"Prima regola del Fight Club: non parlate mai del Fight Club. Seconda regola del Fight Club: non dovete parlare mai del Fight Club" (dal film 'Fight Club' di David Fincher, 1999)
Il 22 ottobre del 1969, le regole del Fight Club della Bombonera vengono completamente disattese. Tutti vedono, tutti ne parlano. Lo scandalo è gigantesco, mondiale. È una partita di calcio, in teoria: finirà per essere ricordata come un incontro illegale di combattimento. Tra vendette, botte, sangue, svenimenti e una caccia all'uomo durata 90 minuti. Il Milan di Nereo Rocco da una parte, l' Estudiantes di Osvaldo Zubeldia dall'altra. I campioni d'Europa contro i campioni del Sudamerica, il pallone dei ricchi contro quello di chi cerca disperatamente di salire sul treno messo a disposizione del destino. Spesso con ogni mezzo.
L'hanno sempre chiamata “la coppa insanguinata”, perché in effetti di sangue quella sera ne scorre un bel po'. Soprattutto sui volti e sui corpi dei calciatori del Milan. Eppure non dovrebbe essere così. Perché la squadra di Rocco ha vinto agevolmente l'andata a San Siro, un 3-0 che ammette poche repliche e sembra far filar liscio come l'olio ogni discorso. Due settimane prima hanno segnato Sormani, Combin e ancora Sormani. Un dominio piuttosto netto. Il ritorno si gioca alla Bombonera, palcoscenico più prestigioso rispetto all'impianto dell'Estudiantes. Eppure, che qualcosa non vada come dovrebbe è immediatamente intuibile: nel tunnel che porta al campo, i giocatori argentini urlano in faccia a quelli italiani il proprio disprezzo. A Milano Combin aveva già perso un dente per un colpo di un avversario. Prime avvisaglie di quel che accadrà nelle due ore seguenti.
“Gli argentini cominciarono ad intimidirci già a Milano – ha ricordato all'Avvenire Angelo Benedicto Sormani, uno dei protagonisti di quel Milan – Negli spogliatoi della Bombonera avvertimmo un clima pesante. Rocco ci aveva preparati al peggio. Il 3-0 dell’andata, dove firmai una doppietta, ci diede forza ma sapevamo di dover affrontare una battaglia. All’uscita dagli spogliatoi ci trovammo senza protezione e dalle tribune arrivò addosso a Lodetti caffè bollente. Mentre eravamo schierati a centrocampo per la foto, i giocatori dell’Estudiantes entrarono con undici palloni che ci scagliarono contro”.
Il clima è pesante. L'Estudiantes inizia con le proprie intimidazioni. Fatte di provocazioni verbali e colpi proibiti. Al 18', proprio mentre gli argentini sfiorano il vantaggio, Pierino Prati rimane a terra per diversi secondi nei pressi del centrocampo. L'arbitro, il cileno Domingo Massaro, ferma il gioco e corre verso l'attaccante milanista. Ma dalla parte opposta arriva anche Alberto José Poletti, il portiere di casa. Che si avvicina per protestare, viene allontanato una prima volta da Massaro, ci riprova, viene nuovamente respinto, e poi, quando il direttore di gara si allontana, rifila un calcetto a tradimento sulla schiena dell'avversario.
Al 30' il Milan passa: Rivera intercetta un pallone nella metà campo di casa, lo scambia con Combin, aggira il portiere e mette dentro a porta vuota. I rossoneri, in maglia bianca, hanno però il torto di festeggiare nell'area dell'esagitato Poletti, che ancora una volta cerca esplicitamente la rissa. Da quel momento in poi, ogni minimo argine si rompe. La diga della rabbia argentina tracima completamente e a farne le spese sono un po' tutti. Pochi minuti dopo, Prati rimane nuovamente a terra. E questa volta deve abbandonare il campo.
Nonostante debba segnare la bellezza di quattro volte per portare la sfida alla “bella”, già sperimentata dal Milan qualche anno prima contro il Santos (ma allora bastava vincere una partita a testa con qualsiasi risultato), l'Estudiantes continua a riversare sul campo la propria ferocia. Ogni pretesto è buono per provocare. A un certo punto, pure il telecronista della televisione argentina che trasmette il match esplode: “Il responsabile di tutto questo è il señor Massaro. Non c'è nessun dubbio”. E poi: “L'arbitro non fa che guardare”. Però, quando Anquilletti rimane a terra dopo un contrasto aereo ai limiti del lecito, parla di “teatro puro”.
Nel frattempo, in un ambiente sempre più simile a una pentola a pressione, la gara si riapre a sorpresa: al 43' pareggia Conigliaro con un colpo di testa ravvicinato, e pochi secondi più tardi è Aguirre Suarez a portare in vantaggio il Pincha con un tiro al volo. 2-1 e impresa che improvvisamente diventa fattibile. La Bombonera si infiamma, ci crede, diventa una bolgia. E in campo le tensioni non scemano. Rischia di scoppiare una scaramuccia anche al rientro negli spogliatoi per l'intervallo, sedata a fatica dall'arbitro Massaro. E nella ripresa Cudicini rischia la papera, salvandosi in due tempi su una botta da fuori di Juan Ramón Verón, il papà della Brujita di Sampdoria, Parma, Lazio e Inter.
Man mano che passano i minuti, però, l'Estudiantes si rende conto che il sogno sta svanendo. La squadra di Zubeldia non va oltre qualche mischia nell'area milanista, senza più spaventare Cudicini. E perde definitivamente il controllo dei nervi. A poco meno di mezz'ora dalla fine Aguirre Suarez interviene a palla lontana su Combin, dando vita all'ennesima mischia e inducendo finalmente Massaro, dopo un'interruzione di un paio di minuti buoni, a estrarre il cartellino rosso. Il centrocampista degli argentini esce dal campo col braccio rivolto al cielo e il pugno stretto, aizzando ulteriormente la folla. Tra un attentato a Rivera e uno a Lodetti, medesima sorte tocca a Manera per un colpo a Rivera, ancora una volta a palla lontana.
GoogleQuando il señor Massaro fischia la fine dell'incontro, il Milan pensa di essere finalmente uscito dall'incubo. Ma non sa che l'incubo vero deve ancora iniziare. Mentre stanno festeggiando in mezzo al campo la conquista della prima Coppa Intercontinentale della storia rossonera, intanto, Rivera e compagni vengono nuovamente presi d'assalto dagli avversari. Tra calcioni e sputi, la guerra prosegue negli spogliatoi. Interviene la Polizia, che sferra manganellate qua e là. E a farne le spese più di tutti è Nestor Combin. Che la partita non l'ha completata, essendo uscito in barella, sanguinante al volto, per quel famoso colpo di Aguirre Suarez. Ma è e resta proprio lui, già preso di mira all'andata, il vero obiettivo della furia dell'Estudiantes.
Combin è nato in Argentina, ma a 10 anni si è trasferito assieme alla famiglia in Francia. Le giovanili del Lione, poi la prima squadra, poi l'Italia. La Juventus, il Torino, l'amicizia con Gigi Meroni, quindi il Milan dal '69. In patria non gli hanno mai perdonato quella “fuga”. Lo chiamano “disertore”, lo accusano di non aver svolto il servizio militare. In campo gliene hanno fatte di ogni colore. E mentre si sta lentamente riprendendo dalle botte subite durante la partita, viene prelevato di forza da alcuni personaggi e portato in carcere.
“Quattro o sei uomini lo affiancavano mentre camminava parlando con Rocco – è il racconto dell'epoca de 'La Stampa' – e di peso lo portavano via infilandolo in una vettura verde che partiva di gran carriera rischiando di travolgere anche un accompagnatore milanista. Di Combin si perdevano le tracce per oltre un'ora, poi lo si scopriva in un commissariato di polizia, dal quale era immediatamente trasferito nella caserma di un reparto militare. Probabilmente tutti avevano perso la testa in quel momento poiché al giocatore veniva addirittura negato il ricovero in infermeria, malgrado le lesioni riportate sul campo. Le ore trascorrevano senza che nessuno sì decidesse a risolvere la situazione, che aveva come pretesto la supposta renitenza alla leva di Combin”.
Inutili le vibranti proteste di Franco Carraro, presidente del Milan. E inutili i tentativi di mediazione. Deve intervenire addirittura il Presidente dell'Argentina, il dittatore Juan Carlos Ongania, asceso al potere tre anni prima tramite un colpo di stato. Un anno prima, dopo una semifinale di Copa Libertadores all'ultimo sangue tra il Racing e il solito Estudiantes, ha emanato un "Edicto de Reuniones Deportivas" che prevede il carcere per chi si renda protagonista di azioni violente nello sport. Ongania emette così un comunicato ufficiale in cui condanna fermamente il comportamento dei giocatori argentini e fa scarcerare Combin, che finalmente riesce a provare di aver svolto il servizio militare in Francia. La Polizia arresta a turno Poletti, Aguirre Suarez e Manera, che rimarranno per un mese in carcere.
“Appena sono entrato in campo – racconta il giorno dopo Combin, come riporta 'La Stampa' – hanno cominciato a sputarmi addosso, poi calci da tutte le parti, soprattutto quando avevo la palla. Aguirre Suarez è venuto spesso a insultarmi, avvisandomi che mi avrebbe spaccato una gamba. Per me erano drogati, altrimenti non si spiega la cattiveria, la premeditazione. C’è da vergognarsi a essere argentini. Se non fosse intervenuto il Presidente, sarei a Buenos Aires con una divisa militare addosso”.
Ma anche le ore successive sono caratterizzate da tensione pura. In Italia si sparge la voce che Prati, costretto ad abbandonare il campo in barella per i colpi subiti, sia morto durante il volo di ritorno per le conseguenze di un trauma cranico. Ad attendere la squadra alla Malpensa ci sono giornalisti e anche la moglie di Pierino, che appena vede il marito corre ad abbracciarlo.
“Ho ricevuto il primo calcio ancor prima che iniziasse la partita – racconta l'attaccante ai reporter – Mi è passato vicino un avversario, non ricordo bene chi, e mi ha tirato allo stinco. Poi, ogni parte del mio corpo è stata colpita. I fianchi, le gambe e la botta in testa. Ad un certo punto ne ho prese così tante che sono svenuto. Dico mestamente che non ricordo più nulla. Mi sono ripreso negli spogliatoi. Questa vittoria ci è costata troppo cara. Non è stata una partita di calcio, ma una battaglia”.
I club europei non sono più disposti ad accettare simili rischi. Già dopo la gara d'andata, Nereo Rocco aveva avvertito: “Contro gente così c'era il rischio di rovinarsi la carriera”. Il presidente Carraro, invece, annuncia: se si fosse disputato uno spareggio per decidere il vincitore della Coppa Intercontinentale, il Milan non si sarebbe presentato.
“Confermo che se avessimo dovuto ricorrere alla terza partita, come "bella", molto probabilmente non avrei fatto giocare la squadra. È un massacro inutile. Non dimentichiamo che, oltre un patrimonio della società, questi sono tutti padri di famiglia. Non possiamo mandarli così allo sbaraglio per una partita di calcio, per importante che possa essere. I giocatori dell'Estudiantes erano undici fanatici”.
Quattro giorni dopo Natale, lo stesso Carraro e il presidente dell'Estudiantes, Mariano Mangano, che peraltro morirà un anno più tardi, vengono messi in collegamento dalla Rai e siglano la pace. “Tutto dimenticato – dice il futuro numero uno della FIGC – Propongo un'amichevole tra le nostre squadre per suggellare la nostra ritrovata armonia”. Chi non ci casca è il resto dell'Europa. Nelle edizioni seguenti rinunceranno a battersi sia l'Ajax che il Bayern, timorosi di altre rappresaglie. Fino alla nascita della Toyota Cup, l'Intercontinentale in versione giapponese.