Da eterna promessa a muro: la metamorfosi di Simon Kjaer è sotto gli occhi di tutti, in particolare dei tifosi del Milan che hanno imparato a conoscerne le doti difensive nell'ultimo anno, apprezzandolo sia in coppia con capitan Romagnoli che con il nuovo acquisto Tomori, altra intuizione di Paolo Maldini che di difensori, evidentemente, se ne intende parecchio.
Al netto di qualche problema fisico che lo ha limitato, soprattutto nell'ultimo periodo, il centrale danese è una garanzia assoluta per Pioli che non può fare a meno di lui: dimostrazione ne è l'alchimia venutasi a creare con i suoi compagni di reparto e la velocità con cui è riuscito a guadagnarsi la fiducia di un'intera tifoseria, che ha recentemente gioito per la sua prima (e finora unica) rete in rossonero realizzata in uno stadio non qualunque, all'Old Trafford di Manchester.
Kjaer è divenuto simbolo assoluto non solo per le sue prestazioni, ma per come ha protetto Eriksen agli Europei, dopo il malessere del compagno: ha posizionato tutti i giocatori dalle Nazionale danese in modo che fotografi e curiosi non riuscissero a vedere a terra il giocatore dell'Inter.
Icona per quanto fatto, ma anche colosso a Euro 2020 in campo, vista la semifinale raggiunta con la Danimarca, ad un passo dall'ultimo atto in cui l'Inghilterra, capace di eliminare il team nordico, è stato battuto dall'Italia. La doppia esperienza calcistica e di vita è stata talmente importante da spingerlo fino al Pallone d'Oro, vista la candidatura tra i trenta.
Tante certezze e zero dubbi, tutt'altra musica rispetto a quando, nel 2008, il Palermo lo prelevò dal Midtjylland: l'allora direttore sportivo rosanero, Rino Foschi, sborsò poco più di tre milioni per bloccarlo, cifra ritoccata in seguito a 4 in virtù di una clausola scaduta. Soldi ben spesi, almeno a giudicare dalla sua seconda stagione in Sicilia e dalla titolarità conquistata che gli valse le attenzioni di diversi club europei.
Alla fine fu il Wolfsburg a spuntarla, ma l'Italia era evidentemente ancora nel destino di Kjaer: così, dopo una sola stagione in Germania, la Roma di Walter Sabatini se lo aggiudicò in prestito con diritto di riscatto. Quella era una squadra segnata dalle incongruenze tattiche e dai dettami di un allenatore, Luis Enrique, non assimilati dagli interpreti in campo, compreso Kjaer che non riuscì a convincere la dirigenza giallorossa a puntare ancora su di lui per il futuro.
Tanti punti interrogativi riaffiorati sette anni più tardi, quando le strade di Kjaer e della Serie A si incrociano di nuovo: stavolta è l'Atalanta a riportarlo nel Belpaese con la formula del prestito dal Siviglia, ma l'esperienza si trasforma ben presto in un incubo per il danese che non trova spazio nella difesa a tre prediletta da Gasperini, dove si sente un pesce fuor d'acqua e alla ricerca di un nuovo mare da abitare per cancellare un'incompatibilità tattica che pesa come un macigno.
Pochi mesi da separato in casa (o quasi), prima della chance inaspettata e proveniente dal Milan nel gennaio 2020, fresco di ingaggio di Zlatan Ibrahimovic: la formula è quella del prestito con diritto di riscatto, esercitato puntualmente lo scorso luglio con il versamento della cifra pattuita nelle casse andaluse. Un'opportunità da non lasciarsi sfuggire per il 'Diavolo', letteralmente stregato da un difensore apparso più consapevole delle sue qualità rispetto ai primi anni italiani, caratterizzati da frequenti uscite a vuoto dettate, probabilmente, dalla giovane età e dall'inesperienza.
Il soggiorno estero maturato tra Wolfsburg, Lille, Fenerbahce e Siviglia ci ha riconsegnato un Kjaer diverso, un muro a tratti invalicabile e una bella (ri)scoperta, dal pedigree internazionale che aumenta a dismisura i rimpianti di chi non ha potuto goderselo in condizioni ottimali. 'Privilegio' spettato al solo Milan, che se lo può godere in Serie A e dopo anni, in Champions League.
