
È la 4ª giornata del campionato di Serie A 1971/72. La Juventus fa visita a San Siro al Milan di Rocco e al 16' si porta in vantaggio grazie a un imperioso stacco di testa di Bettega su cross perfetto di Causio.Ibianconeri, tuttavia, non si accontentano e continuano ad attaccare. Il numero 11 ospite, in particolare, sembra essere letteralmente scatenato e, ricevuta palla al limite dell'area da Furino scarica sulla destra per Anastasi.
Il centravanti si infila nell'area rossonera fra Anquilletti e Schnellinger ed effettua un cross basso e teso, leggermente all'indietro, verso il centro dell'area. Bettega ci arriva spalle alla porta e con un'autentica magia, un delizioso colpo di tacco col destro, sorprende il suo marcatore, Sabadini, e il portiere Cudicini, che non si aspetta una simile prodezza, e insacca nell'angolino basso più lontano. Anche il Paròn Rocco, pur sconfortato per il risultato negativo, si alza dalla panchina e si toglie il cappello in segno di ammirazione e rispetto.
È un goal capolavoro, sicuramente il più iconico e forse il più bello fra tutti quelli segnati da Roberto Bettega, che afferma in quella gara la netta superiorità della Vecchia Signora sul Milan. Una rete che lo lancia verso una carriera straordinaria, ricca di successi e soddisfazioni, ma anche un po' sfortunata: qualche mese dopo quel goal a San Siro, infatti, l'attaccante dovrà fermarsi a lungo per un principio di tubercolosi che lo costringerà a cure molto pesanti e dal quale ci metterà diverso tempo a riprendersi, mentre nel 1981 la rottura dei legamenti del ginocchio gli farà perdere i Mondiali di Spagna e il sogno di laurearsi campione del Mondo.
DA GIOVANE PROMESSA ALL'ESPLOSIONE COL VARESE
Roberto Bettega nasce nella periferia di Torino il 27 dicembre 1950. La sua famiglia appartiene alla cosiddetta classe media: papà Raimondo lavora come carrozziere alla FIAT, mentre mamma Orsola fa la maestra elementare. Robertino, come lo chiamavano, trascorre un'infanzia tranquilla e all'età di 7 anni, mentre assiste con il padre al derby fra le due squadre cittadine, si innamora del calcio e diventa un grande tifoso bianconero.
Sogna di diventare un calciatore, così papà Raimondo lo porta alla Scuola di avviamento per giovani calciatori della Juventus. Lì, sotto la guida del maestro Mario Pedrale, coltiva la sua passione e apprende rapidamente l'arte del calciatore. Per il resto madre natura lo aiuta non poco: a 13 anni è già alto un metro e 70 centimetri, e la sua fisicità, unita alle qualità tecniche, gli consente di mettersi in evidenza.
"Agli inizi della mia carriera giocavo da mediano. - racconterà - La 'svolta storica', da centrocampista ad attaccante, avviene nel 1964-65, per merito dell’allenatore degli Allievi. Grosso. Il mio idolo giovanile era John Charles. Mi piaceva il suo modo di giocare, la sua bravura nel colpire di testa in perfetta elevazione...".
Alto e longilineo, ambidestro dai piedi morbidi, con un colpo di testa micidiale, tutti presto si rendono conto che il vivaio juventino ha prodotto un vero gioiello. Robertino inizia anche ad essere convocato con la Nazionale Juniores, in cui gioca fra gli altri con Ivano Bordon e Luciano Spinosi. Quando al termine della stagione 1968/69 Pedrale lo consegnaad Ercole Rabitti per aggregarlo alla Prima squadra, si sente di scommettere su quel ragazzone torinese.
"Io dico che è nato attaccante. Se il fisico lo sorregge, può diventare una punta alla Charles". Parole che oggi suonano come profetiche.
La Juventus lo giudica tuttavia ancora acerbo per farlo subito debuttare in Serie A e, per non bruciarlo, decide di fargli fare un anno di esperienza in Serie B con il Varese, guidato dal grande Nils Liedholm, agli inizi della sua carriera da allenatore, che lo aveva ammirato in una gara fra formazioni giovanili delle due società, giocatasi sotto un grande acquazzone.
Bettega, approdato in provincia, gioca all'ala sinistra affianco al centravanti Ariedo Braida, dimostra subito le sue qualità: uomo-goal ma anche costruttore di spettacolari trame offensive. In tutto segna 13 goal in 30 presenze, dando un apporto fondamentale per la promozione in Serie A dei lombardi e laureandosi capocannoniere del torneo. A questi numeri aggiunge 3 apparizioni in Coppa Italia.
"Ricordo la doppietta col Mantova, la rete con l’Arezzo, quella con l’Atalanta... E il calcio di rigore trasformato con il Piacenza all'ultima giornata: dovranno passare 10 anni prima che ne calci un altro...".
Bettega, infatti, a differenza di molti altri bomber, lascia i calci di rigore ai suoi compagni di squadra, consapevole che "per vincere la classifica dei cannonieri occorre usufruire dei calci di rigore".
I giudizi dopo la prima stagione da pro sono assolutamente lusinghieri. Lo stesso Liedholm, mai prodigo di elogi, ne tesse le lodi. Robertino è pronto per prendersi la Juventus.
"Possiede le qualità essenziali per una punta: piede e testa, cioè buon trattamento di palla ed elevazione. - afferma il 'Barone' - È un altruista e un opportunista secondo le circostanze e ciò, naturalmente, corrisponde al meglio per un uomo d’area di rigore".
I PRIMI ANNI IN BIANCONERO: FRA GOAL E SFORTUNA
Nel 1970/71 Bettega può dunque far ritorno alla Juventus e approdare in Prima squadra. La squadra è affidata alla leggenda dell'Inter Armando Picchi, ma quando, a stagione in corso, un male incurabile se lo porterà via, sarà il cecoslovacco Cestmír Vycpálek a succedergli in panchina.
Bettega non risente del salto di categoria e conferma le qualità che aveva messo in mostra in Serie B: segna ancora 13 goal in campionato, stavolta in 28 presenze, e a questi ne aggiunge 6 in 11 gare in Coppa delle Fiere, 2 in 3 presenze in Coppa Italia e uno in 4 apparizioni nel Trofeo Armando Picchi, organizzato dalla Lega per commemorare l'ex libero della Nazionale azzurra, per un totale di ben 22 reti in 46 partite.
L'esordio in Serie A lo fa al Cibali di Catania nella prima giornata, il 27 settembre 1970, ed è bagnato nel finale dal goal che decide la sfida in favore degli ospiti. Roberto lo segna di testa, una delle sue specialità.
"Ero completamente concentrato sulla partita - ricorderà - e ogni altro pensiero, compresa l’emozione, scomparve. Appena toccato il primo pallone, sparì anche la paura di sbagliare. Quell'anno arriviamo al 4° posto in classifica dietro l’Inter di Boninsegna, il Milan e il Napoli. Io con 13 reti mi classifico al 4° posto fra i migliori marcatori dietro Boninsegna, Prati e Savoldi, cioè tutti cannonieri affermati. Non male per un debuttante".
Anche in Europa Bettega dimostra di farsi valere, e i suoi goal sono determinanti per portare la Juventus alla doppia finale di Coppa delle Fiere contro il Leeds United. Qui però i bianconeri sono sfortunati: Bettega firma la prima rete dei torinesi nel 2-2 casalingo ma l'1-1 del ritorno premia i Peacocks per la regola dei goal in trasferta.
WikipediaPer la giovane punta è comunque il preludio di un avvio di campionato 1971/72 strepitoso. Gioca da ala sinistra in coppia con il siciliano Pietro Anastasi, segna a raffica e manda in goal i compagni, in una stagione entusiasmante per i colori bianconeri. La doppietta di San Siro nel poker al Milan lo consacra come nuovo idolo dei tifosi, per i quali diventa 'Bobby goal'. Rispetto agli altri attaccanti, legge in anticipo lo sviluppo dell'azione e alle altre qualità abbina un senso tattico eccezionale.
Tutto sembra andare per il meglio, madopo il 10° goal in 14 partite segnato alla Fiorentina, il 16 gennaio l'attaccante appare in tv tossicchiando. È un brutto segno perché il giorno seguente il ventunenne è ricoverato in clinica e il 18 la Juventus diffonde un comunicato ufficiale sulle sue condizioni di salute:
"Il giocatore Roberto Bettega dovrà assentarsi per qualche tempo dai campi di gioco per guarire perfettamente da una fastidiosa affezione infiammatoria all'apparato respiratorio".
La diagnosi fa paura: l'attaccante ha un principio di tubercolosi. Il campione, proprio nella stagione che potrebbe consacrarlo, deve fermarsi per curarsi. La battaglia contro un nemico invisibile è dura e dolorosa, ma Bettega riesce a vincerla. I suoi compagni, intanto, gli regalano il primo Scudetto della sua carriera.
Bettega, dopo una lunga convalescenza, può rivedere il campo soltanto dopo 8 mesi, all'inizio della stagione successiva, e ci metterà non poco a ritrovarsi. Le stagioni che seguono la malattia lo vedono lottare per riprendersi quello che quest'ultima gli aveva tolto, pur con medie realizzative lontane da quelle che inizialmente aveva mostrato di poter avere. Con 2 goal in 7 presenze, nel 1972/73 contribuisce anche in Coppa dei Campioni alla cavalcata fino alla finale di Belgrado, persa di misura contro l'Ajax di Cruijff.
Per due stagioni di fila in campionato realizza 8 goal, che calano a 6 nel 1974/75, ma la punta non fa mai mancare il suo apporto alla squadra. Segna comunque reti non banali, spesso alle rivali per il titolo, e vince altri 2 Scudetti, nel 1972/73 e nel 1974/75, guadagnandosi la convocazione in Nazionale da parte del Ct. azzurro Fulvio Bernardini.
BETTEGA IN NAZIONALE: STELLA NEL 1978, ASSENTE NEL 1982
L'esordio con l'Italia di Bobby Goal è datato 5 giugno 1975 a Helsinki, contro la Finlandia, gara di qualificazione per Euro '76. La maglia azzurra, dopo un periodo iniziale di adattamento e un'espulsione contro il Brasile nel Torneo del Bicentenario, lo vede grande protagonista nei Mondiali del 1978, a partire dalle qualificazioni fino alla fase finale in Argentina.
Bettega a suon di goal si carica sulle spalle la Nazionale di Enzo Bearzot, che ripone in lui grandi aspettative. Nel 1976, fra amichevoli e qualificazioni, va in rete per 6 partite consecutive, e firma tre doppiette di fila. Il 17 novembre 1976 con uno spettacolare colpo di testa in tuffo su cross di Tardelli, infligge all'Inghilterra la rete del 2-0, che si rivelerà decisiva per l'accesso degli Azzurri ai Campionati del Mondo. Il 15 giugno 1977 al Comunale di Torino rifila addirittura un poker nell'ampio 6-1 degli Azzurri alla solita Finlandia.
Nel 1978, in Argentina, a 27 anni, è il grande protagonista dell'attacco stellare dell'Italia assieme al giovane Paolo Rossi in una Nazionale che per molti è stata quella più bella di sempre. La grande intesa fra Roberto e Pablito e alla base delle imprese degli azzurri. Bettega va a segno due volte nella prima fase nel 3-1 contro l'Ungheria e, soprattutto, nell'1-0 ai padroni di casa dell'Argentina, rifilando alla squadra di Menotti la rete della sua unica sconfitta, al termine di uno scambio spettacolare con il suo partner d'attacco.
Un calo fisico nella Seconda fase costringerà la squadra di Bearzot ad accontentarsi di un 4° posto finale, ma Bettega e Rossi figureranno a fine torneo nel tridente della top11 del campionato del Mondo del 1978 assieme a Mario Kempes. Con la Nazionale Bettega partecipa anche agli Europei di casa del 1980, stavolta senza brillare. Il vero obiettivo sono i Mondiali del 1982 in Spagna, ma ancora una volta la sorte avrà un ruolo determinante nella sua carriera.
È il 4 novembre del 1981, a Torino si gioca Juventus-Anderlecht di Coppa dei Campioni: Bettega ha un terrificante impatto con Munaron, il portiere belga, e resta a terra. La diagnosi è impietosa, proprio come era già accaduto nel 1972: distacco del legamento collaterale-mediale del ginocchio sinistro, stagione finita e viaggio in Spagna cancellato. Bearzot fino all'ultimo lo aspetterà, invano, portando comunque Paolo Rossi nonostante la squalifica per il Calcioscommesse.
Dopo un biennio di mancate convocazioni, Bettega chiude la sua avventura in Nazionale il 16 aprile 1983, quando parte titolare nella partita di qualificazione ad Euro 1984 contro la Romania. A Bucarest sono però i padroni di casa a festeggiare, imponendosi 1-0 e di fatto eliminando l'Italia. Per l'attaccante torinese, autore di 19 reti in 42 presenze, un saluto amaro.
GettyGLI SCUDETTI, LA COPPA UEFA, LA DELUSIONE DI ATENE
La maglia della Nazionale e la crescente rivalità cittadina con il Torino hanno il potere di riconsegnare alla Juventus, a partire dalla stagione 1975/76, un Bettega nuovamente straripante anche sotto il profilo realizzativo. I bianconeri giungono secondi dietro ai granata, ma Bobby goal torna prepotentemente in doppia cifra con 15 reti.
Il 1976/77, con l'approdo sulla panchina bianconera di Giovanni Trapattoni, è un anno magico. Bettega, cui i bianconeri affiancano Roberto Boninsegna, è il protagonista assoluto della stagione. Segna 17 goal, tutte su azione, l'ultimo dei quali, messo a segno contro la Sampdoria nell'ultima giornata, consente alla squadra bianconera di aggiudicarsi lo Scudetto, precedendo i campioni in carica del Torino di un solo punto.
Nella stessa stagione Bobby goal timbra il cartellino altre 5 volte in Coppa UEFA, trascinando ancora una volta la Vecchia Signora alla doppia finale. I bianconeri stavolta hanno la meglio sui baschi dell'Athletic Bilbao, con Bettega nuovamente decisivo. Il suo goal di testa a 'La Catedral' nell'infuocato match di andata consente infatti alla squadra di Trapattoni di aggiudicarsi il primo trofeo internazionale della sua storia (sconfitta per 2-1 in Spagna, vittoria per 1-0 a Torino).
Con la maglia bianconera Bettega vince ancora altri 3 Scudetti, portando a 7 il computo totale di quelli vinti, e 2 Coppe Italia, una nel 1978/79, fratturandosi anche alcune costole in finale, una nel 1982/83, senza scendere in campo nelle ultime gare. Nel 1977 e nel 1978 si piazza inoltre al 4° posto nella classifica del Pallone d'Oro.
Il suo look nel corso degli anni cambia, con i capelli brizzolati a caratterizzarlo ulteriormente rendendolo un'icona immortale. Nel 1979/80, a 29 anni, con 16 centri si toglie anche la soddisfazione di vincere per la prima volta la classifica di capocannoniere della Serie A. L'impresa gli riesce grazie a 2 rigori, quelli che prima di allora aveva sempre preferito non calciare.
Il matrimonio con la Juventus si conclude nel modo più amaro nella stagione 1982/83. Bettega, in una squadra stellare che annovera campioni come Platini, Boniek e Paolo Rossi, accarezza il sogno della Coppa dei Campioni, il trofeo già sfuggitogli nel 1973. Il cammino dei bianconeri è esaltante, ma in finale, ad Atene, un tiro velenoso di Magath inganna Zoff, dando all'attaccante una delle delusioni più grandi della sua carriera.
Quella di Atene è per Bettega l'ultima di 481 presenze in gare ufficiali, condite da 178 goal che lo rendono il 3° miglior marcatore di sempre della storia bianconera dietro a Del Piero e Boniperti. Due giorni prima, il 15 maggio 1983, in Juventus-Genoa 4-2 aveva dato il suo commiato al campionato italiano.
"Se avessi la facoltà di rivivere un avvenimento nella mia carriera, - dirà - tornerei a quel maggio maledetto e rigiocherei la finale con i tedeschi. Loro non demeritano, solo che noi siamo irriconoscibili. Lascio la Juventus senza realizzare un sogno meraviglioso".
GoalLA PARENTESI IN CANADA
Dopo l'addio alla Juventus, Bettega è fra i primi calciatori italiani a tentare un'avventura in un campionato estero. Così a 32 anni si trasferisce ai canadesi del Toronto Blizzard, nella North American Soccer League.
Il giocatore è tuttavia vittima in Italia di un brutto incidente stradale mentre è alla guida della sua Autobianchi A112, e così la stagione è in parte compromessa. In 2 anni in Canada totalizza 11 reti in 48 presenze, prima di ritirarsi all'età di 33 anni.
DOPO IL RITIRO
Negli anni Ottanta del secolo scorso, conclusa la carriera agonistica, Bettega diventa un apprezzato opinionista per le reti Mediaset, commentando, in coppia con Nando Martellini, anche la vittoria bianconera nella Coppa Intercontinentale contro l'Argentinos Juniors. Intraprende inoltre a Torino anche alcune attività imprenditoriali.
Ma a partire dal 1994 torna da dirigente alla Juventus, su richiesta del presidente Umberto Agnelli, per ricoprire la carica di vicepresidente. Insieme al Direttore generale Luciano Moggi e all'A.d. Antonio Giraudo, comporrà la cosiddetta 'Triade' che a cavallo degli anni 1990 e 2000 darà vita a uno dei più vittoriosi cicli bianconeri.
È lui, fra l'altro, a notare il talento di Zinedine Zidane e a indurre la società piemontese ad acquistare il fuoriclasse francese. Quando nel 2006 la dirigenza bianconera è investita dallo Scandalo di Calciopoli, lui è l'unico ad uscirne pulito, pur dovendo abbandonare la carica ricoperta.
Assolto con formula piena da ogni accusa, tornerà nel 2010 come vicedirettore generale durante la presidenza di Jean-Claude Blanc, incarico che manterrà per appena 5 mesi, lasciando poi definitivamente il mondo del pallone. Dopo aver contrassegnato, con i suoi goal e le sue giocate, un'epoca importante del calcio italiano.
