GOALI record vanno celebrati, sempre. Quale che sia la ricorrenza, se si diventa il primo a fare qualcosa, il primo in una classifica, è bene festeggiare l’avvenimento. Anche se il record è strano, c’è qualcuno che di tanto in tanto gli rende merito.
Giampiero Pinzi è uno di questi.
C'è un post su Instagram, sul suo vecchio profilo ormai inattivo, in cui il centrocampista parla ironicamente del suo primato:
"⚠️149 volte ti ho incrociato in serie A maledetto cartellino giallo⚠️!👀diciamo la verità volevo il podio più alto e un record è sempre un record".
Ebbene sì, Giampiero Pinzi è il giocatore più ammonito della storia della Serie A.
Un record strano, curioso, che dice tanto della grinta di un giocatore che ha segnato la storia del calcio di provincia tra gli anni 2000 e gli anni 10 del terzo millennio.
Scorrendo la classifica si leggono nomi di giocatori che non hanno mai tirato indietro la gamba, letteralmente: Ambrosini, Totti, De Rossi, Rigoni, Di Biagio, poi, in testa, Daniele Conti e Giampiero Pinzi.
Ed è proprio con l’ex centrocampista del Cagliari che Pinzi condivide il record: nonostante nel suo post si parli di 149 cartellini gialli, le statistiche ufficiali dicono 140, gli stessi sventolati in faccia a Conti.
Getty ImagesQuesto per un motivo: Pinzi è anche stato espulso 9 volte per doppia ammonizione, ma questi cartellini non vengono contati nella statistica.
A conti fatti, l’ex bandiera dell’Udinese è anche il giocatore più espulso per somma di ammonizioni nella storia della Serie A.
La carriera di Pinzi attraversa alcune delle storie più belle della storia del calcio italiano recente. Esordisce con la Lazio di Sven Goran Eriksson nella stagione 99-00, quella della Supercoppa Europea, dello Scudetto e della Coppa Italia. Gioca in Champions, ma non in campionato, motivo per cui non figura nella rosa dei campioni d’Italia. Eppure, da leader della primavera, colpisce per l’ordine con cui gioca e per la grinta in fase difensiva.
Pinzi non è Beckham, ma è un uomo d’ordine che di lì in poi farà la fortuna delle squadre che lo avranno in squadra. Su tutte l’Udinese.
Coi bianconeri gioca per otto anni, dal 2000 al 2008, diventando un titolare fisso e togliendosi delle soddisfazioni. Vince l’Europeo under 21 del 2004, da fuoriquota, segnando un goal in semifinale contro il Portogallo e viene convocato dalla nazionale maggiore nel 2005, per l’amichevole giocata a Padova tra Italia e Islanda.
Sarà l’unica presenza azzurra di Pinzi, che nel frattempo, da titolarissimo, guida il centrocampo dell’Udinese che nella stagione 04-05 arriva quarta e si qualifica alla Champions League per la prima, storica volta.
Nel 2006, dopo la partenza di Valerio Bertotto, diventa il capitano dei friulani, ma le cose iniziano a diventare più difficili. L’anno successivo gioca solo tredici volte, per via di diversi infortuni. Sembra la fine per Pinzi, che a fine stagione viene ceduto in prestito al Chievo.
A Verona il centrocampista rinasce: lotta, combatte, prende cartellini gialli (come sempre, altrimenti non sarebbe il primo in classifica per ammonizioni in Serie A), mette insieme qualità e quantità in un contesto che lo esalta.
Quando prende Pinzi infatti, il Chievo è appena tornato in Serie A e deve salvarsi. Per farlo, decide di puntare su giocatori affidabili, che siano abituati alla categoria e che riescano a farsi valere fin da subito.
Giampiero Pinzi da Centocelle, quartiere popolare di Roma, è perfetto per il ruolo. Nei due anni in gialloblù gioca per 69 volte tra campionato e Coppa Italia, segnando 4 reti e centrando due salvezze consecutive.
Le sue prestazioni, spesso sopra la media, convincono l’Udinese a riprenderlo, a reintegrarlo e a dargli di nuovo le chiavi del centrocampo.
Sono gli anni dell’EuroUdinese, dei bianconeri che con Guidolin arrivano per due volte a un passo dalla qualificazione in Champions, negati ai playoff dal cucchiaio ai rigori di Maicosuel col Braga e dalla super sfida con l’Arsenal. Pinzi, che supera la soglia psicologica dei 30 anni, ha ancora tanto da dire e no, il piede non vuole toglierlo mai quando entra in scivolata.
Getty ImagesRimane a Udine fino al 2015 e si toglie la grande soddisfazione di vincere ad Anfield, nell’ottobre 2012, contro il Liverpool, in Europa League, giocando da titolare e prendendo, neanche a dirlo, un cartellino giallo.
A fine stagione 14-15, per Pinzi, che ha 34 anni, sembra stia iniziando la strada che lo porterà verso la fine della carriera, ma non prima di un ultimo ballo a Verona, sempre sponda Chievo.
Sotto la guida di Rolando Maran, Pinzi vive una grande stagione: i gialloblù macinano bel gioco e risultati, e arrivano a un passo dalla qualificazione in Europa, fermandosi al nono posto e chiudendo il campionato nella parte sinistra della classifica. Il centrocampista più ammonito della storia del campionato, 140 cartellini gialli in 389 presenze, lascia per sempre la Serie A, eguagliando il record di Daniele Conti (o raggiungendo quota 149, come sostiene lui) alla trentaquattresima giornata, quando il Chievo batte per 5-1 il Frosinone.
Dopo la A, Giampiero Pinzi scende nella serie cadetta e va al Brescia, dove gioca per trentuno volte e segna un goal.
L’ultimo anno e mezzo di carriera lo passa al Padova, diviso tra Serie C e Serie B. A gennaio 2019 capisce che, alla soglia dei 38 anni, è tempo di ritirarsi e di provare la carriera da allenatore. Dove? Beh, ovviamente a Udine, dove diventa prima assistente, poi vice di Gabriele Cioffi, che seguirà anche nella difficile esperienza di Verona.
Prima però, c’è tempo per un’altra pagina di storia: è il 22 maggio del 2022, ultima giornata di campionato. Mentre il Milan vince lo scudetto, a Salerno l’Udinese sta schiantando la Salernitana per 4-0 (un risultato che, complice lo 0-0 tra Cagliari e Venezia, salverà comunque i campani, in un incrocio di possibilità più unico che raro). Cioffi ha la partita saldamente in pugno, si gira e in panchina vede Pinzi e… Pinzi!
Solo che uno è il suo vice, l’altro è Riccardo, figlio di Giampiero, giocatore delle giovanili bianconere.
Cioffi lo fa scaldare e lo fa esordire in Serie A, a diciotto anni, sotto gli occhi di suo padre, che all’età del figlio aveva giocato in Coppa Italia e in Champions League, ma non in campionato.
Contrariamente alle tradizioni di famiglia, Riccardo non viene ammonito. Avrà tempo per imparare dal papà, magari sognando una carriera intera in provincia, da leader assoluto del centrocampo, con ordine, piedi buoni e grinta, quanta grinta, da vendere.
