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Gigi Meroni, la farfalla granata che chiuse troppo presto le sue ali

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"Dio scelse il migliore, ma ci portò via l'anima, il più forte, il calciatore che ci avrebbe fatto diventare grandi" - Aldo Agroppi, 'Sky Sport'.

Domenica 15 ottobre 1967. Il Torino di Edmondo Fabbri ha appena travolto al Filadelfia la Sampdoria di Fulvio Bernardini per 4-2, con una tripletta di Combin e una rete di Giambattista Moschino. Ma fra i grandi protagonisti della gara c'è anche Gigi Meroni. L'ala destra granata ha fatto ammattire con le sue discese la retroguardia blucerchiata, dando un apporto decisivo alla squadra per il successo finale.

In quella gara debutta in Serie A Aldo Agroppi, e Combin rivela tutto il suo potenziale offensivo. Uscendo dal campo, il franco-argentino è preoccupato perché avrebbe preferito tenersene qualcuno per la gara successiva, il derby contro la Juventus. Ma Meroni lo tranquillizza: "Tranquillo - gli dice - al derby ne farai altri tre".  Al fischio finale il pubblico tributa alla squadra e al suo idolo scroscianti applausi per il gioco e lo spettacolo espressi. Gigi però, con un oscuro presagio, lascia il campo pensieroso.

Non era quello un Torino con ambizioni d'alta classifica: proprio Meroni, per il quale qualche settimana prima il presidente Orfeo Pianelli aveva rifiutato dopo aver vacillato un'offerta monstre della Juventus da 750 milioni di Lire, era a soli 24 anni l'incontrastato fuoriclasse in un gruppo di giovani di talento che puntava a far bene e a crescere nel tempo. La lotta Scudetto era riservata alle big, con la Grande Inter in pole e la Juventus e il Milan a giocarsi le loro chance.

I 2 punti contro la Sampdoria avevano in ogni caso ridato ossigeno alla classifica dei granata, partiti a rilento con un k.o. esterno con il Vicenza, seguito da un successo casalingo sul Brescia (con rete dal dischetto di Meroni) e un pareggio fuori casa con la Fiorentina. Dopo la cena di squadra, il tecnico Fabbri decide allora di concedere la sera libera ai suoi ragazzi, che avevano dimostrato il loro impegno sul campo. 

È una fredda sera d'autunno nel capoluogo piemontese e Meroni, salutato il resto della comitiva, in compagnia del suo inseparabile amico Fabrizio Poletti si dirige verso casa sua, la mansarda di Piazza Vittorio, pensando di trovarci la sua compagna, Cristiana.

Cristiana però non è ancora rientrata: è andata in casa di amici convinta che, come accadeva sempre, anche quella sera Gigi stesse in ritiro con la squadra. Il calciatore si rende conto di non avere con sé le chiavi, né riesce ad averle in portineria. 

 "Fabrizio, ho dimenticato le chiavi, - dice a Poletti - devo trovare un telefono e chiamare Cristiana. Sono sicuro che le avrà lei, deve essersi dimenticata di lasciarle in portineria".

"Allora andiamo al Bar Zambon, che è aperto, così la chiami da lì", suggerisce il difensore del Torino.

I due calciatori granata raggiungono il bar e Gigi chiama a casa degli amici dove si trova Cristiana, che si avvia così verso casa. Sono circa le 21.30 quando Meroni e Poletti lasciano il bar e attraversano Corso Re Umberto all'altezza del civico 46. In quel tratto di strada non ci sono strisce pedonali e in quel momento c'è molto traffico. Quando i due calciatori si trovano a metà carreggiata accade l'imponderabile.

Mentre attendono il momento buono per arrivare dall'altra parte della strada, ecco che dalla destra vedono un'auto sopraggiungere a grande velocità. Così, spaventati, fanno un passo indietro. Ma proprio in quell'istante dal lato opposto, quello sinistro, sopraggiunge un altra auto, una FIAT 124 Coupé, che condotta da uno studente diciannovenne neopatentato, Attilio Romero, urta di striscio Poletti e colpisce Meroni alla gamba sinistra. Per l'impatto violento, il corpo dell'ala granata è sbalzato in aria e scaraventato nell'altra corsia.

Qui una Lancia Appia guidata da un professionista milanese, Guido Zaccaria, non può evitarlo e lo travolge in pieno, trascinandolo per 50 metri. Se Poletti è illeso, le condizioni di Meroni si rivelano subito disperate e il calciatore del Torino è ricoverato d'urgenza all'Ospedale Mauriziano.  A portarlo al nosocomio è un passante, dato che l'ambulanza è rimasta imbottigliata nel traffico dopo la partita.

Gigi ha riportato la frattura dei due femori e del bacino e lo sfondamento del torace. La sua vita è appesa a un filo. Al Pronto Soccorso dell'Ospedale Mauriziano c'è la sua Cristiana con l'amico Poletti. I medici, nel tentativo disperato di salvarlo, gli praticano una tracheotomia, ma alle 22.40, senza che il calciatore abbia ripreso conoscenza, e mentre si prepara un disperato intervento chirurgico, Meroni cessa di vivere.

Un medico esce dalla sala operatoria in silenzio. Visibilmente provato, non riesce a parlare, ma quando allarga le braccia tutti capiscono che Meroni è morto. Cristiana è sconvolta e lancia un urlo agghiacciante. A soli 24 anni, 'La farfalla granata', nella stagione che doveva consacrarlo come fuoriclasse assoluto del calcio italiano, ha chiuso per sempre le sue ali. 

Gigi MeroniGetty Images

Diciotto anni dopo Superga, il popolo granata viveva un'altra incredibile tragedia. Tutti sono provati e increduli di fronte a quanto successo al 'George Best di Como'.

"Da Superga, a Meroni, a Ferrini - scriverà il giornalista e scrittore Giovanni Arpino - la storia del Torino obbedisce a un copione drammatico. Di rappresentazione in rappresentazione, società, tifosi, giocatori si sono cuciti addosso una divisa mentale ormai indelebile come la maglia granata: è più importante soffrire che non vincere".

Legati alla tragedia, ci sono poi particolari inquietanti. Colui che lo aveva investito, per un tragico scherzo del destino, era un tifoso granata e un suo grande fan, e 33 anni più tardi, nel 2000, sarebbe diventato presidente del Torino e lo avrebbe condotto al fallimento. Abitava inoltre a soli 13 civici di distanza dal campione comasco.

"La mia camera era tappezzata di sue immagini. - ha raccontato di recente Romero a 'Tuttosport' - E anche nella mia auto avevo una sua foto, appiccicata a uno dei finestrini posteriori... Ero andato a prendere in macchina un amico. Si chiamava Giorgio, era il figlio del giudice Mortarino. Che poi avrebbe seguito la carriera del padre. Al telefono mi aveva detto che voleva venire da me coi mezzi pubblici. Gli risposi: mannò, dai, ti vengo a prendere io con l’auto. Avevo la patente da poco meno di un anno e mezzo. Insomma, stiamo tornando insieme verso casa mia. Ancora oggi vivo tra quelle mura. A 200 metri dalla tragedia. E lì, sul corso, supero una macchina, ma senza invadere la corsia opposta".

"Vidi quei due pedoni in mezzo al corso, e pensai che ci fosse lo spazio sufficiente per passare. E c’era, in teoria. Fu, quella, la mia tragica, colpevole leggerezza. Avrei dovuto temere il peggio, l’imponderabile, e rallentare, spostarmi a destra. Ma mi fidai della... situazione. Poi successe l’imprevisto. Meroni vide un’auto venire in senso opposto rispetto alla mia, si preoccupò e fece un passo indietro. Quel terribile passo indietro, proprio mentre stavo arrivando io. Andavo tra i 40 e i 50 all’ora, credo. E lo colpii, fu inevitabile. Fu sbalzato in aria, cadde a terra nell’altra corsia e fu travolto da una Lancia Appia. Praticamente illeso, invece, Poletti. Accosto subito. È a terra, agonizzante. Lo riconosco. Arriva gente. Sento le urla: "È Meroni!”. Più tardi correrò a casa dai miei genitori, totalmente sconvolto".

L'investitore, dopo essersi fermato a bordo strada, si presenta spontaneamente alla polizia, dove è interrogato fino a tarda sera, prima di essere rilasciato. Quella tragedia lo segnerà per sempre.

"Ci fu l'inchiesta. Non ricordo esattamente le percentuali di colpa. - ricorda Romero - Ovviamente io di più, il 60 o 70%. Il resto Meroni. Mi sospesero la patente, mi diedero 6 mesi e la condizionale. Non andai dallo psicologo, me la sono vista da solo. Dato il suo lavoro, anche mio padre (primario di Neuropsichiatria al Mauriziano, ndr) mi aiutò. Ma devi venirne fuori da solo, da cose così. Ogni giorno passo davanti al cippo che lo ricorda sul luogo della tragedia". 

La Diocesi di Torino si oppone alla celebrazione dei funerali religiosi, perché Meroni aveva convissuto per due anni con una donna sposata (Cristiana aveva appena ottenuto in estate l'annullamento del suo matrimonio dalla Sacra Rota) ed era considerato dalla Chiesa bacchettona e intransigente di quegli anni come un cattivo esempio. Poco importava se quella donna fosse l'unico amore della sua vita. Così Don Fernando, il cappellano della squadra, sostenuto da tutto il mondo del calcio, tira dritto e le esequie del campione si svolgono con rito religioso martedì 17 ottobre 1967 a Como, davanti a una folla di più di 20 mila persone, accorsa a rendergli l'ultimo saluto.

Il mondo del calcio e i tifosi per una volta lasciano da parte le divisioni e si uniscono compatti per rendere omaggio a Meroni. Il feretro, portato in spalla dai compagni di squadra del Torino, dopo il passaggio da Viale Giulio Cesare, raggiunge la chiesa di San Bartolomeo per la funzione funebre. Poi, vista la grande partecipazione popolare, la bara è esposta la centro del suo campetto dell'oratorio di San Bartolomeo, dove Gigi aveva mosso i primi passi da calciatore. Da San Bartolomeo il corteo si sposta quindi al Cimitero Monumentale, dove Gigi è sepolto nella tomba di famiglia. 

La domenica seguente, il 22 ottobre del 1967, c'è il derby della Mole al Comunale. Una sfida, quella stracittadina con la Juventus, che Meroni non era mai riuscito a vincere. In un'atmosfera surreale di grande dolore, il pubblico rende omaggio al campione tragicamente scomparso nel minuto di silenzio che precede il calcio d'inizio, mentre un elicottero sparge fiori sopra lo stadio. In campo i giocatori del Torino, con il cuore ancora pieno di lacrime, sono letteralmente scatenati, e travolgono per 4-0 i bianconeri in una partita che resterà negli annali.

Combin ha la febbre, ma nonostante questo vuole esserci. E come l'amico Meroni gli aveva pronosticato prima dell'incidente, segna di nuovo una tripletta, la seconda consecutiva. Quando Carelli, che gioca con il numero 7 di Meroni, firma il poker finale al termine di una travolgente azione, e nell'esultanza, commosso, alza la palla al cielo, a molti, compagni inclusi, sembra di rivedere in campo Gigi.

"Secondo me quel quarto goal è stato un qualcosa di divino, venuto dal cielo. - sostiene Agroppi -  Forse a Carelli l'ha spinto Meroni, per chiudere la partita. Io ci credo a queste cose".

Di certo al Torino non succederà mai più di vincere il derby con 4 goal di scarto. Mentre la città piange ancora il suo eroe dalla storia granata emerge un'altra inquietante coincidenza. Nella lapide di Superga qualcuno nota anche la scritta 'Meroni P. L'. Pierluigi Meroni era infatti il nome di uno dei piloti dell'aereo che riportava il Grande Torino in Italia. Poco mesi dopo il dramma, inoltre, il destino riserva un ulteriore dramma ai famigliari: un folle profana infatti la tomba del calciatore, e ne viola la salma, per poi consegnarsi alla polizia e dire di averlo fatto perché non credeva.

Ma la memoria del calciatore e dell'uomo sarebbe rimasta per sempre indelebile nel cuore di chi lo ha conosciuto e nella cultura popolare e sportiva. Sulla sua storia scriveranno libri (su tutti 'La Farfalla granata' di Nando Dalla Chiesa) e comporranno canzoni, come 'Chi si ricorda di Gigi Meroni?' degli Yo Yo Mundi. Negli scorsi anni la Rai ha anche realizzato una fiction.

Gigi era nato a Como il 24 febbraio 1943. Orfano di padre dall'età di 2 anni, era stato cresciuto da mamma Rosa, che faceva la tessitrice, assieme ai suoi fratelli Celestino e Maria. Ancora giovanissimo, si innamora del pallone giocando nel cortile di casa con suo fratello, poi, sempre con Celestino, cresce nel piccolo campetto dell' Oratorio di San Bartolomeo, nella sua città.

Il ragazzo ha talento, è veloce e ha una facilità di dribbling impressionante. Così lo nota l'Inter, che prova a prenderlo a 15 anni nel 1968. Mamma Rosa però non se la sente di mandarlo da solo agli allenamenti in provincia di Milano. Così due anni più tardi Gigi entra nelle Giovanili del Como. Assieme alla passione per il calcio, ne coltiva una altrettanto forte per l'arte e la moda: per aiutare economicamente la famiglia, inizia a lavorare come schizzista di cravatte di seta e nel tempo libero dipinge. 

Cresce con un amore spasmodico per la libertà in tutte le sue forme, ha un carattere timido e molto dolce e detesta il bigottismo e gli integralismi di qualunque forma. Calcisticamente il suo idolo è Omar Sivori, che ricorda nella genialità delle giocate, per la classe innata e l'abilità nel dribbling. Proprio quest'ultimo è il marchio di fabbrica di Meroni: quando si trova di fronte un avversario, lui lo salta con una naturalezza e una purezza tecnica tale da sembrare una farfalla in volo. 

Con i lariani debutta in Serie B il 14 maggio 1961 e l'anno seguente fa vedere le sue grandi qualità, totalizzando 25 presenze e 3 goal. Su di lui punta il Genoa, che decide di prenderlo e portarlo in Serie A. Gli inizi però per il comasco non sono semplici: Gigi, con mister Renato Gei, è spesso relegato in panchina e deve lavorare duro per rafforzare il suo fisico gracile e crescere nel gioco di squadra. Ma ha comunque modo di ritagliarsi i suoi spazi e fa il suo esordio in Serie A a 19 anni il 1° novembre 1962 (Genoa-Inter 1-3), mentre il 5 maggio del 1963 sigla la prima rete in campionato, che è anche il goal decisivo per la salvezza della squadra nello scontro diretto con il Vicenza.

Quando alla guida del Grifone arriva Benjamin Santos, Meroni fa il balzo decisivo, affermandosi come grande talento del calcio italiano. In due stagioni sotto la Lanterna totalizza 42 presenze e 7 goal, entra nel cuore dei tifosi rossoblù e conquista un po' tutti con il suo anticonformismo e il suo look anarchico che fa sobbalzare dalla sedia i suoi critici, non pochi, in un Paese non ancora pronto ad accettare la diversità. Il comasco porta infatti i capelli lunghi, talvolta anche i basettoni con la barba, e indossa abiti originali, da lui stesso disegnati e realizzati da un sarto di fiducia.

A Genova, soprattutto, Gigi conosce Cristiana Uderstadt, bellissima ragazza nata in Polonia da padre tedesco e madre italiana, che gestisce un tiro a segno nel Luna Park cittadino. 19 anni lui, 18 lei, fra i due nasce subito un grande amore. Ma non è una storia semplice: la famiglia di lei, infatti, le impone di frequentare Luigi Petrini, un regista allievo di Fellini, e non vede di buon occhio il calciatore.

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Grazie alla classe di Meroni il Genoa chiude con un brillante 8° posto il campionato 1963/64 e vince per la seconda volta la Coppa delle Alpi. Le prestazioni di altissimo livello portano l'ala destra alla convocazione in Nazionale B. Nell'estate 1964 si concretizza sul calciomercato il clamoroso passaggio al Torino, che lo strappa ai liguri per 300 milioni di Lire.

Il tecnico Santos, appresa la notizia, rientra di fretta e furia delle vacanze, ma si schianta in auto contro un albero e perde la vita. Meroni approda dunque al Torino di Orfeo Pianelli e del grande Nereo Rocco, sotto la cui gestione cresce ulteriormente sul piano calcistico.

Intanto, però, la storia d'amore con Cristiana sembra sfumare definitivamente. Meroni assiste impotente alle nozze di lei con il regista e va a vivere in una mansarda nella centralissima Piazza Vittorio. Il calciatore arreda il locale in stile Bohémien, coprendo i muri di manifesti e quadri, e continua a dedicarsi alla sua arte, ma rifiuta di esporre le sue opere. Passeggia per i portici di Torino portando al guinzaglio un'inseparabile gallina, disegna e fa realizzare pantaloni a zampa d’elefante, giacche quadrettate, cappelli di tutte le fogge e porta occhiali da sole calati sul naso anche di sera. Acquista una vecchia Balilla, che trasforma in un gioiello d'auto d'epoca.

"Se tutti portano a spasso il cane, - dice - perché io non posso portare al guinzaglio la mia gallina?".

I critici ci vanno giù pesante, e, nonostante prestazioni sempre più importanti, sostengono che uno così non sia degno di indossare la maglia della Nazionale. Nel frattempo Cristiana non si è mai dimenticata di lui, e dopo appena 2 mesi torna per stare per sempre con il suo Gigi, ponendo fine di fatto al matrimonio. Il calciatore e la sua compagna fanno richiesta di annullamento alla Sacra Rota, e intanto si amano e convivono a Torino sotto lo stesso tetto.

"Con Gigi era come vivere un sogno, - dirà Cristiana - in un altro mondo. Tutto molto bello".

In un periodo in cui ancora non esiste il divorzio, le critiche verso Meroni diventano ancor più feroci. L'Italia perbenista e bigotta gli appiccica l'etichetta di 'rivoluzionario'. Rocco ha un rapporto diretto con lui: conosce la situazione, ma lo capisce e lo protegge. Anche quando i giornalisti vorrebbero che si tagliasse i capelli per andare in Nazionale, il 'Paròn' replica:

"Meroni è come Sansone, se gli tagliassero i capelli non saprebbe più giocare".

Pur di vestire la maglia azzurra Gigi accetta di tagliarsi i capelli. Fa il suo, anche se viene spesso utilizzato sulla fascia sinistra a piede invertito. Sul look mette poi le cose in chiaro con il Ct. Fabbri, che un anno dopo si sarebbe ritrovato al Torino: 'Mondino' deve accettarlo com'è. Il rapporto con il Commissario tecnico resta comunque tribolato. Meroni è convocato per i Mondiali del 1966 in Inghilterra ma come titolare gli viene preferito il bolognese Perani: gioca soltanto la seconda gara persa contro l'U.R.S.S. (1-0) e assiste impotente dalla panchina alla disastrosa sconfitta contro la Corea del Nord. 

Il suo apporto alla Nazionale termina lì, con 6 presenze e 2 reti, perché non viene più convocato. Continua invece la sua crescita con la maglia numero 7 del Torino, di cui diventa presta un'icona. Dopo aver fatto 5 e 7 goal nei primi due anni in granata, ne realizza 9 nella sua stagione d'oro, il 1966/67. Il più bello lo firma contro la Grande Inter al Meazza di Milano il 12 marzo 1967: una parabola sorprendente ad effetto che beffa il suo marcatore, Facchetti, e il portiere Sarti, per il provvisorio 1-0 granata. Il Torino vince 2-1 e pone fine all'imbattibilità dei nerazzurri, che durava da 3 anni.

Nell'estate del 1967 oltre al mancato passaggio alla Juventus si registra la gioia personale dell'annullamento del matrimonio di Cristiana. Meroni sogna una vita con la sua amata e di dedicarsi completamente alla pittura e alla moda quando non giocherà più. I due innamorati programmano le nozze nel mese di dicembre, ma purtroppo quel matrimonio non si celebrerà mai. Quel terribile incidente porterà via per sempre a Cristiana l'uomo della sua vita e al calcio italiano un campione unico.

Dal 2007 sul luogo della tragedia sorge anche un monumento commemorativo dove non mancano mai i fiori. Il ricordo della 'Farfalla granata' ancora oggi continua a vivere nel cuore di coloro che, nonostante tutto, credono nei sogni.

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