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Gianluca Vialli Italy Euro 2020Getty Images

Vialli e il rito a Euro 2020: sempre in ‘ritardo’, sempre ultimo a salire sul pullman

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Una scena, sempre la stessa. Un rito, perché essere scaramantici forse non serve… ma in ambito calcistico è utile eccome. Gianluca Vialli che insegue un pullman, quello della Nazionale Azzurra, fa ampi gesti per farlo fermare e poi ci sale su. Rigorosamente per ultimo, perché porta bene.

Euro 2020 ha rappresentato per Gianluca Vialli forse l’ultima grande gioia a livello calcistico. Lui, che da giocatore si è consacrato come uno degli attaccanti italiani più forti di sempre e che nella sua brevissima esperienza da allenatore ha sollevato al cielo ben cinque trofei, l’ultima soddisfazione, forse la più emozionante di tutte, se l’è tolta da dirigente.

E’ nel novembre del 2019 che entra nei ranghi della FIGC come capo delegazione della Nazionale Azzurra. Ad attenderlo c’è un ruolo per lui tutto nuovo, ma al fianco del suo amico di sempre, del suo ‘gemello’ Roberto Mancini.

Roberto Mancini Gianluca Vialli ItalyGetty

I due hanno condiviso tanto quando erano calciatori sia con la maglia della Sampdoria che con quella dell’Italia addosso e, anche quando le rispettive carriere hanno imposto loro delle strade diverse, non si sono ‘mai lasciati’ e questo per un motivo molto semplice: certi legami sono più forti di tutto.

Vialli ha ricoperto il ruolo di capo delegazione della Nazionale con la consapevolezza di poter rappresentare l’esempio per eccellenza, il guerriero che sta combattendo la sua battaglia più importante, ma l’ha fatto anche mettendo a disposizione del gruppo tutta la sua esperienza.

Lui che ha frequentato gli spogliatoi prima da calciatore e poi da allenatore, non si è limitato ad un ruolo di accompagnatore. Ha fatto parte della squadra, è stato un capitano non giocatore, un consigliere per i calciatori e per lo stesso Mancini.

Le lacrime in campo, l’abbraccio con il suo ‘gemello del goal’, la foto con il trofeo in mano nella magica cornice di Wembley, restano alcune delle immagini impresse nel cuore degli appassionati, che proprio in Vialli hanno visto uno degli uomini simbolo di una cavalcata tanto bella quanto in un certo senso inaspettata.

Un pullman si diceva, rincorso fino all’ultima partita. Sì perché Vialli, da profondo conoscitore del calcio, ha evidentemente sempre saputo che, all’interno di un gruppo e nell’ambito di un ritiro, certe cose assumono un valore diverso.

Tutto è iniziato il 16 giugno 2021 quando è arrivato tardi all’appuntamento con il pullman che stava portando gli Azzurri all’Olimpico di Roma per sfidare la Svizzera nella seconda partita della fase a gironi di Euro 2020. Un urlo, il braccio alzato, l’autista che si ferma, le risate di tutti e, cosa non trascurabile, una vittoria per 3-0 che vuol dire qualificazione.

Quel ritardo ha portato bene e nel calcio non è cosa da poco. Ci si appiglia a tutto pur di vincere, ma anche pur di stemperare la tensione che ti stringe il cuore prima di una partita. Vialli, da quel momento in poi, inseguirà il pullman altre cinque volte: ovvero prima delle sfide con Galles, Austria, Belgio, Spagna e Inghilterra. Cinque ‘ritardi’, una storia che si ripete e che precede sempre una vittoria.

Gianluca Vialli ItaliaGetty Images

Il rito viene perfezionato e diventa parte integrante della corsa che porterà agli Azzurri a spingersi fino al tetto d’Europa. Il primo a mettere piede sul pullman è sempre Roberto Mancini, il commissario tecnico ed il condottiero, poi tocca ai giocatori e anche in questo caso non si ‘sgarra’: il primo è Acerbi, poi in ordine preciso tutti gli altri, fino a Donnarumma che è l’ultimo. Infine tocca al capo delegazione, a Gianluca Vialli, che con passo affrettato mette piede sulla scaletta solo dopo che il pullman ha già percorso qualche metro.

E’ anche così che si contribuisce ad una vittoria. Basta un gesto, un sorriso, un consiglio, un abbraccio o un discorso. Un discorso come quello fatto al gruppo due giorni prima della storica finale dell’11 luglio.

Vialli, trattenendo a stento le lacrime, ha letto un passo de ‘L’uomo nell’arena’, un discorso tenuto nel 1910 dal presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt.

“L'onore spetta all'uomo nell'arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze.L’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta. L’uomo che, quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato”.

Parole che forse fin da subito hanno avuto il peso di un testamento ‘calcistico’ e non solo. Parole pronunciate da un capo delegazione che, anche nel momento più complicato della sua vita, attraverso il calcio ha trovato il modo di sorridere e far sorridere. Di emozionarsi e far emozionare.

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