Una persona intelligente. Un calciatore intelligente. Gianluca Pessotto con il fosforo è riuscito a fare grandi cose, costruendo una carriera prestigiosa e vincente. Dalle giovanili del Milan agli studi da perito aziendale. Passando, soprattutto, dalla Champions League vinta nel 1996 con la maglia della Juventus.
Nulla di regalato, pura e semplice meritocrazia. Impreziosita dai consigli di Marcello Lippi, il quale senza tente remore ha avuto il merito di lanciare nell'élite un terzino di "provincia" facendolo diventare a tutti gli effetti un elemento di grande affidabilità. Capace di tirare e realizzare anche uno dei rigori dell'indimenticabile - per i tifosi bianconeri - notte di Roma contro l'Ajax.
Insomma, merce rara: 3, 22, 17 e 7. No, non sono i numeri del Lotto, bensì le casacche sfoggiate con la Juve. Ben 366, in 11 stagioni, confluite in 4 scudetti (più uno revocato), 4 Coppe Italia, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa Uefa, 1 Coppa Intertoto e, appunto, la coppa dalle grandi orecchie.
Pessotto, nel bene e nel male, s'è sempre contraddistinto per correttezza e professionalità. Ingredienti proposti in Perugia-Juve, 14 maggio 2000, in una delle giornate più nere della storia bianconera. Un tricolore apparentemente vinto, finito nelle mani della Lazio. Con Alessandro Calori a spingere Madama verso una delusione tanto cocente quanto indimenticabile.
E può capitare, dunque, che nel mezzo di un dramma sportivo ne venga a capo il fair play. Protagonista? Pessotto, ovviamente. Il quale, nonostante lo svantaggio e il primo posto ormai nelle mani biancocelesti, decide di richiamare l'attenzione del direttore di gara, Pierluigi Collina, per cambiare una rimessa inizialmente assegnata ai bianconeri.
Gesto vivamente apprezzato dall'ex arbitro bolognese, con tanto di stretta di mano a elogiare un gesto spontaneo ma forte, a maggior ragione considerando il parziale.
Il resto è storia. Il resto è l'anima di un Perugia, già abbondantemente salvo, capace di fare uno scherzetto simile. Tra le lacrime della squadra bianconera, guidata da Carlo Ancelotti, e la fierezza dell'altro Carlo, Mazzone, all'epoca tecnico degli umbri.
E, vent'anni dopo, questo risultato continua a fare notizia. Perché rappresenta il bello, o il brutto, del calcio: dipende dai punti di vista. O meglio, dalla fede calcistica.


