
Segni particolari: uruguaiano, attaccante, nato a Salto, cresciuto nel Danubio. La indovino con una: Edinson Cavani. Facile. Giusto, ma c'è di più. C'è anche l'altro Cavani, quello che è la copia spiccicata dell'originale, ma a differenza sua non ce l'ha fatta. Ruben Bentancourt, si chiama. Oggi ha 29 anni, ma a 20 era sbarcato in Serie A, preso dall'Atalanta. E poi Bologna e Arezzo, stavolta in B. Alzi la mano chi se lo ricorda. E se la memoria vi sta tradendo, nessun problema: è tutto normale. Con le meteore è spesso così.
Certo, Bentancourt è una meteora sui generis. Difficile dimenticarsi completamente del sosia di Cavani, ancor più se lo si vede all'opera in un campionato prestigioso come quello italiano. Prendete una sua foto – quella che correda questo pezzo, ad esempio – e confrontatela con un'immagine del Matador, quello vero. La somiglianza è totale, sbalorditiva. Due gocce d'acqua con qualche anno di differenza. Simile taglio di capelli, anche se Ruben li ha successivamente portati più corti e una bella sforbiciata la dà anche ora che gioca col Peñarol, e simili tratti del viso.
Bentancourt lo definiscono “il nuovo Cavani” anche per altro, come già anticipato: stesso comune di nascita (Salto, in Uruguay), stesse giovanili (Danubio) dell'ex di Palermo, Napoli e PSG. Coincidenze fenomenali. E poi i tratti tecnici in comune, nonostante l'evidente abisso tecnico che intercorre tra i due: entrambi sono attaccanti che amano un sacco segnare, e non è un caso che Ruben si definisca “un 9 a cui piace rimanere dentro l'area, vicino alla porta, per poter segnare”. Ma se per un periodo “il nuovo Cavani” è tale, inutile girarci attorno, lo si deve soprattutto a quell'incredibile somiglianza somatica che nei primi anni della carriera lo pone sotto i riflettori della notorietà.
“All'inizio, quand'ero più piccolo, mi dava fastidio – diceva Bentancourt nel 2012 al quotidiano 'Ovacion Digital' –Litigavo con l'allenatore del Danubio, gli dicevo di chiamarmi Bentancourt, non Cavani. Però, una volta cresciuto, mi sono reso conto che era un orgoglio. È un punto di riferimento, conosciuto nel mondo. Io tento imitare i suoi movimenti, come calcia, come gioca, come si comporta. Però secondo me siamo diversi, anche se pure io amo segnare e stare dentro l'area”.
A cadere in inganno per primo di fronte al paragone è il PSV, che nel 2011 lo porta in Olanda facendogli firmare un contratto di 4 anni. Ma ad Eindhoven Bentancourt si ferma a un passo dalla prima squadra, venendo utilizzato prima nelle giovanili e poi nello Jong PSV, la formazione riserve. Prima bocciatura. Ma siccome a volte il treno della gloria può passare due volte, ecco che alla sua porta bussa l'Atalanta. Che non è (ancora) l'Atalanta odierna, ma poco importa. All'ultimo giorno del mercato di gennaio 2014, Ruben, che nell'anno precedente ha disputato il Sudamericano e il Mondiale Under 20 con l'Uruguay, sbarca in Italia per un milione e mezzo di euro più bonus.
“La parentesi al PSV è stata particolare – ammette Bentancourt nella conferenza di presentazione con gli orobici – Ho attraversato un momento personale difficile, perché mia madre è venuta a mancare. E per uno come me che trova molto sostegno nella famiglia è stato un duro colpo. Ora però voglio diventare protagonista con l'Atalanta”.
Getty ImagesVincenzo D'Ippolito, l'agente che ha curato il suo trasferimento da Eindhoven a Bergamo, è entusiasta. Intervistato da 'Tuttomercatoweb', dice che Bentancourt “somiglia a Luca Toni come tipo di centravanti” e che “l'Atalanta con lui ha fatto una grandissima operazione”. Anche perché il giovanotto di Salto “non è un sudamericano arrivato all'improvviso ma è già 'europeizzato' dall'esperienza al PSV".
Insomma, un potenziale campioncino. Di quelli da prendere a tot e rivendere al triplo del prezzo due o tre anni più tardi. Come fanno oggi a Bergamo, del resto. Ma l'Atalanta di ieri, come detto, non è l'Atalanta di oggi. E qualche granchio, a quei tempi, lo prende ancora. Bentancourt è uno di questi, e lo si capisce praticamente subito: l'allenatore Colantuono lo convoca con costanza, ma per 9 partite di fila lo fa sedere accanto a sé, senza concedergli neppure un minuto di gioco.
“Mancano 11 partite alla conclusione del campionato e spero che, una volta conquistata matematicamente la salvezza, ci possa essere spazio anche per me – dice Bentancourt a marzo di quel 2014 a 'Tutto Atalanta', programma di Bergamo Tv – Non ho fretta, la squadra sta bene e lo ha dimostrato nelle ultime uscite. La mia coppia da sogno? Bentancourt-Denis. Anche se non dobbiamo dimenticare Maxi Moralez, il giocatore più decisivo”.
La speranza di Bentancourt si avvera, anche se in maniera parziale. Il 6 aprile Colantuono lo getta nella mischia per gli ultimi 26 minuti della gara casalinga contro il Sassuolo. Sogno realizzato: Ruben in coppia col Tanque Denis. Quando entra in campo, qualcuno strabuzza gli occhi: i capelli saranno pure più corti, ma di viso pare proprio Cavani. Finisce male, con gli emiliani che espugnano l'Atleti Azzurri d'Italia per 2-0, doppietta di Sansone. Ma poco ci manca che Ruben lasci pure il segno: Pegolo è però miracoloso nel volare su un suo colpo di testa ravvicinato.
Da lì a fine campionato, Bentancour scenderà in campo altre due volte, sempre da subentrato: una manciata di secondi contro il Genoa e una ventina di minuti in un match perso per 2-1 a Catania, in cui ancora una volta va vicino alla rete di testa. Ma evidentemente il club lo ritiene troppo acerbo e bisognoso di fare esperienza altrove. E così nell'estate del 2014 lo affida in prestito in Serie B al Bologna del connazionale Diego Lopez, che in cambio rispedisce a Bergamo il cavallo di ritorno Rolando Bianchi.
Presentato come vice Cacia, ma inevitabilmente chiuso dal secondo marcatore della storia della cadetteria, Bentancourt non trova spazio nemmeno in Emilia. In metà stagione gioca una settantina di minuti totali, più una comparsata in Coppa Italia. E a inizio febbraio riempie nuovamente le valigie. Stavolta fa ritorno in Uruguay, al Defensor, per provare a ritrovare sé stesso. Niente da fare: il “nuovo Cavani” resta in bianco pure lì. 8 presenze, nemmeno lo straccio di una rete. E in estate l'ennesimo ritorno all'Atalanta. Anche questa volta per ripartire in un battito di ciglia.
Sempre più giù, sempre più in basso. Arezzo, stavolta. Il centravanti che somiglia a Toni scende nuovamente di categoria, accettando addirittura la Serie C. Ma anche in Toscana il suo rendimento è scadente. L'allenatore è Eziolino Capuano, uno che ha guidato mezza C divenendo celeberrimo per il proprio stile istrionico e qualche sfuriata leggendaria. Il tecnico campano lo fa giocare quasi sempre, il suo uruguaiano. Spesso dall'inizio, oppure a gara in corso. Ma più per mancanza di alternative che per reale convinzione.
“Bentancourt sta facendo male sotto l'aspetto realizzativo e sotto quello del gioco, e questo è un dato inconfutabile – dice Capuano in conferenza stampa a fine novembre 2015 – Ma ha una facilità di aggressione e di corsa della profondità illimitate. E in questo modo crea spazi per l'altro attaccante, Cori. Ecco perché continuo a farlo giocare”.
Il vero sbrocco di Capuano, pur con toni apparentemente pacati, arriva però qualche giorno più tardi. L'Arezzo pareggia in casa contro la Lupa Roma, Bentancourt ancora una volta è un oggetto misterioso e al termine della partita l'allenatore si presenta ai microfoni dei giornalisti scuro in volto. Lo show può cominciare.
“Io Bentancourt l'ho aiutato. Ma non l'ho voluto aiutare perché faccio l'assistente sociale. Senza Defendi è lui l'unico giocatore che attacca la profondità. È in una fase comatosa, mi dispiace dirlo, perché non ha mai inciso nemmeno oggi. Io lo metto in campo mica perché mi è simpatico, ma perché è l'unico giocatore con queste caratteristiche. Per tutto c'è una motivazione”.
La svolta pare arrivare di lì a poco, a dicembre, con due goal di fila contro Pistoiese e SPAL. Ma non è che un'illusione: Bentancourt segna altre due volte da lì alla fine del campionato, l'Arezzo chiude il girone B con un mediocre nono posto e le strade si separano. Altro ritorno a Bergamo. Ma questa volta l'Atalanta ha definitivamente gettato la spugna. E così a metà luglio 2016 il sito ufficiale nerazzurro dà la notizia che in molti attendevano: “Risoluzione consensuale del contratto con Ruben Bentancourt”.
Game over. Il sogno italiano del sosia di Cavani è già finito. Bentancourt fa di tutto per rimanere nel nostro paese, si reca personalmente a Milano per trovarsi una squadra, ma rimane svincolato. E a soli 23 anni è costretto a riporre nel cassetto i sogni di gloria. La seconda parte della carriera è un lungo peregrinare dall'altra parte del pianeta: Argentina, Brasile, Uruguay, Colombia, Messico. Sempre in formazioni di secondo o terzo piano, Independiente Santa Fe escluso. L'Atalanta e la Serie A sono già un ricordo. E col passare del tempo, a quanto pare, svaniscono lentamente anche gli inevitabili rimpianti.
“Da esperienze così c'è da imparare, meglio guardare le cose dal lato positivo – ha detto Ruben – Giocare in Europa mi ha aiutato a crescere dal punto di vista calcistico”.
Oggi Bentancourt milita in patria con il Liverpool FC. Al Boston River, invece, è stato allenato dal totem Loco Abreu nel doppio ruolo di giocatore-allenatore. Nel novembre del 2021, in maglia giallonera, ha timbrato una tripletta in casa del Cerrito, uno dei pochissimi exploit realizzativi di una seconda parte d'annata negativa. Il destino di colui che doveva ripercorrere le orme di Cavani, ormai, è diventato questo.


