“Da quando è arrivato ho sempre detto che è un talento enorme. Ora è consapevole del fatto che lavorando può diventare un’arma devastante. E’ stato un po’ criticato, ma ha risposto sul campo. La stagione però non è finita e non si deve addormentare”.
Rudi Garcia, attraverso questa frase, ha forse descritto meglio di chiunque altro Adem Ljajic. Sono stati molti i tecnici che hanno speso parole per il giocatore serbo e tutti sono arrivati più o meno alla stessa conclusione: per quelle che sono le sue potenzialità in campo può fare quello che vuole, ma solo se lo vuole realmente.
Alcuni hanno provato a fargli tirare fuori ogni goccia del suo talento con le buone, altri con le cattive, altri ancora invece si sono arresi e c’è stato anche chi, esasperato da atteggiamenti che a volte possono far pensare a indolenza, ha perso la pazienza al punto da compiere gesti che poi hanno probabilmente anche cambiato il volto della sua carriera (ogni riferimento a Delio Rossi non è casuale).
Ljajic è sempre stato cosi, ovvero un talento cristallino al quale non è mai mancato nulla per entrare nel novero dei migliori giocatori del mondo. E’ agile, veloce, elegante, dotato di qualità tecniche non comuni abbinate ad un fisico importante, eppure non è mai diventato un vero top player ed anzi, ciò che ha fatto in campo ed il modo in cui l’ha fatto, l’ha spinto in quel ‘ girone ’ nel quale trovano posto coloro che 'sarebbero potuti essere… ma che non sono stat i'.
Che fosse forte se ne sono accorti tutti molto presto. Non è ancora maggiorenne quando dall’Europa dell’Est iniziano arrivare voci di un gioiello straordinario, di un ragazzo che per come tratta la palla, soprattutto in velocità, si è presto guadagnato un soprannome pesante: ‘Il Kakà dei Balcani’.
E’ chiaro che un giocatore così non può restare a lungo in Serbia. Ha esordito giovanissimo con la maglia del Partizan sia in campionato che nei preliminari di Champions League e fa già parte del gruppo della rappresentativa Under 21 del suo Paese quando si scatena una vera e propria corsa a chi arriva prima al suo cartellino.
GettyA bruciare tutti al fotofinish è il Manchester United che nel 2008 si assicura il suo ‘sì’. Sir Alex Ferguson è al lavoro per creare una squadra che possa garantirgli successi importanti anche nell’ultima fase della sua leggendaria carriera, sente che un ciclo si sta chiudendo e quindi inizia a setacciare l’Europa alla ricerca dei migliori talenti in assoluto. Vuole dei nuovi ‘ Fergie Boys ’.
Normale dunque che tra i ragazzi sui quali scommettere non ci possa non essere il ‘ Kakà dei Balcani ’, che infatti viene preso insieme a Zoran Tosic in un unico pacchetto da 17 milioni di sterline. I media inglesi celebrano il colpo messo a segno dallo United, ma c’è un problema: Ljajic non è ancora maggiorenne e l’Inghilterra non è esattamente un Paese che elargisce permessi di lavoro con facilità.
Viene dunque trovata una soluzione che va bene a tutti: Tosic, che è quattro anni più grande, resta a Manchester, mentre quello che dall’altra parte della Manica viene prontamente definito il ‘ Più grande talento dell’Est ’ torna a Belgrado con la promessa però che in alcuni periodi dell’anno verrà liberato per compiere delle sedute di allenamento a Carrington con Cristiano Ronaldo, Scholes, Rooney e compagni e sotto l’occhio attento di Ferguson.
Ljajic avrà effettivamente modo di vivere il mondo United dal suo interno, ma nell’anno che passerà dal giorno in cui venne immortalato con la maglia dei ‘ Red Devils ’ addosso al fianco di Sir Alex, a quello della definitiva acquisizione del suo cartellino, qualcosa cambierà.
Il gioiello serbo infatti, non diventerà mai un giocatore del Manchester United . Alcuni, sponda Partizan, parleranno di problemi economici che hanno fatto arenare l’operazione, altri invece racconteranno di un Ferguson che intanto ha intravisto nel ragazzo un qualcosa che non lo convince. Forse si aspettava una crescita maggiore, forse è rimasto impressionato dal vedere quanta fatica stesse facendo Tosic ad adattarsi a ritmi ai quali non era abituato, o probabilmente al suo occhio allenato non era sfuggito ciò che poi condizionerà per sempre la carriera di Ljajic.
La versione ufficiale dello United resterà quella che a far saltare il banco furono problemi di natura burocratica.
“Nelle nostre strutture i ragazzi possono crescere fino ad arrivare in prima squadra - raccontò Mike Phelan, il vice di Ferguson - Abbiamo esaminato Adem e crediamo che lui abbia tutte le potenzialità per farlo. A volte si riescono ad ottenere i permessi di lavoro e altre volte no, lui è rientrato in questa seconda categoria. E’ questo il motivo per il quale abbiamo deciso di rinunciare a lui”.
Ljajic passa da un giorno all’altro da l’essere un ‘ Red Devil ’ ad essere un ragazzo che ha visto svanire la più grande occasione della sua vita, ma di lì a poco per lui si schiuderanno comunque le porte del grande calcio. Ad approfittare della situazione che si è venuta a creare è Pantaleo Corvino , uno tra i dirigenti che meglio di tutti ha pescato nell’Europa dell’Est nel corso degli ultimi venti anni.
E’ il gennaio del 2010 quando la Fiorentina chiude un’operazione che sembra ricalcare fedelmente quella che pochi anni prima aveva portato in riva all’Arno Stevan Jovetic . A Firenze l’attesa è dunque grande e tutti fremono all’idea di vedere insieme in attacco quel duo sfornato da quella straordinaria fucina di talenti che è il Partizan.
La Fiorentina non è lo United, ma intanto può rappresentare un importante trampolino di lancio. La compagine viola infatti, nel corso degli anni precedenti si è assestata tra le big del calcio italiano e può rappresentare realmente quanto di meglio possa esserci per un talento pronto ad esplodere.
Quella che Ljajic trova è però una ‘Viola’ giunta ormai alla fine del ciclo Prandelli e i suoi primi mesi in Toscana scivolano via tra panchina e pochi sprazzi. Quando la squadra verrà di lì a poco affidata a Sinisa Mihajlovic , saranno in molti a vedere nel tecnico serbo l’uomo giusto per estrarre fuori il meglio dal suo giovane connazionale, ma quello tra i due sarà un rapporto scandito da una serie infinita di alti e bassi.
GettyLjajic troverà un allenatore pronto a puntare forte su di lui, ma anche un ‘sergente di ferro ’ che su certe cose non transige. Un uomo pronto a concedigli campo, ma nessuna eccezione, che poi lo vorrà in Nazionale e che dalla Nazionale lo caccerà (il ragazzo non se la sentiva di cantare un inno che non sentiva suo) e che successivamente chiederà a gran voce anche al Torino anni più tardi.
Amore e odio. Amore per un talento che può farti vincere le partite da solo, odio per quell’indole che non gli permetterà mai di esprimersi al meglio con continuità.
“Mangia troppa Nutella e sta troppe ore alla PlayStation”.
Ljajic impiegherà del tempo prima di riuscire ad imporsi a Firenze e dovrà fare i conti anche con i pugni di Delio Rossi , prima di riuscire a dimostrare a tutti di cosa realmente è capace.
Ha ventuno anni quando è stato già declassato da futura stella del calcio mondiale a flop, quando nel 2012 trova sulla sua strada il tecnico che darà un nuovo senso a tutto: Vincenzo Montella .
Ha vissuto i mesi precedenti fuori rosa e a livello internazionale è semplicemente diventato il giocatore picchiato in mondovisione dal suo allenatore, quando in lui scatterà qualcosa. Montella più di tutti capirà che quel ragazzo può esprimersi al meglio in campo solo se il suo talento non viene ingabbiato in troppi tatticismi. Va insomma lasciato libero di fare il suo calcio.
Il 22 viola (numero scelto proprio in onore di Kakà), ripagherà la nuova fiducia che gli verrà concessa formando con Jovetic una delle coppie offensive più belle tra quelle viste negli ultimi anni a Firenze. I due si intendono a meraviglia, parlano la stessa lingua calcistica, vanno entrambi in doppia cifra e quando sono in giornata sono semplicemente impossibili da arginare.
“Montella è il migliore tra tutti gli allenatori - spiegherà anni dopo a ‘RomaTv’ - mi ha fatto maturare, ho giocato per la squadra e spero che un giorno potrò tornare a lavorare con lui”.
La Fiorentina può finalmente godersi quel campione la cui esplosione è stata attesa così a lungo, oltre che il giocatore chiamato a raccogliere in tutto e per tutto l’eredità di uno Jovetic ormai destinato a lidi più prestigiosi ma, proprio nel momento in cui Firenze ha scoperto un nuovo amore, qualcosa si rompe.
Il suo contratto infatti scade l’anno successivo e Ljajic decide di non rinnovare. La nuova punta di diamante della squadra sente che è arrivato il momento di un ulteriore passo per la propria carriera e lo fa mentre il suo nome viene accostato con sempre maggiore insistenza a quello delle big di tutta Europa, oltre che a quello di Milan e Roma .
A battere la nutrita concorrenza saranno proprio i giallorossi, ma a detta di tanti il Ljajic di Firenze non si vedrà più.
“Alla Fiorentina sapevano cosa volevo, non abbiamo trovato un accordo ed ho deciso di venire alla Roma, una squadra molto importante in Italia e in Europa. Sono felice di essere qui e questo per me non è un punto di partenza, sono venuto per restarci dieci anni, fare le cose in grande e vincere qualcosa”.
Nella Capitale in realtà ci resterà solo due stagioni, alternando cose molto buone ai consueti passaggi a vuoto. Si toglierà la soddisfazione di segnare nel Derby e ritroverà il goal in Europa, cosa che non gli capitava dai tempi del Partizan, ma non diventerà mai realmente quell’elemento imprescindibile capace di far fare l’ultimo e decisivo passo ad una squadra che intanto ha ripreso a puntare con decisione allo Scudetto.
Getty ImagesSi trasferirà poi in prestito all’ Inter , dove vivrà una stagione caratterizzata da qualche sprazzo e poco feeling con Roberto Mancin i, prima di diventare, nell’estate del 2016, un nuovo giocatore del Torino , oltre che l’allora acquisto più oneroso della gestione Cairo (il suo cartellino costò poco meno di dieci milioni di euro).
All’ombra della Mole ritroverà Sinisa Mihajlovic e si riscoprirà leader tecnico della squadra. Con Belotti e Iago Falque darà vita ad un tridente capace di segnare e di divertire, ma anche quella in granata sarà un’avventura destinata ad essere breve e la sua conclusione sarà anche figlia della scarsa propensione di adattarsi allo stile di gioco di un Walter Mazzarri poco incline ad accettare intolleranze di natura tattica.
Adem Ljajic ha appena firmato con il Karagumruk di Pirlo, con cui potrà giocare a partire da gennaio 2023. Recentemente ha militato nel Besiktas , squadra con la quale ha vinto un campionato ed una coppa di Turchia, prima di essere considerato un separato in casa. Fuori rosa a Istanbul, parametro zero dopo la scadenza contrattuale nel 2022.
"Dai da mangiare a un cane 3 giorni e lui ti ricorderà 3 anni - ha scritto sul suo profilo Instagram - Dai da mangiare ad un umano per 3 anni e ti dimenticherà in 3 giorni".
Forse non ha mai raggiunto la vera maturità calcistica e probabilmente non la raggiungerà mai. Resterà una sorta di mistero misto a rimpianto perchè un giocatore con le sue qualità avrebbe potuto fare una carriera diversa.
Magari se lo United non avesse rinunciato a lui e gli avesse dato la possibilità di allenarsi al fianco di alcuni tra i migliori calciatori del pianeta le cose sarebbero potute andare in maniera diversa, ma questo è un dubbio che resterà per sempre tale.
Può il talento essere un limite? Probabilmente per Ljajic lo è stato. Ne ha avuto così tanto che non ha sentito forse il bisogno di coltivarlo. Quello che è certo è che non l’ha mai imbrigliato in sistemi tattici nei quali non si sentiva a suo agio e questo alla fine l’ha certamente anche frenato, ma gli ha anche permesso di vivere il calcio a modo suo. Quello di un potenziale fuoriclasse che fuoriclasse lo è stato solo a sprazzi.
