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Il Triplete, le delusioni e il ritorno al successo: com'è cambiata l'Inter dal 2010 a oggi

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La storia di un club è fatta di date, più o meno belle a seconda dei risultati: in quella dell'Inter il 22 maggio 2010 può essere considerato l'anno zero, lo spartiacque tra un presente fatto di vittorie e un altro costellato da delusioni in serie, figlie di un declino con radici lontane. Fino al 2 maggio 2021, giorno del Rinascimento interista e del 19° Scudetto, probabilmente uno dei più meritati in termini di superiorità tecnica e arrivato con ben quattro giornate d'anticipo: un capolavoro della società, un capolavoro di Conte, condottiero di un'armata quasi imbattibile e capace di far cadere un regno che lui stesso aveva contribuito in maniera determinante ad avviare.

Ma gli step per giungere al successo sono stati lunghi e burrascosi: scelte sul mercato rivelatesi errate e condizionate dal Financial Fair Play, due cambi di proprietà e una stabilità traballante, polemiche interne che hanno spaccato a metà lo spogliatoio e l'opinione pubblica. Un cammino impervio, salite con picchi del 20% o anche più: ma, come il ciclismo insegna, dopo la salita c'è sempre la discesa, nel caso dell'Inter verso una gloria ritrovata undici anni dopo l'ultima volta.

I passaggi che hanno portato alla 'detriplettizzazione' sono stati molteplici: quella squadra leggendaria si è dissolta nell'arco di quattro stagioni, con la 2013/2014 a segnarne la fine definitiva. Il popolo nerazzurro ha ancora le lacrime agli occhi se pensa alla serata del 10 maggio 2014, a quel 4-1 alla Lazio e, soprattutto, all'addio contemporaneo di quattro colonne come capitan Javier Zanetti, Walter Samuel, Esteban Cambiasso e Diego Milito. La fine di un'era, un vero e proprio taglio netto col passato, avviato già in precedenza con gli addii di Julio Cesar, Maicon, Lucio, Stankovic, Sneijder, Thiago Motta ed Eto'o. Separazioni che per una parte della tifoseria sarebbero avvenute in colpevole ritardo, con Moratti che avrebbe dovuto trovare il coraggio per restaurare la squadra e dare vita ad un nuovo ciclo.

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Pecche figlie di un animo da tifoso più che da presidente, carica ufficialmente lasciata nel novembre 2013 con il passaggio di consegne a Erick Thohir: con l'ingresso sulla scena del magnate indonesiano si conclude la proficua parentesi morattiana e si apre una stagione fatta di lacrime e sangue. La mannaia del FFP obbliga Ausilio a fare i salti mortali per racimolare plusvalenze utili a chiudere il bilancio in parità ogni 30 giugno e di ciò non può non risentirne il tasso tecnico della squadra, completamente rivoluzionata: Icardi è uno dei volti nuovi ma è una scommessa, l'innesto invernale di Hernanes finisce per rivelarsi un mezzo flop. Mazzarri ottiene il massimo (un quinto posto) per le possibilità, considerato lo strapotere juventino che soffoca ogni tentativo di 'golpe' avversario.

A rendere complicato il processo di rinascita anche una rottura di continuità determinata dai cambi d'allenatore, che rallentano inevitabilmente il rientro nell'èlite del calcio italiano: con il ritorno di Roberto Mancini si tornano a sognare gli antichi fasti, subito neutralizzati dalla qualità di una rosa che non può minimamente pensare di competere per la Champions League, figurarsi per lo Scudetto. E' così che trovano spazio interpreti come Obi (autore di un goal nel derby, alla pari di Schelotto),Dodò,Kuzmanovic e Vidic, ormai agli ultimi scampoli di carriera e in piena fase calante dopo aver vinto tutto con la maglia del Manchester United.

Il disastro di un piazzamento fuori dalle competizioni europee non impedisce, però, di fare la voce grossa sul mercato, unico campo in cui i tifosi possono perlomeno sognare: a giugno 2015 va in scena un epico derby col Milan per accaparrarsi Geoffrey Kondogbia, sbarcato sulla sponda nerazzurra del Naviglio grazie ad un assegno di oltre 30 milioni al Monaco. Il francese è osannato con cori di sfida a Pogba, ma il calcio giocato dirà tutt'altro: prigioniero di una valutazione monstre, il classe 1993 non ingrana nell'undici titolare di Mancini e di lui ci si ricorda per uno degli autogoal più belli della storia del calcio, un retropassaggio da centrocampo che termina la propria corsa sotto al sette in una calda estate di International Champions Cup.

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Il tecnico di Jesi ottiene anche Felipe Melo, suo fedelissimo ai tempi del Galatasaray che però conferma l'indole di guerriero senza freni, nuocendo spesso e volentieri ai risultati della squadra; una delle note liete è rappresentata dall'ingaggio di Miranda dall'Atletico Madrid, diventato il leader della difesa in coppia con Murillo, che non rispetterà le attese dopo un impatto più che positivo. Da sottolineare anche il contributo di Jovetic e la definitiva esplosione di Icardi, a cui viene affidata la fascia da capitano dopo il breve e deludente interregno di Ranocchia. Uno dei pochi punti fermi è Handanovic, rimasto sulla nave nonostante i 'mal di pancia' e le sirene estere che gli avrebbero consentito di giocare in quella Champions inseguita e puntualmente sfuggita ogni anno.

L'estate del 2016 è cruciale per la storia societaria dell'Inter, oggetto di un nuovo cambio di proprietà dopo neanche tre anni: Thohir lascia le redini a Suning che si presenta con un mercato faraonico, almeno per quanto riguarda le cifre spese. Dallo Sporting Lisbona arriva il campione d'Europa Joao Mario per 40 milioni più bonus, altri 30 al Santos per Gabigol che viene accolto come una star, con tanto di presentazione per cui si scomoda anche lo sponsor Pirelli; dalla Lazio ecco Candreva, mentre Banega è il colpo a costo zero. Le premesse per far bene ci sono tutte, naufragate nel mese di agosto con la clamorosa rottura tra la società e Mancini: Thohir, che ha mantenuto una quota di minoranza, opta per de Boer, silurato dopo poche partite e sostituito da Pioli, con cui condivide il triste destino dell'esonero.

L'Inter chiude la stagione 2016/2017 con Stefano Vecchi in panchina e al settimo posto, il che significa ancora una volta esclusione dalle coppe continentali. Non proprio il miglior biglietto da visita per Suning che decide di affidare la direzione dell'area tecnica a Walter Sabatini e la panchina a Luciano Spalletti, fresco di divorzio con la Roma. E' ora che, grazie ad alcune intuizioni degne di nota, inizia a prendere forma la spina dorsale dell'Inter del presente: Skriniar è il tassello difensivo mancante, accompagnato dagli innesti di Joao Cancelo e Rafinha, entrambi non riscattati per le solite questioni finanziarie al termine della stagione conclusa col ritorno tra le grandi d'Europa, dopo aver vinto lo 'spareggio' sul campo della Lazio all'ultima giornata.

PS Inter 2016/2017GoalPS Inter 2017/2018GoalPS Inter 2018/2019Goal

Parte dei proventi europei vengono investiti per accontentare Spalletti col suo pupillo, Nainggolan, per il quale vengono sacrificati Santon e soprattutto Zaniolo, all'epoca un giovane di belle speranze della Primavera nerazzurra. Ma il mercato si concentra anche sui parametri zero come De Vrij e Asamoah, oltre che sui prestiti con diritto di riscatto che vedono Vrsaljko e Politano raggiungere Milano e sull'investimento necessario per accogliere Lautaro, consigliato a Zanetti da Milito. La Champions si rivela un impegno dispendioso sia sotto l'aspetto mentale che fisico, e l'eliminazione al primo turno (la prima di tre consecutive) è un evento difficile da digerire che si ripercuote sulle prestazioni in campionato, condizionate pure dalla rottura con Icardi e dall'ennesimo innesto societario: a dicembre Marotta diviene il nuovo amministratore delegato per l'area sportiva affiancando Alessandro Antonello, calce e mattone per le fondamenta del futuro successo.

Serve una svolta, che Steven Zhang (nel frattempo diventato presidente a soli 26 anni) individua in Antonio Conte: è lui a prendere il posto di Spalletti e a promettere un'Inter "non più pazza ma concreta e vincente", andando contro al DNA di una squadra non adatta ai deboli di cuore. Il tecnico salentino è in piena simbiosi con la dirigenza per quanto riguarda gli obiettivi di mercato, da lui direttamente indicati: il fiore all'occhiello si chiama Lukaku, strappato al Manchester United al termine di una trattativa estenuante in cui si è inserita anche la Juventus, attratta dall'idea di arrivare al belga tramite il cartellino di Dybala.

Il centrocampo cambia fisionomia con gli acquisti di Sensi e Barella, quest'ultimo probabilmente il giocatore più 'contiano' che esista per il temperamento e la foga agonistica offerti al servizio della squadra. Dal Parma torna Bastoni, ceduto in prestito un anno prima, degno rivale di Godin che approda a Milano a costo zero. Le ambizioni di vittoria sono rafforzate dall'innesto invernale di Eriksen, anche se alla fine i titoli saranno zero: in campionato arriva un secondo posto immediatamente alle spalle della Juventus, mentre in Europa League il percorso si arresta in finale per mano del Siviglia del grande ex Banega.

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Le mancate vittorie irritano Conte, per nulla abituato a recitare il ruolo di comparsa, tanto che le strade con l'Inter sembrano potersi dividere: pochi giorni dopo la finale di Europa League va in scena il famoso 'patto di villa Bellini' con cui viene ricomposta la frattura e dove vengono delineate le strategie su un mercato impoverito dalla pandemia. Ragion per cui gli innesti sono pochi, tale è l'intenzione di puntellare solamente una squadra dalle sicure potenzialità: il colpaccio è Hakimi dal Real Madrid, ma Conte può gioire anche per i rinforzi d'esperienza Kolarov, Darmian e Vidal; il cileno è una espressa richiesta dell'allenatore che può finalmente riabbracciarlo dopo i trascorsi alla Juve, seppur non sarà lui a ritagliarsi un ruolo da protagonista assoluto nella cavalcata verso il 19° Scudetto.

Un'Inter stravolta nella forma e nella sostanza, ma tremendamente efficace e spietata, a immagine e somiglianza del suo allenatore che smentisce i critici dopo ogni vittoria: col passare delle settimane i neo-campioni d'Italia acquistano solidità, abbandonando l'atteggiamento spregiudicato dei primi incontri. Alla lunga fuoriesce la qualità di una rosa completa che ha nella 'LuLa' in attacco uno dei suoi punti di forza, unitamente ad una compattezza difensiva ritrovata con il trio delle meraviglie Skriniar-De Vrij-Bastoni a protezione della porta di capitan Handanovic, colui che più di tutti ha vissuto la lunga odissea nerazzurra fin dal 2012. Nove anni di attesa e di sacrifici ripagati dalla gioia per il primo titolo in carriera, un 'battesimo' riservato a molti altri componenti della rosa che mai prima d'ora avevano raggiunto un traguardo così prestigioso. Ad maiora.

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