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Josè Mourinho Genoa RomaGetty Images

Mourinho intervistato da Federico Buffa: “Non so se resto alla Roma“

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Una lunga intervista, quella rilasciata a Federico Buffa e Federico Ferri, nella quale José Mourinho ha parlato di vari momenti della sua carriera e del suo modo di vivere il calcio.

Il tecnico della Roma, ai microfoni di ‘Sky’, ha rivissuto il Triplete vinto con l’Inter e raccontato delle emozioni che vive oggi in giallorosso.

E’ questa la seconda parte dell’intervista allo Special One in 'Federico Buffa Talks' su 'Sky Sport', nella quale ha anche riservato una frecciata alla Lazio, detto la sua sulla classe arbitrale e spiegato il 'Mourinhismo'.

  • “NON SI VINCONO I TITOLI CON LA COMUNICAZIONE”

    Mourinho ha parlato della vittoria dell’Inter contro il Barcellona che permise ai nerazzurri di volare in finale di Champions, e dell’intuizione di spostare Eto’o da esterno difensivo per conservare il vantaggio acquisito.

    “C’è una narrativa: per la gente meno intelligente sono soprattutto un bravo comunicatore, ma con la comunicazione non si vincono 26 titoli e mezzo. Si dimentica una parte fondamentale del lavoro dell’allenatore e oggi ci rido, dieci anni fa no. Eravamo sul 3-1 per noi a San Siro, mancano 60’ per andare in finale di Champions, cosa che all’Inter non capitava da generazioni, giocavamo contro la squadra più forte del mondo ed eravamo uno in meno. Cosa dovevamo fare i fenomeni e vedere la finale in Tv? O dovevamo lottare con tutto ciò che avevamo per andarci? Dovevamo fare storia o filosofia? Dovevamo fare la storia e l’abbiamo fatta.

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  • “MAI VISTA UNA PANCHINA COME QUELLA DELL’INTER”

    Lo Special One si è soffermato su Diego Milito ma anche sullo straordinario senso di gruppo della sua Inter.

    “Diego è prima di tutto un ragazzo di un’umiltà incredibile, un ragazzo con l’egoismo che il 9 deve avere, ma con l’altruismo delle grandi persone. Aveva questo, per lui la squadra era la cosa più importante. Ci sono attaccanti che sono felici anche se non segnano ma la squadra vince. Il nostro modo di giocare era perfetto per lui. Giovavamo con Sneijder, Eto’o, Milito e Pandev e se questi quattro non difendono non vinci una sola partita. Avevamo bisogno di disciplina e di senso per la squadra e loro in questo erano straordinari. Il Triplete è stata una cosa fantastica e possibile grazie a questo senso di gruppo. Io non ho mai visto una panchina come quella dal punto di vista umano. Noi avevamo un gigante, e parlo dal punto di vista della carriera, come Toldo che andava in panchina. Avevamo Cordoba e Materazzi in panchina, Stankovic tante volte andava in panchina. Bisogna essere giocatori che tengono alla squadra”.

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  • “ALL’INTER TUTTI ERANO IMPORTANTI”

    Mourinho ha ricordato gli allenamenti all’Inter ed il lato umano di quella squadra.

    “Erano molto competitivi. Si giocavano partite vere. Capivano che tutti erano importanti ed era vero. Tutti hanno partecipato in maniera importante a questa storia. Contro il Barcellona c’era gente che soffriva ed io ricordo Cordoba che urlava ‘E’ l’ultima occasione della mia vita per vincere la Champions, mi dovete portare in finale’. Queste sono le mie vere medaglie: per me il lato umano è molto importante”.

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  • “NESSUN RIMPIANTO PER L’ADDIO ALL’INTER”

    La sua avventura all’Inter si è chiusa dopo aver completato uno storico Triplete. Restando in nerazzurro, avrebbe potuto vincere ancora di più.

    “Non ho rimpianti. Sono sempre molto onesto con gli altri e con me stesso. Potevo andare al Real Madrid dopo la prima stagione con l’Inter, ma avevo firmato un contratto e avevo un rapporto incredibile con il presidente e la sua famiglia. Sono andato a casa sua e siamo arrivati alla conclusione che dovevo restare un anno in più. Io sapevo che volevo andare, avevo già deciso, non era determinate la finale. Volevo il Real Madrid e per la seconda volta mi si è presentata l’occasione di andarci. In quella fase della mia carriera sentivo che dovevo fare delle cose e potevo andare nel club più importante al mondo. Al di là del vincere o meno la Champions, c’era un lavoro di base che sarebbe passato ad un altro allenatore, era tutto perfetto all’Inter. Sarebbe stato più comodo restare e vincere piuttosto che andare a sfidare il Barcellona che era la squadra più forte del mondo. Avrei potuto vincere il Mondiale per Club contro una squadra della quale nemmeno ricordo il nome, ma non avrebbe avuto significato. I giocatori hanno capito tutto, il presidente lo sapeva e non sono tornato a Milano perché avevo paura che l’emozione avrebbe potuto cambiare le cose. Io non avevo ancora firmato con il Real Madrid, loro avrebbero voluto, ma io no, non avrei giocato la finale da allenatore di un’altra squadra”.

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  • Moratti Champion League 2010Getty Images

    “NON DIMENTICO GLI OCCHI DI MORATTI”

    Mourinho ha parlato del suo rapporto con Moratti dopo l’addio all’Inter.

    “Sono tornato da Moratti, il suo sogno era a casa sua, aveva la coppa lì. Ho provato una gioia personale tremenda, ma gli occhi del presidente non li dimenticherò mai. Ha vinto la coppa che aveva alzato il padre quando era bambino. Tutti parlano di investimenti economici, a me restano le emozioni umane”.

  • “IO DIFENDO I GIOCATORI”

    I giocatori sono da sempre al centro del progetto di Mourinho e non solo per una questione tecnica.

    “Nel calcio c’è sempre una percentuale di imprevedibilità. E’ questo a rendere il gioco più bello. Io sono un grandissimo difensore dei giocatori, non devono solo giocare ma anche pensare. Ho imparato tanto dai giocatori. Ho parlato con grandissimi allenatori e mi hanno dato ragione, bisogna essere aperti perché i calciatori hanno una percezione diversa delle cose. Quello che dobbiamo dargli sono le condizioni per capire il gioco. Al Real Madrid abbiamo deciso di avere dei monitor ovunque, anche quando si mangiava o si andava in palestra, e mostravano sempre l’analisi dell’avversario. Erano grandi giocatori, ma quei monitor li guardavano ed apprendevano già dal punto di vista strategico cosa fare contro quell’avversario. Io difendo una certa libertà del giocatore e oggi questa cosa si sta perdendo. Si fanno tante analisi, ma il gioco è dei giocatori”.

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  • “DUE FINALI IN DUE ANNI”

    In molti iniziano a considerate Mourinho come un allenatore della vecchia scuola.

    “Esiste il vecchio che ha preso una squadra che non ha fatto nulla negli ultimi due anni e l’ha portata a due finali europee ed esistono i giovani che hanno vinto due sole partite. Il calcio è così”.

  • “NEL CALCIO NON C’E’ LIBERTA’”

    Mourinho ha introdotto nel calcio anche un nuovo modo di comunicare, cosa che l’ha portato ad essere considerato poco umile.

    “Non sono un grande esempio di umiltà. Io sono così e se non è proibito dico quello che penso. Nel calcio spesso è proibito, non si possono dire certe cose. Il calcio è il gioco del popolo, il popolo è libertà e ci deve dunque essere liberà di espressione. A certi livelli purtroppo non è così, ma se penso una cosa su me stesso nessuno può fermarmi".

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  • “NON CONOSCEVO LA ROMA”

    La decisione di tornare ad allenare in Italia ha sorpreso in molti.

    “Io quando sono arrivato non conoscevo la Roma. Ho giocato a Roma con l’Inter e con il Porto ma non contro la squadra più importante della città. Non conoscevo il cuore calcistico della città e non conoscevo la società AS Roma. Ero in un momento nel quale avevo allenato tre grandi squadre inglesi ed avevo deciso di lasciare l’Inghilterra. E’ arrivata la Roma, il discorso della proprietà mi è piaciuto ed è quello che mi ha fatto decidere di venire. Dopo che sono arrivato ho imparato a conoscere i romanisti, i loro dubbi, le loro frustrazioni e mi sono fatto tante domande. Ora si può dire che mi sono affezionato tanto al romanista. Mi piacciono quelli senza cravatta, quelli della strada, quelli che vanno a Trigoria facendosi 40’ di strada per una foto o un autografo. Poi quando piangi di gioia con loro diventi ancora di più uno di loro. E’ ciò che sento adesso, è stata una cosa quasi naturale. Mi piace il romanismo, quello puro. Quando sono in panchina e guardo alla mia destra l’Olimpico mi emoziono ancora, quando mi guardo alle spalle non tanto. Ancora oggi quando guardo a destra mi vengono i brividi”.

  • “I DOTTORI DEL CALCIO”

    Il tecnico della Roma ha spiegato come, a suo dire, il calcio sta diventando.

    “Il calcio è diventato questo: arrivi ad una finale europea e ci sono 15 mila tifosi per squadra ed altri 30 mila che vanno a bere champagne e a mangiare, gente che va lì con gli sponsor. Ci sono loro e quelli che perdono lo stipendio e che mangiano male per vedere la partita. Ci sono loro e i dottori del calcio che magari non tifano per nessuno. Il calcio sta diventando una cosa per l’élite, non da punto di vista pratico, ma per il resto sì. E’ guardando a destra o a sinistra che vedi quelli veramente innamorati del calcio".

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  • “SOLO LA CONFERENCE E LA VESPA”

    Al suo arrivo a Roma, Mourinho è stato accolto anche da un murale che lo ritrae in Vespa.

    “La Vespa è lì a Trigoria, me l’ha regalato la proprietà quando sono arrivato. Purtroppo a Trigoria non ci sono tante Coppe: ci sono la Conference e la Vespa. Il giorno che vado via me la porto con me a Setubal”.

  • “NON SO SE RESTO ALLA ROMA”

    Mourinho non si è sbilanciato sulla sua permanenza alla Roma.

    “Non lo so. Al momento sono altri sette o otto mesi di contratto. Prima di Budapest ho promesso ai giocatori che sarei rimasto, dopo lo Spezia ho fatto capire ai tifosi che sarei rimasto e sono qua”.

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  • “L’ALLENATORE E’ SOLO QUANDO PERDE”

    Spesso si parla della figura dell’allenatore come di un uomo solo.

    “Quando si vince fai anche difficoltà a camminare, sono tutti con te. Devi chiedere ‘permesso’. Quando perdi sei un uomo solo. Hai gli assistenti con te, qualche amico, la famiglia, ma dal punto di vista calcistico se perdi sei solo. La mia esperienza mi fa pensare questo. Poi c’è l’uomo solo per scelta propria ed io tante volte ho bisogno di stare da solo e di pensare da solo. I miei amici e la mia famiglia lo sanno, sono con loro, ma da solo. Li faccio anche sentire male perché sono nel mio mondo. E’ un isolamento necessario”.

  • “CHI SA SOLO DI CALCIO NON SA NIENTE”

    Infine la spiegazione su come è nato il suo motto ‘Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio’.

    “Sono arrivato nella mia città e volevo allenare. Prima classe ‘Filosofia dell’attività corporale’, ma che filosofia? Io sono andato lì e per un’ora e mezza ho pensato solo al pallone. Manuel Sergio mi ha visto e mi ha chiesto quale fosse il problema. Risposi che non mi era piaciuto, ma lui mi ha detto ‘Ricorda le mie parole di oggi e tra qualche anno ne riparliamo’. Ne parliamo ancora oggi, lui ha 88 anni, ma parliamo ancora oggi. Mi ha detto ‘Attento, chi sa solo di calcio non sa niente di calcio’. Mi ha fatto pensare ed è diventato il mio professore preferito. Spero che resti con noi per tanti anni ancora”.

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