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Sylvester Stallone GFX

Sylvester Stallone portiere: dal 'no' a Banks e il goal negato, alla parata decisiva in Fuga per la vittoria

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Sylvester Stallone, nel corso della sua leggendaria carriera da attore, ha interpretato alcuni tra i più celebri personaggi dell’intera storia del cinema. Quando si pensa a lui, la mente corre veloce a John Rambo ma anche, e forse soprattutto a Rocky Balboa, ovvero il più iconico tra tutti i pugili del grande schermo.

La grandezza di Rocky si è spinta ben oltre il cinema e lo dimostra il fatto che proprio Stallone, grazie alla sua creazione ed interpretazione, si è meritato l’ingresso nella International Boxing Hall of Fame.

A detta di molti, pur essendo solo un personaggio immaginario, Rocky Balboa può essere considerato a tutti gli effetti il pugile più famoso di tutti i tempi, quello che è certo è che, disquisizioni a parte, è una leggenda dei nostri tempi.

Sylvester Stallone ha trentacinque anni ed è da poco diventato una star di levatura mondiale quando per la seconda volta in carriera è chiamato ad interpretare un altro personaggio che strettamente legato con il mondo dello sport: Robert Hatch.

E’ un nome che a molti, di primo acchito, dirà poco, ma in realtà si tratta del protagonista di quello che non può non essere considerato uno dei film più belli in assoluto sul calcio: Fuga per la vittoria.

Diretto dal grande John Huston (che ammise candidamente di non sapere nulla di calcio e di aver sposato il progetto solo perché gli era stato garantito un grande compenso) è uscito nelle sale nel 1981 e da allora è diventato un’autentica pietra miliare tra i film sullo sport.

Ispirato alla partita della morte, ovvero una sfida che si disputò a Kiev il 9 agosto 1942 tra giocatori della Lokomotiv e della Dinamo ed una formazione composta da ufficiali dell’aviazione tedesca della Luftwaffe, racconta della sfida tra un gruppo di prigionieri Alleati ed una rappresentativa tedesca. Una partita pensata dal maggiore, con un passato da calciatore, Von Steiner (interpretato da Max von Sydow) poi promossa dai suoi superiori che ne intravedono una straordinaria occasione per fare propaganda.

A capitanare la squadra degli Alleati è il Capitano John Colby (interpretato da Michael Caine), un ex calciatore del West Ham e della Nazionale inglese, che chiede di poter radunare i migliori giocatori possibili e che al suo gruppo vengano garantite le giuste condizioni quanto meno per giocarsela.

A rendere speciale il film sono soprattutto gli ultimi trenta minuti, quelli nei quali, con straordinaria maestria, John Huston racconta la partita. E’ proprio con l’inizio della sfida che il tutto assume un ritmo così incalzante da tenere lo spettatore incollato allo schermo e a portarlo anche a tifare.

A rendere tutto il più verosimile possibile, dal punto di vista tecnico, la presenza in quello che è stato un cast a dir poco stellare, di calciatori veri. Su tutti ovviamente Pelé, il più grande fuoriclasse di ogni tempo, al quale si aggiungono, tra gli altri, Bobby Moore (il capitano dell’Inghilterra campione del mondo nel 1966), Osvaldo Ardiles (fenomenale centrocampista argentino campione del mondo nel 1978), Paul Van Himst (il ‘Pelé bianco’ leggenda del calcio belga), Kazimierz Deyna (il più forte giocatore polacco di sempre) e molti altri professionisti, diversi dei quali prelevati ‘in prestito’ dall’Ipswich di Bobby Robson.

Sono loro gli uomini di punta di una squadra alla quale si aggiungono appunto Michael Caine e Sylvester Stallone, ovvero gli unici due attori veri.

Pelé and Bobby Moore with Silvester Stallone and Michael CaineGetty

Il primo era realmente appassionato di calcio e aveva anche giocato in gioventù, ma aveva quarantasette anni e problemi alle gambe (verrà sostituito da Kevin Beattie dell’Ipswich nelle scene di gioco), mentre il secondo, Sly, non aveva mai nemmeno visto una partita in vita sua.

Stallone, che nel film viene aggregato alla squadra pur non sapendo giocare, perché ha organizzato una fuga attraverso le condutture fognarie dello stadio tra il primo ed il secondo tempo, inizialmente viene scritturato per vestire i panni del partner d’attacco di Pelé, ma ben presto diventa chiaro a tutti che non sarebbe credibile nel ruolo. Si decide dunque di spostarlo in porta.

“Quello del portiere era l’unico ruolo che potevo ricoprire con un minimo di autenticità. Non so se avrei potuto imparare a fare l’attaccante o a giocare in altre posizioni, soprattutto avendo di fronte gente come Bobby Moore o Pelé. E’ un qualcosa che ti intimidisce, non stai iniziando a giocare con una squadra di ragazzini, ma con i migliori giocatori al mondo”.

Per la riuscita del film nulla viene lasciato al caso e a Sylvester Stallone viene dunque affiancato Gordon Banks, ovvero uno dei più grandi portieri di tutti i tempi. Il compito del campione del mondo nel 1966 con l’Inghilterra (nonché autore di quella che è considerata la più grande parata di sempre) è chiaro: deve insegnare le basi del ruolo ad un attore che non sa assolutamente nulla di calcio.

Banks diventa l’allenatore speciale di Stallone sul set e non solo, ma fin da subito si viene a creare un problema: Sly, che del film è la star (è reduce dai trionfi di Rocky e Rocky II ed è l’attore maggiormente in ascesa ad Hollywood e non solo) decide dopo un paio di giorni di non avere più bisogno di un tutor. Sente di aver imparato ciò che gli serviva imparare, di aver capito come posizionarsi e muoversi nella maniera più realistica possibile e che quindi i servigi del leggendario ex portiere inglese non sono necessari.

Stallone sarà chiamato a tornare sui suoi passi quando tra allenamenti e riprese si romperà un dito, si lusserà una spalla, si incrinerà due costole e riporterà una serie di altri infortuni muscolari.

“La produzione, pur di aiutarlo, aveva scritturato addirittura Gordon Banks - ha ricordato anni dopo Kevin Beattie - ma lui dopo due giorni decide di farne a meno perché convinto che può cavarsela da solo. E’ stato arrogante”.

Una versione confermata anche da Paul Cooper, portiere dell’Ipswich che ha sostituito Stallone in alcune scene di gioco.

“Lavoravamo insieme, ma con lui non c’era niente da fare: dopo mezza giornata pensava già di saperne più di me”.

Stallone d’altronde, per prepararsi per il ruolo di Rocky, si era allenato da solo ed era convinto che anche in questa occasione avrebbe potuto fare lo stesso.

“Per interpretare un pugile ho trascorso molti mesi a lavorare da solo e non sotto gli occhi dei migliori al mondo. Qui è come fare il primo allenamento contro Muhammad Ali: è troppo. Apprezzo però il fatto che mi abbiano aiutato così tanto”.

John Huston intanto divora ore di partite di calcio per capire come proporre al meglio una gara dal punto di vista cinematografico e nel farlo ha un’intuizione importante: affida a Pelé il lato coreografico.

E’ l’ex fuoriclasse brasiliano (che interpreta Luis Fernandez) a studiare con i colleghi giocate, ruoli e movimenti, ed è propio lui a tenere ‘a battesimoStallone.

Sylvester Stallone VictoryGetty

A raccontare come è andato il primo incontro tra i due, è stato proprio l’attore che, tra l’altro, ha anche svelato di aver inizialmente sottovalutato la figura di Pelé.

“Tirano fuori questo pallone che era come quelli che si usavano all’epoca della seconda guerra mondiale. Era scuro, pesante, minaccioso, sembrava una palla di cannone. Inoltre usavamo anche scarpe da calcio di quell’epoca lì, con la punta di ferro, roba che poteva romperti una gamba. Vedo Pelé e gli dico qualcosa tipo ’Sai, ho sentito parlare di te… io farò il portiere’. Mi chiese se avevo mai giocato in porta e gli risposi di no. Mi disse allora dove posizionarmi, mi indicò dove avrebbe mandato il pallone e preannunciò che non ci sarebbe stato niente che avrei potuto fare per parare quel tiro: lo guardai e annuii ‘Ok…’. Mi posiziono, lui tira e sento solo tipo ‘pfffff’, mi giro e la palla era in porta, non l’avevo nemmeno vista. Gli dico ‘Rifallo!’, lui calcia, io riesco ad allungare la mia mano destra, sfioro il pallone e mi spezzo il mignolo. Con quel tiro ha bucato la rete e frantumato le finestre della caserma che era alle spalle della porta”.

Esordio con infortunio dunque, ma sarà solo il primo di una lunga serie che porteranno ad un rallentamento dei lavori. Stallone, tra l’altro, fa poco per rendersi simpatico al resto del gruppo. Non esce con gli altri, non partecipa alle partitelle, mangia da solo e spesso si presenta anche in ritardo sul set, poiché sta lavorando contemporaneamente alla stesura di Rocky III.

Sarà Michael Caine, che ha deciso di prendere parte al film solo per avere la possibilità di lavorare con Pelé e che come Stallone è una star di Hollywood, a richiamarlo all’ordine spiegandogli che anche lui sta portando avanti contemporaneamente un altro lavoro (in realtà non è vero) ma che la cosa non gli impedisce di essere sempre il primo sul set. Come dire… capitano nella finzione, ma anche nella realtà.

Le riprese intanto vanno avanti, ma si presenta un nuovo contrattempo: Stallone, essendo la super star del film, pretende che sia lui a segnare il goal decisivo della partita. La cosa darebbe ovviamente al tutto una dimensione surreale, gli spiegano che un portiere non segna praticamente mai, e si giunge dunque, dopo lunghe trattative, ad una soluzione proposta da Pelé e Bobby Moore: Robert Hatch, quindi Stallone, parerà (all’ultimo secondo) il rigore che consentirà agli Alleati di pareggiare 4-4 (nonostante un arbitraggio tra l'altro di parte). Il resto è storia.

Le battute finali del film sono meravigliose ed emozionanti: Pelé, nonostante un infortunio, con una rovesciata sublime (John Huston scattò commosso dalla sedia per applaudirlo) su cross di Moore (pare che in realtà il traversone fosse di Ardiles) trafigge il portiere tedesco (interpretato da Laurie Sivell dell’Ipswich) per il 4-4 e, pochi istanti più tardi, Stallone para, ad un soffio dal triplice fischio, il rigore calciato dal capitano della Germania (interpretato da Werner Roth, ex centrocampista dei New York Cosmos) dopo che tutti gli spettatori dello stadio Stadio Colombes (in realtà si girò all’MTK Stadion di Budapest perché era un impianto senza riflettori e quindi simile e quelli nei quali si giocava negli anni ’40) hanno intonato la ‘Marsigliese’.

E’ un intenso gioco fatto di grazia, maestria, scene al rallentatore e sguardi, che rende il finale esaltante e che anticipa poi quello che sarà il lieto fine: l’invasione di campo che permette la fuga dei giocatori Alleati.

A togliere un po’ di magia a quella che è una delle scene più famose della storia del cinema, ci ha pensato anni dopo Osvaldo Ardiles (che nel film interpreta Carlos Rey, il numero 8 della squadra degli Alleati).

Osvaldo Ardiles TwitterTwitter
“Sono stati necessari trentaquattro tiri per far parare quel rigore a Stallone!”.

La figura di Stallone non esce benissimo da questo racconto. A farla da padrone sono il suo ego ed i suoi capricci da grande star, ma racchiudere il tutto in questi unici aspetti non sarebbe né corretto né tanto meno giusto.

Si è infatti impegnato profondamente per la riuscita del film, ha perso qualcosa come venti chili per dare la ‘giusta forma’ al suo personaggio, si è approcciato ad uno sport per lui totalmente nuovo e, come da lui ammesso, non ha mai faticato tanto per un lavoro.

“Pensavo che quanto fatto per Rocky fosse duro, ma in realtà mai nella mia vita mi sono allenato tanto come per Fuga per la vittoria. Pensavo che il calcio fosse uno sport semplice, finché non mi è arrivato un pallone in pieno stomaco e non mi sono ritrovato pieno di ematomi”.

Attraverso Fuga per la vittoria, Stallone ha scoperto l’essenza del calcio (“Vedrete, è diventato un buon portiere” dirà Pelé prima dell’uscita del film) ed ha iniziato ad apprezzarlo.

“Ho fatto boxe e giocato anche molto a football americano, con questo film mi sono imbattuto in uno sport così universale e compreso da tutti, ma che richiede praticamente tutto. Per giocare a calcio servono intelligenza, resistenza e coraggio”.

Alla fine, aneddoti a parte, ciò che resta è un capolavoro del filone dei film sportivi, una pellicola che si è guadagnato un posto nel cuore non solo degli appassionati di calcio.

Sono tante le cose che rendono Fuga per la vittoria un film speciale, compreso ragioni che si spingono bel oltre una rovesciata o una parata e che proprio Stallone ha forse spiegato meglio di chiunque altro.

“E’ un film unico. C’è tanta vitalità. Viene esaltato lo spirito indomito che gli uomini possono tirare fuori in condizione avverse e l’incapacità di accettare la sconfitta anche in una partita di calcio. Proprio la partita rappresenta una sorta di guerra nella guerra. Non è una semplice partita, ma è una battaglia per la dignità dell’uomo contro il regime nazista”.
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