“E’ normale, chi perde ha il diritto di essere arrabbiato, ma la situazione per me è molto chiara. Dico sempre che non è fuorigioco e lo si capisce anche dalla reazione dei giocatori della Juve. Noi che abbiamo giocato tante partite contro squadre italiane, sappiamo come sono fatti, protestano per ogni cosa, chiedono il fuorigioco anche quando non c’è. Allora nessuno alzò la mano per chiederlo”.
Il 20 maggio del 2020, con queste parole rilasciate a ‘Marca’, Predrag Mijatovic ha commentato uno degli episodi più controversi dell’intera storia del calcio: il goal che ventidue anni prima aveva consentito al Real Madrid di battere in finale di Champions League la Juventus e di sollevare al cielo la ‘Septima’.
A segnare quella rete in quella incredibile notte di Amsterdam fu proprio l’ex attaccante montenegrino che da allora ha sempre ribadito come la sua posizione, parsa ai più in netto fuorigioco, fosse in realtà assolutamente regolare.
E’ il 66’ quando Christian Panucci crossa dalla destra, il pallone giunge in qualche modo a Roberto Carlos che, arrivando in corsa dal lato opposto, lascia partire un gran tiro di sinistro sulla cui traiettoria si trova Iuliano che, con una sfortunata deviazione, favorisce proprio Mijatovic che in un fazzoletto di area prima aggira Peruzzi e poi deposita in rete.
Coloro che sono di fede bianconera dal 1998 asseriscono che quella rete andasse annullata, coloro che invece hanno il Real nel cuore giurano che fosse Pessotto, la cui posizione in campo in quel momento non venne catturata dalle telecamere, a tenere tutti in gioco.
“Ad un certo punto qualcuno, penso Pessotto - continua Mijatovic nel suo racconto - si rivolge all’arbitro e in quel preciso momento si rende conto che la rete è regolare. E’ vero che non c’è un’immagine chiara, ma sono convinto della bontà della mia posizione. Lo sono io, lo siamo noi, lo sono loro e anche l’arbitro. Nessuno protestò, per me la chiave è questa”.
La certezza assoluta probabilmente nessuno la avrà mai, quello che però è sicuro è che ‘Pedja’, nel momento stesso in cui di sinistro mette la palla in rete, non solo segna il goal più importante della sua carriera, ma si garantisce un posto d’onore tra i ‘grandi’ della storia del Real Madrid.
Per il Blancos infatti la ‘Septima’ era diventata una sorta di ossessione ed anzi, in Spagna erano in molti a parlare di maledizione. Il Real, il club più importante al mondo, inseguiva quel successo dal 1966, ovvero un arco di tempo che in ambito calcistico vale un’era geologica.
Mijatovic si è presentato puntuale all’appuntamento con la storia e la cosa non deve sorprendere: in quel preciso momento storico è infatti semplicemente uno degli attaccanti più forti del pianeta.
Getty ImagesIl cammino che l’avrebbe condotto nell’Olimpio dei campionissimi, non è stato propriamente dei più brevi. A diciotto anni aveva vinto i Mondiali U20 in Cile da protagonista e lo aveva fatto con una Nazionale jugoslava che comprendeva anche altri talenti del calibro di Boban, Jarni, Prosinecki e Suker. Ovviamente contro una formazione di tale livello non ce ne fu per nessuno.
Già allora a molti sembrò pronto per il grande salto, in realtà però dovrà aspettare altre sette stagioni scandite dalle esperienze con Budocnost e Partizan, prima di lasciare la Jugoslavia ed approdare nel calcio che conta. E’ il 1993 quando finisce nel mirino di big europee del calibro di Real Madrid, Atletico Madrid e proprio quella Juventus che condannerà cinque anni dopo ad Amsterdam, ma ad anticipare tutti sarà il Valencia che, bruciato dal Barcellona nella corsa che conduceva a Romario, deciderà di dirottare proprio sul gioiello di Pogdorica.
“Lascio Belgrado da stella, tornerò da costellazione”.
In Spagna impiegherà pochissimo tempo ad imporsi come uno dei giocatori più forti della Liga e, proprio quando ormai la sua squadra sembra ad un passo dal compiere quell’ultimo passo che la separa dal titolo nazionale, decide non lasciarsi scappare l’occasione di legarsi a quel Real Madrid che tre anni prima lo aveva solo corteggiato.
I Blancos investono quasi 1,5 milioni di pesetas pur di assicurarselo, ovvero la cifra più alta spesa fino a quel momento in Spagna, e tra i tifosi del Valencia, che vedono nella sua scelta il più classico dei tradimenti, scoppia la rabbia.
“La carriera di un calciatore è breve e se non approfitti dei tuoi cinque o sei anni migliori, poi potresti pentirtene per i successivi quaranta”.
Mijatovic, che da bambino era stato molto indeciso se scegliere il calcio o il basket (“Optai per il calcio solo perché ero basso”), a ventisette anni può finalmente legarsi al club più importante del mondo e lo fa sapendo che in pochi possono fare la differenza come lui.
“So cosa si aspettano da me a Madrid. Ho firmato per cinque anni e non sarò soddisfatto se non vinceremo un trofeo ogni anno, compresi almeno un paio di campionati ed una Champions League”.
Al suo primo anno a Madrid vincerà il campionato e si piazzerà al secondo posto nella classifica del Pallone d’Oro alle spalle del solo Ronaldo, poi vincerà la Supercoppa di Spagna, la Champions League con goal decisivo in finale contro la Juventus e la Coppa Intercontinentale.
Non resterà al Real per cinque anni come aveva previsto ma, come aveva promesso, ha certamente contribuito a rendere più ricca la bacheca delle Merengues.
Getty ImagesNel 1999 è tra i giocatori più famosi del pianeta, ma è anche giunto alla fine del suo ciclo a Madrid. Trovare una nuova squadra pronta a fare ponti d’oro per lui non è un problema e lui tra tutte sceglie la Fiorentina.
A volerlo fortemente è Giovanni Trapattoni, che sogna una coppia offensiva composta da Mijatovic e Batistuta con Rui Costa a supporto. Poche squadre al mondo potevano permettersi un attacco di quella caratura.
Il club viola versa nelle casse del Real Madrid ben diciassette miliardi di lire pur di chiudere l’operazione e a ‘Pedja’ basta poco per convincersi del fatto che per lui può essere la scommessa giusta.
“Non c’era solo Trapattoni - dirà ad ‘AS’ - c’era Batistuta in quella Fiorentina, e una bella generazione di grandi calciatori, Balbo, Rui Costa, Di Livio, Torricelli, insomma era una squadra abbastanza importante”.
Mijatovic approda in riva all’Arno con tutte le intenzioni di fare bene, ma quello che non immagina è che, al di là di quelle che saranno le sue prestazioni, per i tifosi viola è già un idolo assoluto. E’ forte, ha vinto tutto, si è piazzato secondo al Pallone d’Oro, arriva dal Real Madrid ma soprattutto ha castigato la Juventus in Champions: la cosa a Firenze equivale come una medaglia sul petto.
“Arrivai potendo contare su un credito incredibile perché un anno prima avevo segnato contro la Juve in finale di Champions League - ha ricordato nel 2020 ad ‘AS’ - e i tifosi della Fiorentina e quelli juventini non si sopportano”.
A Firenze Mijatovic trova anche Angelo Di Livio, uno dei protagonisti di Juventus-Real Madrid di un anno prima, che lo accoglierà con una battuta… che poi tanto battuta non è.
“Mi accolse dicendomi che gli avevo fatto perdere un miliardo di lire. Era la cifra che ogni giocatore della Juve avrebbe incassato se avessero vinto la Champions”.
I presupposti per fare bene ci sono tutti e la stessa Fiorentina solo un anno prima aveva a lungo lottato per lo Scudetto, tuttavia Mijatovic in viola non riuscirà mai ad imporsi come in molti avrebbero immaginato.
GettyVerrà frenato da una serie di problemi fisici che non gli consentiranno di esprimersi con continuità e di fatto solo a tratti riuscirà a far intravedere quelle che erano le sue doti da fuoriclasse. A Firenze gli concederanno tutto il tempo possibile, ma ben presto sarà chiaro a tutti che quello arrivato in Toscana è un campione che il suo meglio lo ha già dato altrove.
“All’inizio le cose andarono abbastanza bene, poi iniziarono i problemi. Arrivò Terim che non mi vedeva, non mi reputava utile, e poi il club andò in bancarotta. Diciamo che mi ero immaginato in maniera diversa la mia esperienza italiana. Io ero andato a Firenze con tutta la voglia di far bene”.
In viola Mijatovic segnerà appena quattro reti in quarantadue partite di campionato giocate in tre anni, nove in sessantadue gare se si considerano tutte le competizioni.
Nonostante di lui a Firenze si sia vista solo l’ombra dell’attaccante ammirato a Madrid, riuscirà comunque a vincere una Coppa Italia nel 2002 (ad oggi l’ultimo trofeo messo in bacheca dalla Fiorentina) e a guadagnarsi un posto speciale nel cuore di tutti i tifosi gigliati.
Lui, d’altro canto, il goal per diventare un idolo dalle parti di Firenze l’aveva già segnato in quella notte di Amsterdam del 1998 e poco importa se con un’altra maglia. Piegando la Juve in finale di Champions si era già guadagnato il rispetto eterno e questo il ‘Franchi’ glielo ha ricordato ininterrottamente per tre anni.
“Era un mercoledì… segnasti in Champions League… Noi ti amiamo da lì… Predrag Mijatovic!”
