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Primo atto dell’Allegri 2.0 alla Juventus: una stagione complicata

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Un progetto quadriennale. Dunque, non è ancora tempo delle sentenze. Sebbene, e non potrebbe essere altrimenti, il primo atto dell’Allegri 2.0 debba essere chirurgicamente analizzato. Senza giri di parole: stagionaccia per la Juventus. Mai in lotta per lo scudetto, sconfitta in Supercoppa e Coppa Italia contro l’Inter, fuori agli ottavi di Champions. Insomma, il quarto posto in campionato è sinonimo di obiettivo minimo. Definito in questa maniera, peraltro, dallo stesso tecnico livornese.

La Juventus, per la prima volta dopo dieci anni, non porta trofei a casa. Ma questo è il calcio, è lo sport e va accettato. Ciò che però non convince è come la Vecchia Signora abbia gettato le basi (?) in vista del futuro. Mai una formazione uguale, sistema di gioco base ancora indefinito, dubbi su molteplici individualità. Insomma, un cantiere ancora aperto tendente all’apertissimo.

Indubitabilmente, e ciò va rimarcato, i bianconeri da tempo palesano evidenti limiti strutturali. Non c’è un solo reparto che possa far dormire sonni tranquilli. Il pacchetto arretrato va rinfrescato, il centrocampo ritoccato sensibilmente all’insegna della qualità, l’attacco riformulato post partenze eccellenti. Rinforzi al potere, prioritari, chiamati ad assestare una squadra lacunosa e priva di carattere.

In tutto ciò, però, Allegri nel suo primo capitolo in formato rientro non è riuscito a rivelarsi un valore aggiunto. Dalle difficoltà legate all’avvio tra stesura e lettura delle gare, passando per un atteggiamento tattico eccessivamente prudente che ha portato Madama, così, a vivacchiare principalmente di difesa posizionale. Poi, certo, il lato B del campionato ha visto la Juve abbracciare un principio di continuità che, per l’appunto, l’ha portata a ottenere un posto nella prossima Champions League. Il tutto, e va sottolineato, complice il crollo verticale e inaspettato dell’Atalanta.

Le attenuanti qua e là, tuttavia, non mancano. Nome e cognome: Cristiano Ronaldo. Programmare un percorso facendo leva su uno dei migliori giocatori al mondo, salvo poi perderlo al gong del mercato, non è roba da Juve. Ma soprattutto non è programmazione. In pochi giorni, all’insegna di un quadro volubile, Allegri s’è ritrovato a dover rimpiazzare mister 5 Palloni d’oro e altrettante Champions League. Con chi? Moise Kean. Che ovviamente non è rientrato a Torino per sostituire in valore assoluto il fuoriclasse portoghese, bensì ne ha preso il posto in rosa. Allora all-in su Alvaro Morata in formato “9”. Morale della favola? Partite su partite, in attesa dell’arrivo di Dusan Vlahovic nella finestra invernale, disputate con un calciatore fuori ruolo.

Impossibile, analizzando l’intero quadro, immaginare che la Juve corrente potesse davvero infastidire le milanesi per il titolo. Detto ciò, ipotizzare qualcosina in più avrebbe dovuto rappresentare la base del discorso: CR7 o non CR7.

Allegri, evidentemente, allenando il parco calciatori ha compreso come sognare in grande rappresenti un’ardita utopia. E lo stato maggiore, dal canto suo, verosimilmente ha inteso che dover smussare gli angoli della campagna acquisti sia cosa buona e giusta. Tradotto: meno linea verde, più esperienze. Proprio per valorizzare in maniera oculata le caratteristiche di un allenatore – da sempre – preposto a valorizzare e gestire calciatori fatti e finiti.

Un capitolo, infine, se lo aggiudica Chiesa. Difficile – per tutti – fare a meno del tuttofare offensivo genovese. E la Juve, nella seconda parte di stagione, non ha potuto usufruire dei suoi cilindri. Scusate se è poco.

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