Skov Olsen DenmarkGetty Images

La rinascita di Skov Olsen: da "sconfitta personale" di Mihajlovic a talento ritrovato

"Sono due giocatori che non hanno più il piacere di stare qui, quindi andranno via. Non posso avere nella mia squadra gente che si tira fuori nel momento del bisogno".

Lo scorso 21 gennaio, al termine della partita persa in rimonta per 2-1 dal Bologna a Verona, qualche giornalista si stupiva della contemporanea assenza di Mitchell Dijks e Andreas Skov Olsen. Non dal campo: dalla panchina. Entrambi erano in tribuna al Bentegodi. Scontenti e desiderosi di andarsene. Come, in effetti, sarebbe accaduto di lì a poco tempo.

Se Dijks ha risolto il proprio contratto solo il 31 agosto, al termine di una stagione vissuta interamente ai margini della rosa, Skov Olsen lo aveva fatto già qualche mese prima. A gennaio, agli sgoccioli della finestra invernale di mercato, aveva riempito le valigie e se n'era andato al Bruges. Un trasferimento concretizzatosi qualche giorno dopo le dichiarazioni di Mihajlovic, legate non tanto alle prestazioni in campo - comunque altalenanti - nei suoi tre anni bolognesi, quanto a un'incompatibilità esplosa anche davanti a telecamere e microfoni.

"È stato una mia sconfitta personale - diceva ancora Mihajlovic a operazione completata - Non sono riuscito a far emergere il suo carattere. Andreas potrà certamente diventare forte, ma deve migliorare caratterialmente. Non ho trovato la medicina giusta per lui".

Ironico pensare che, più o meno negli stessi giorni, il direttore sportivo (oggi ex) Riccardo Bigon aveva utilizzato le medesime parole di rimpianto per raccontare l'addio di Skov Olsen. Anche lui aveva definito la separazione "una mia sconfitta personale". Proprio come Mihajlovic. Aggiungendo che "non siamo riusciti a creare le condizioni migliori per sviluppare il suo talento".

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Rileggere queste parole a otto mesi di distanza fa riflettere. Perché Skov Olsen pare finalmente essersi sbloccato. Mentalmente, prima ancora che caratterialmente. Per dire: domenica sera l'ha realizzata lui una delle due reti con cui la Danimarca ha superato per 2-0 la Francia, costringendola a flirtare quasi fino alla fine con la retrocessione nella Lega B di Nations League. Gran goal, peraltro: un sinistro di controbalzo dal limite perfetto, senza possibilità per Areola di metterci una pezza. Aveva davanti monsieur Mbappé. Ma non si è fatto schiacciare dalla pressione.

Un paio di settimane prima, il 13 settembre, anche lui aveva partecipato alla clamorosa festa del Bruges a Oporto (0-4). Era stata una delle serate più belle della sua ancor giovane carriera calcistica, grazie soprattutto a quella zampata ravvicinata che regalava ai belgi il triplo vantaggio e al mancino danese il primo centro personale in Champions League.

Skov Olsen Porto Club Brugge Champions LeagueGetty

In sostanza: è tutto un altro Skov Olsen. Non tanto dal punto di vista tattico, perché nel 4-3-3 di Hoefkens la posizione che ricopre è la sua, largo in un tridente. Quanto mentale. Il carattere dell'ex rossoblù, come si augurava Mihajlovic con una punta di polemica, si sta finalmente rafforzando. Qualcuno dirà che il campionato belga non è la Serie A. Ma la Champions League è la Champions League. E la Nazionale è la Nazionale. Cos'è cambiato, allora? Probabilmente tutto il resto.

"La mia situazione qui non è paragonabile a quella che vivevo a Bologna - ha detto Skov Olsen qualche giorno fa, intervistato dal sito bold.dk - Al Bruges mi sento importante. Il piacere di giocare è tornato e questa è la cosa più importante per un calciatore. L'allenatore ritiene che io sia un buon giocatore e vuole che il pallone passi spesso dai miei piedi. E poi sento di avere più libertà di fare le cose che mi riescono meglio".

Che differenza col ragazzino del Nordsjaelland che, nel 2019, dopo una stagione da 22 reti in campionato più altre 3 in Europa League, si faceva venire mille dubbi dopo aver già effettuato le visite col Bologna. Era tentato di restarsene in Danimarca, nella propria comfort zone. Non era più tanto sicuro di spiccare un salto così poderoso a nemmeno 20 anni. Poi si è convinto. Ed è andata com'è andata: discretamente, non certo benissimo.

Qualche anno dopo, Skov Olsen è stato uno dei protagonisti del titolo belga vinto in rimonta dal Bruges ai danni del piccolo Union St. Gilloise, che a un certo punto pareva aver messo saldamente le mani sul trofeo. Le statistiche, a loro modo, sono impressionanti: 15 presenze da inizio febbraio a fine maggio e 6 reti. Una media da attaccante consumato, mica da esterno che, dopo quell'exploit col Nordsjaelland, in Serie A aveva trovato le porte avversarie appena 3 volte in 70 presenze.

Per la cronaca: quest'anno sono già 4 in 9 presenze nella First Division belga. Più il guizzo di Oporto. Più un paio di reti in Nations League, tra cui quella alla Francia. Senza l'enfant du pays Charles De Ketelaere, nelle Fiandre si punta forte su di lui e su Ferran Jutglà, scuola Barcellona. E con Skov Olsen la Danimarca andrà ai Mondiali. Tu chiamala, se vuoi, rivincita. Ed è una rivincita bella grossa.

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