotti fa il suo debutto a Piacenza e, nel settore ospiti dello stadio 'Garilli', compare uno striscione: "Un maiale non può allenare". I bianconerivinceranno per 0-2, con reti di Mirkovic e Birindelli. Ma quell'episodio, indelebilmente, segnerà subito il corso della storia.
Nella stagione 1998-1999, alle prese con una stagione compromessa, i bianconeri si limitano a vivacchiare qua e là: quinto posto in campionato a pari merito con Roma e Udinese, semifinale di Champions persa contro il Manchester United (che poi avrebbe vinto la competizione) e Coppa Italia aggiudicata - con conseguente ingresso in Coppa Uefa - dopo aver perso lo spareggio contro i friulani (decisiva la regola dei goal in trasferta).
Nell'annata successiva, sale in cattedra Moggi. Che opta per ritoccare sensibilmente la rosa: Peruzzi all'Inter, Di Livio alla Fiorentina, Deschamps al Chelsea. Ma la cessione più dolorosa, nonché la più incomprensibile, è un'altra. E si chiama Henry, venduto all'Arsenal per 10 milioni di sterline.
Preso dal Monaco per sostituire l'infortunato Del Piero, e schierato anche nel ruolo di laterale di fascia, il transalpino viene sacrificato senza grosse perplessità. Il resto, invece, è storia.
Tutto sembra procedere nel verso giusto, con una quadra tattica all'insegna della qualità. Eppure, però, nel calcio l'imponderabile è sempre dietro l'angolo. E pur con 9 punti di vantaggio sulle rivali a 8 giornate dalla fine, Madama riesce a perdere lo scudetto. Conquistato dalla Lazio.
Decisivo l'atto finale di Perugia, in un clima surreale con un acquazzone memorabile. Gara vinta dai padroni di casa grazie a un lampo di Calori.
Sconfitta, nella sconfitta, analizzata due giorni dopo da Ancelotti nel container sala-stampa del 'Comunale':
"Abbiamo trovato una Lazio formidabile che ci ha creduto anche quando era a meno nove e, alla fine, ha fatto un punto più di noi. Il diluvio di Perugia? Certo, un'attesa di oltre un'ora tra un tempo e l'altro è stata un' anomalia...".
La Juve, sempre con Carletto in panchina, ci riprova. Arriva Trezeguet, fresco di goal decisivo trovato all'Europeo. Ma, senza farla troppo lunga, va in scena lo stesso copione. Altro giro, nuovo dualismo con l'altra sponda capitolina. La Vecchia Signora soffre, si rialza, e cade. Musica per le orecchie di Capello, che trionfa con la Roma.
Nonostante i 144 punti ottenuti in due anni, i bianconeri non vincono nulla. E, si sa, questo concetto in quelle zone difficilmente viene digerito. La Triade fa un passo indietro: mette alla porta Ancelotti e richiama Lippi, reduce da un'esperienza tutt'altro che esaltante all'Inter.
E nel libro "Preferisco la Coppa: vita, partite e miracoli di un normale fuoriclasse", c'è la fotografia di un matrimonio mai veramente felice:
"Da maiale che non poteva allenare, Torino non mi piaceva. Troppo triste, lontana un paio di galassie dal mio modo di essere. Indietro Savoia, arriva il ciccione dei tortellini. La Juventus era una squadra che non avevo mai amato e che probabilmente non amerò mai, anche per l'accoglienza che qualche mente superiore mi riserva ogni volta che torno. Per me è sempre stata una rivale. Non mi sono mai sentito a casa, mi sembrava di essere l'ingranaggio di una grande azienda. Per il sentimento, prego, rivolgersi altrove".


