
Dallas, 27 giugno 1994. Al Cotton Bowl, di fronte a 55000 spettatori, la Germania campione del Mondo in carica sta giocando una partita contro la Corea del Sud valida per l’ultima giornata della fase a gironi di USA ’94.
La gara è sulla carta di quelle da vincere senza troppi problemi e i tre goal segnati nei primi 37’ (doppietta di Klinsmann e rete di Riedle) fanno inizialmente pensare alla più classica delle formalità. Nella ripresa però le cose cambiano, complice anche un caldo asfissiante (i termometri parlano di 35°), e la Corea del Sud trova la forza per rimontare due reti e per farsi sotto.
La sensazione è quella che la Germania non ne abbia più e Berti Vogts, quando manca un quarto d’ora al triplice fischio finale, decide di fare un cambio decisamente conservativo: fuori un centrocampista, Effenberg, e dentro un difensore centrale, Thomas Helmer.
Lo stesso Effenberg è stato protagonista di una prova deludente e nel lasciare il campo viene preso di mira da un gruppo di tifosi. Nulla di terribilmente eccessivo, qualche insulto ed una pioggia di fischi. Qualunque giocatore normale abbasserebbe la testa facendo finta di nulla e si accomoderebbe in panchina al fianco dei suoi compagni ma ‘Effe’, come viene chiamato in patria, un giocatore normale non lo è mai stato e nemmeno è andato vicino ad esserlo e quindi, con tutta la tranquillità del mondo, rivolge alla tribuna il gesto del ‘dito medio’. Due volte. In Germania definiscono la cosa ‘Stinkefinger’.
La scena viene immortalata da alcuni fotografi, ma soprattutto viene notata da Karl-Heinz Rummenigge, che al Cotton Bowl è in cabina di commento e che, avendo sempre avuto un certo peso nel calcio tedesco, immediatamente denuncia l’accaduto ai vertici federali.
Il risultato? I Mondiali di Effenberg finiscono all’istante, così come la sua carriera internazionale. Verrà infatti escluso dal giro della Nazionale per i successivi quattro anni e vi farà ritorno solo nel 1998 per giocare un paio di amichevoli. La reazione? Quella che ci si aspetterebbe da colui che nel corso della sua carriera si è costruito una solida fama da ‘Bad boy’:
“Faceva caldo e comunque adesso mi posso fare venti giorni di vacanza”.
Stefan Effenberg è stato, senza ombra di dubbio, uno dei personaggi più controversi dell’intera storia del calcio tedesco. Dal punto di vista squisitamente tecnico aveva infatti tutto per essere tra i migliori giocatori del pianeta, ma la sua è stata una carriera frenata da un numero non meglio definito di intemperanze.
Univa leadership, forza fisica, corsa, abilità nel passare e nel calciare, ad un carattere che più volte l’ha trascinato dritto nei guai. Era insomma fenomenale nel trovare il modo di distruggere quanto di buono riusciva a fare in campo.
Che con il pallone ci sapesse fare era parso chiaro fin da subito a tutti. Esploso giovanissimo nel Borussia Monchengladbach, nel 1990 si era guadagnato l’approdo nel Bayern. Il massimo a cui si può aspirare in Germania. In Baviera impiega pochissimo ad imporsi come uno dei migliori giocatori della squadra, ma c’è un problema: non va d’accordo con nessuno. Non lega con il suo allenatore, non lega con i compagni, non usa parole propriamente rispettose verso le leggende del club e non è amato dai tifosi.
Già in precedenza, nel 1988, aveva fatto parlare di sé quando Berti Vogts (ancora lui), lo aveva cacciato dall’Under 21 tedesca a causa dei suoi atteggiamenti. E da allora di progressi dal punto di vista comportamentale se ne erano visti pochi.
Al Bayern alterna partite da protagonista assoluto (la speranza del club era quella di aver trovato l’erede di Matthaus) ad altre nelle quali semplicemente sembra non essere sceso in campo. E in una grande squadra la cosa non è permessa. E’ per questo che già nel 1992, per il sollievo della piazza che spingeva a gran voce per una sua cessione, si consuma il clamoroso divorzio e ad approfittare della situazione è la Fiorentina.
Dopo un paio di annate avare di soddisfazioni, la famiglia Cecchi Gori decide di fare le cose in grande. A Gigi Radice viene quindi affidata una buona squadra che viene rafforzata dagli innesti di Baiano, Carnasciali, Di Mauro, Luppi, Brian Laudrup e soprattutto, appunto, Effenberg.
Il compito che viene affidato al tedesco è semplice: prendere in tutto e per tutto il posto di Dunga. Deve essere il leader assoluto del centrocampo e dello spogliatoio, deve essere l’uomo di punta capace di trascinare dentro e fuori dal campo, la stella chiamata far fare ad un gruppo dal buon potenziale, il definitivo salto di qualità.
Getty‘Effe’ ricambia la fiducia giocando da par suo e la Fiorentina parte forte in campionato tanto da spingersi fino al secondo posto. Alla quattordicesima giornata, però, accade l’incredibile: i viola perdono contro l’Atalanta e Radice viene esonerato. Al suo posto arriverà Aldo Agroppi ed il resto è storia.
Il gruppo si sfalda e inizia a perdere partite su partite. La classifica passa rapidamente dall’essere meravigliosa a terrificante, tanto che con il trascorrere delle settimane inizia a serpeggiare la paura della retrocessione. In realtà a tutti pare impossibile che una squadra che può contare su un tale tasso tecnico, oltre che su un bomber come Batistuta, possa andare in Serie B, ma al termine della stagione la classifica parlerà di un incredibile quindicesimo posto.
A detta di molti, la Fiorentina della stagione 1992/1993 è stata una delle più forti squadre dell’intera storia del calcio italiano a retrocedere.
E Effenberg? Le sue prestazioni crollano con il passare delle giornate al pari di quelle della squadra, ma a detta di molti la cosa non lo preoccupa. Nel frattempo infatti si sono fatte sempre più insistenti le voci che lo vorrebbero accostato al Milan. La sensazione quindi è quella che la Serie B non gli faccia paura, anche perché comunque non sarebbe ‘affar suo’.
In realtà però, nel corso della sessione estiva di calciomercato, a trasferirsi da Firenze a Milano non sarà lui, bensì Brian Laudrup. La Serie B si trasforma anche in un ‘suo problema’.
Vittorio Cecchi Gori decide infatti che i giocatori che hanno fatto sprofondare la squadra in serie cadetta saranno gli stessi che la porteranno su. Lo stesso non vale per Laudrup esclusivamente perché allora in B si potevano avere solo due stranieri, che il club individua in Effenberg e Batistuta.
Al tedesco viene riconosciuto un prolungamento del contratto con tanto di ritocco dell’ingaggio e la promozione a capitano, ma l’idillio di fatto è già finito. Le prove sul campo non sono all’altezza della sua fama e la situazione precipita in maniera repentina.
Il rapporto con i tifosi si fa difficile e all’interno dello spogliatoio in pochi sopportano la sua sregolatezza. Effenberg inizia a lamentarsi, spiega come per un nazionale tedesco sia impossibile trovare stimoli nello scendere in campo contro l’Acireale e quando parte per la Germania non torna praticamente mai entro i tempi prestabiliti.
Per Claudio Ranieri, un tecnico che nella sua carriera ha abbondantemente dimostrato di essere un uomo che tiene a determinati principi, la situazione si fa insostenibile. ‘Effe’ non può essere il capitano di una squadra che ha il ‘dovere’ di tornare in Serie A in un lampo e la fascia passa quindi sul braccio di Beppe Iachini.
“Diventai il capitano della Fiorentina nonostante la società avesse consigliato a Ranieri di continuare con Effenberg. Lui rispose che sapeva a chi far indossare quella fascia”.
Il campione tedesco, che già prima dell’avvio della stagione aveva lanciato chiari messaggi (“Io in B non ci vado”), deve adeguarsi, ma intanto lui punta ai Mondiali e teme di perderli, mentre a Firenze inizia a circolare la voce che la moglie Martina non ne voglia più sapere dell’Italia e della Toscana.
Tocca a Vittorio Cecchi Gori provare a riportare le cose al loro posto.
“Effenberg è in buona fede, ma comunque, e questo vale per tutti, a nessun giocatore della Fiorentina sarà permesso di andare via, se non è la società a volerlo”.
La Fiorentina al termine della stagione festeggerà il ritorno in Serie A, e non poteva essere altrimenti considerando la forza della squadra, ma ormai è già evidente a tutti che del gruppo che affronterà la massima serie non farà parte il tedesco.
Giunto ad un bivio della sua carriera, Effenberg decide di tornare lì dove tutto era iniziato: al Borussia Monchengladbach.
In Bundesliga non solo torna a giocare su livelli importanti, ma si impone, con quale anno di ritardo rispetto alle previsioni di molti, come il più forte tra i centrocampisti tedeschi. Disputa quattro annate da protagonista assoluto e le sue prestazioni sono così esaltanti da spingere il Bayern a riprovarci.
E’ l’estate del 1998 quando viene annunciato il suo ritorno a Monaco. Questa volta in Baviera farà le cose per bene, tanto che riuscirà a raggiungere la consacrazione definitiva.
Troverà in Ottmar Hitzfeld l’allenatore capace di farlo ‘rigare dritto’ e di tirare fuori dalla sua testa e dalle sue gambe il calcio migliore della sua carriera. Messo nelle giuste condizioni e promosso al grado di leader della squadra, Effenberg giocherà in maniera eccezionale recitando un ruolo fondamentale nel percorso che porterà i bavaresi a vincere tre campionati di fila ed una Coppa di Germania.
Il culmine lo toccherà però nel 2001, quando da capitano solleverà al cielo la Champions League, prima di vincere anche la Coppa Intercontinentale. Al termine dell’edizione della massima competizione continentale (segnerà anche su rigore la rete dell’1-1 in finale a Milano contro il Valencia) verrà eletto miglior giocatore del torneo e quegli stessi tifosi che solo pochi anni prima ne avevano chiesto a gran voce l’allontanamento, lo voteranno tra i migliori undici giocatori dell’intera storia del Bayern.
Getty“E’ Effenberg l’uomo guida della mia squadra - ammetterà Hitzfeld - gli altri giocatori prendono vita quando c’è lui. Infonde fiducia a tutti e quando gli altri si nascondono lui è lì a farsi avanti. E’ un calciatore meraviglioso ed ha avuto un ruolo importantissimo nella storia del Bayern”.
Quando il 5 maggio 2002 giocherà la sua ultima partita con la maglia del Bayern Monaco addosso, i tifosi del club bavarese gli riserveranno una lunga standing ovation e lo saluteranno con uno striscione lungo venti metri.
“Milano 2001, noi non lo dimenticheremo mai! Grazie Effe!”.
Effenberg giocherà per altre due stagioni, prima al Wolfsburg e poi all’Al-Arabi (dove ritroverà, ad anni di distanza dalla parentesi in viola, Batistuta), ma quando ormai ha già dato il meglio di sé.
Quanto fatto e gli straordinari successi ottenuti, non riusciranno però mai a cancellare quegli episodi che hanno condizionato fortemente la sua carriera.
Oggi infatti Effenberg viene probabilmente ricordato da molti più per ciò che ha fatto fuori dal campo, piuttosto che per il tanto proposto dentro il rettangolo di gioco. Gli scandali, le risse, le multe, la relazione con la moglie del suo compagno di squadra Thomas Strunz, le opinioni non propriamente ‘politically correct’ e le affermazioni su alcuni colleghi (di Matthaus, il suo eterno rivale, dirà “Mi ha sempre fatto incazzare, parla tanto ma è uno che molla...”, ma con altri è stato se possibile ancor più duro) hanno contribuito ad offuscare la sua leggenda.
“Sono sempre andato per la mia strada, ho sempre nuotato controcorrente e penso di averne tratto dei benefici”.
E’ stato uno dei giocatori più forti della sua generazione, ma anche uno di quelli che ha diviso di più. E’ stato fenomenale e controverso, geniale ed irascibile, è stato tanto forte quanto fragile. E’ stato in una parola sola… Effenberg.




