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Nicola Caricola New York MetrostarsGetty

I New York Metrostars e la 'Maledizione di Caricola', il primo italiano in MLS

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Riuscire a portare il calcio negli USA è stato per decenni uno degli obiettivi più importanti in assoluto della FIFA. Erano infatti in molti a pensare che fosse incredibile che lo sport più popolare del pianeta non riuscisse ad attecchire proprio lì dove, dal punto di vista del marketing e del mercato televisivo, avrebbe potuto fare meglio in assoluto.

Gli Stati Uniti venivano visti come una sorta di potenziale miniera d’oro da sfruttare e valorizzare, così come era già riuscito al football, al basket, al baseball e più in generale a quegli sport che proprio nel Nordamerica macinavano milioni di dollari ogni anno.

Al fine di riuscire a penetrare in un mercato praticamente inesplorato, nel 1975 si decise di mandare in ‘avanscoperta’ (decisivo fu il lavoro sottotraccia del presidente della FIFA João Havelange, ma anche quello di potenti politici americani) quello che allora era ritenuto essere senza il minimo dubbio il più forte giocatore di ogni tempo: Pelé.

‘O Rey’ era un fuoriclasse assoluto, ma anche una delle prime vere icone dello sport, un personaggio ‘globale’ che portando il suo ‘verbo’ negli USA avrebbe dovuto promuovere come nessun altro il soccer. Il tutto a fronte di un contratto da 4,5 milioni di dollari per tre anni. Una cifra che la Warner Comunications, ovvero la società proprietaria dei New York Cosmos, sborsò senza troppi problemi, ma che allora venne vista come un qualcosa al di fuori di ogni parametro.

Presto Pelé venne successivamente raggiunto dai vari Chinaglia, Beckenbauer, Carlos Alberto, Neeskens, Best, Cruyff, Banks e Cubillas, solo per citarne alcuni, ma nemmeno questa straordinaria collezione di stelle (in molti casi cadenti), bastò per far avere successo al calcio in quello che ormai sembrava un mondo impenetrabile.

Quando la North American Soccer League, ovvero il primo vero tentativo di proporre una visione professionistica del soccer negli Stati Uniti, fallì nel 1984, la cosa non sorprese più di tanto. Tuttavia gettare la spugna non rappresentava un’opzione contemplata.

Così, quando quattro anni più tardi, nel 1988, vennero assegnati i Campionati del Mondo agli USA, lo si fece con un chiaro scopo: riprovarci. Per la prima volta i Mondiali si sarebbero giocati al di fuori dell’Europa Occidentale e dell’America Latina, ma tra le condizioni poste per la FIFA per l’assegnazione del massimo evento sportivo in assoluto c’era anche quella di dover creare negli Stati Uniti un nuovo campionato nazionale professionistico.

Fu così che parallelamente all’organizzazione di USA ’94 venne pensata e creata quella che poi sarebbe diventata la Major League Soccer. Il nuovo torneo, la cui prima edizione si sarebbe disputata nel 1996, avrebbe dovuto sfruttare l’onda lunga dei Mondiali, attirare altri campioni e soprattutto creare milioni di nuovi appassionati.

La MLS venne fin da subito vista come una grande occasione per molti, anche per chi aveva ormai poco da chiedere alla propria carriera lì dove il calcio già contava. Gli Stati Uniti rappresentavano la possibilità di strappare buoni contratti, di giocare in un ambiente dove il tutto era vissuto come una festa e senza tensioni, ma anche di cambiare vita.

Tra i primi ad intravvedere nel soccer una chance importante ci fu anche Nicola Caricola. Era cresciuto nel Bari e nel 1983 si era guadagnato l’approdo alla Juventus dove, pur senza diventare mai uno degli uomini di punta della squadra, in quattro stagioni si era tolto la soddisfazione di vincere due Scudetti, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea ed una Coppa Campioni. Chiusa l’avventura in bianconero si era poi trasferito al Genoa, dove dal 1987 al 1994 si era meritato lo status di bandiera rossoblù, prima di una brevissima parentesi al Torino e di un successivo ritorno all’ombra della Lanterna.

Un giocatore quindi dalla carriera importante fatta di tanta Serie A, un difensore affidabile che, a 32 anni, si ritrovava servita su un piatto d’argento l’occasione di tornare ad essere grande protagonista.

A puntare su di lui, prendendolo come prima scelta al primo giro del Supplemental Draft, furono i New York (o New Jersey) Metrostars, ovvero la squadra che a detta di molti aveva tutte le carte in regola per dominare il campionato. Era infatti guidata da Eddie Firmani, ex bomber italo-sudafricano che da giocatore aveva militato (e segnato molto) anche con le maglie di Sampdoria, Inter e Genoa, ma che soprattutto da allenatore aveva guidato i Cosmos di Pelé. Poteva inoltre contare su elementi come Tony Meola (uno dei migliori portieri statunitensi di sempre), Peter Vermes (il primo storico capitano della squadra), Tab Ramos, Giovanni Savarese (centravanti venezuelano semisconosciuto che si rivelerà la stella della squadra e che poi approderà in Italia per vestire le maglie di Perugia e Viterbese) e soprattutto Roberto Donadoni, fuoriclasse italiano che aveva vinto tutto con il Milan e che di lì a poche settimane avrebbe iniziato la sua avventura americana.

Roberto Donadoni Nicola Caricola Metrostars MLSGetty

Gli ingredienti per far bene non mancavano dunque ed il tutto era avvolto da non poco entusiasmo. Si giocava in stadi tirati a lucido per i Mondiali, i grandi sponsor erano attratti dalla cosa, c’era la possibilità di rappresentare in ambito sportivo New York, ovvero una delle città più importanti del mondo, e in molti si sentivano parte di una vera e propria rivoluzione che avrebbe potuto cambiare il volto del calcio stesso.

Il debutto ufficiale dei Metrostars in MLS avviene il 13 aprile 1996. La cornice è di quelle meravigliose, visto che si gioca al Rose Bowl di Pasadena, ovvero l’impianto che ha ospitato la finale di Usa '94 Brasile-Italia, e gli avversari sono i Los Angeles Galaxy.

A confermare la quasi sorprendete ‘voglia di calcio’ esplosa nel frattempo negli Stati Uniti, il fatto che ad assistere dal vivo all’evento accorreranno oltre 69mila spettatori. Numeri da grandi sfide.

La partita non è bellissima, così come non lo saranno la maggior parte di quel primo campionato MLS, dato che le qualità di molti dei protagonisti in campo non erano propriamente eccelse, ma a detta di molti la cosa poteva inizialmente avere un peso relativo, visto che diversi tra coloro che assiepavano gli spalti dei vari stadi nemmeno conoscevano alla perfezione le regole.

I Galaxy passano in vantaggio nel primo tempo con una rete di Cobi Jones e nella ripresa raddoppiano con Arash Noamouz, giocatore iraniano che quattro anni prima aveva partecipato ai Mondiali, ma quelli di futsal. Proprio quel 2-0 rappresenterà il primo episodio non proprio fortunato per Caricola negli USA. Noamouz infatti, appena penetrato in area dalla sinistra, lascia partire un destro che sembra indirizzato nella direzione di Meola, ma una deviazione del difensore italiano fa assumere al pallone una traiettoria strana che lo rende imprendibile. Il goal viene formalmente assegnato a colui che ha calciato, ma di fatto il tocco di Caricola è stato decisivo. La successiva rete di Savarese servirà solo a rendere più interessanti gli ultimi minuti, ma i tre punti resteranno in California.

La settimana successiva i Metrostars tornano in campo questa volta per sfidare i New England Revolution. Al Giants Stadium, quello che è stata anche la casa dei Cosmos di Pelé, accorrono quasi 49mila spettatori, tutti desiderosi di vedere i padroni di casa in azione.

Tra le fila degli ospiti gioca anche un altro italiano volato negli USA per gli ultimi scampoli di carriera, Nanu Galderisi, ma a risultare decisivo sarà il giocatore che lo sostituirà al 78’: tale Darren Sawatzky.

Mancano quindici secondi alla fine dei 90’ che vorranno dire shootout, ovvero una sorta di lotteria dei rigori ma con regole diverse (ogni giocatore partiva a trenta metri dalla porta e aveva a disposizione cinque secondi per battere il portiere avversario), quando il centrocampista americano calcia a rete da posizione defilata, Meola respinge ma la sfera arriva sul destro di Caricola che, nel tentativo di sventare la minaccia, fa partire una sorta di beffardo pallonetto. E’ 0-1 per i New England Revolution e il recupero non è contemplato. I Metrostars perdono la loro seconda partita consecutiva.

Il difensore italiano resta impietrito nell’area piccola e quello che non può sapere è che quella resterà l’autorete più famosa dell’intera storia della MLS.

Nel momento stesso in cui il pallone varcherà la linea di porta infatti, nascerà una leggenda: ‘The Curse of Caricola’, che tradotto in italiano vuol dire ‘La Maledizione di Caricola’.

“Era l’ultimo minuto della prima partita giocata in casa, quindi ero triste e mi sentivo responsabile per il risultato maturato. Fondamentalmente è questo ciò che ho provato”.

Un’autorete come tante si trasformò quindi in un qualcosa di diverso, tanto che da quel momento in poi e per molti anni a seguire, ad ogni evento sfortunato, ad ogni sconfitta immeritata, ad ogni finale persa, ad ogni pallone messo per errore nella propria porta, tutti i tifosi dei Metrostars parleranno della ‘Curse of Caricola’.

Anni dopo, anche Tony Meola parlerà di quel goal e di tutto ciò che ne conseguì.

“La gente continua a parlare della ‘Maledizione di Caricola’. Io non sono d’accordo con tutto ciò, ma è certo che quello fu un momento che chiunque fosse lì ad assistere a quella partita non dimenticherà mai”.

Caricola poi nel corso della stagione avrà in realtà modo di riscattarsi, risultando tra i migliori elementi della squadra, ma la cosa non gli consentirà di scrollarsi di dosso la fama di colui che aveva dato inizio ad un sortilegio, anzi ‘The Curse of Caricola’ sopravviverà anche alla chiusura della sua carriera avvenuta un solo anno dopo nel 1997. In molti attribuiranno infatti proprio a quell’evento ciò che nel 1996 sembrava impossibile: i Metrostars non vinceranno mai nulla nella loro storia.

Altri giocatori importanti vestiranno la maglia della franchigia di New York con il chiaro obiettivo di vincere, gente come Lalas, Matthaus, BrancoTim Howard e Clint Mathis. Tutto inutile, almeno fino al 2013, quando arriverà finalmente il primo titolo.

In realtà a vincerlo non saranno i Metrostars, ma i Red Bulls. Nel frattempo infatti, il club è stato acquistato nel 2006 dalla Red Bull, e rispetto alla squadra originaria non è cambiato solo il nome. I colori sono diversi, lo stadio è diverso (la nuova casa diventerà la Red Bull Arena) e nel frattempo le delusioni sono state talmente tante da far accrescere il mito della ‘maledizione’.

E’ il 2013 quando i Red Bulls, imponendosi con una sola lunghezza di vantaggio nella Eastern Conference, faranno loro la ‘Supporters’ Shield', ovvero il trofeo assegnato alla squadra della Major League Soccer che ottiene il maggior numero di punti nella classifica generale di regular season.

Nel frattempo sono passati 17 anni dall’autorete del Giants Stadium, ma anche il sito della MLS, nel celebrare il primo storico trionfo della compagine di New York, aprirà con due semplici parole: “Curse broken!”, ovvero “La Maledizione è stata spezzata!”.

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