La notte di Tirana è già leggenda. La Roma riscrive la sua storia e aggiunge una pagina importante al grande libro del calcio italiano.
I giallorossi riportano in Italia un trofeo internazionale che mancava dal 2010 a livello di club, ma soprattutto si aggiudicano il primo titolo europeo della loro storia.
L'artefice di tutto questo non può che essere lui: José Mourinho. Lo Special One è riuscito lì dove per quattordici anni nessun altro ce l'aveva fatta.
Dal 2008, anno dell'ultima coppa alzata al cielo dalla Roma, ci hanno provato Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli, Rudi Garcia, Spalletti, Di Francesco e Fonseca. Tutti con lo stesso risultato: zero tituli.
Un refrain nato proprio dall'allenatore portoghese, che ha tormentato le notti insonni di Trigoria ma che quasi per ironia della sorte solo lui è riuscito a interrompere.
Qualche anno fa snobbava l'Europa League, abituato com'era a calcare palcoscenici di primissimo ordine da protagonista principale. Oggi ha capito quanto anche una coppa che qualcuno ha definito "di Serie C" possa avere lo stesso valore di una Champions League.
È stato un percorso complicato, concluso con la massima soddisfazione figlia proprio di certi momenti di difficoltà. Sarebbe facile individuare nel 6-1 di Bodo il punto di svolta, ma la Conference League della Roma è rappresentata da tanti piccoli attimi che ne hanno costellato il cammino.
L'inizio contro il Trabzonspor, poi campione di Turchia, eliminato facilmente ai preliminari. Un girone vinto grazie al suicidio del Bodo con lo Zorya all'ultima giornata, ma anche il passaggio del turno rimediato in extremis contro il Vitesse.
Poi la vendetta sul Bodo, travolto 4-0 dopo la seconda sconfitta stagionale in Norvegia, e il doppio confronto tiratissimo con il Leicester utile ad abbattere il tabù inglese che negli ultimi anni era sempre stato foriero di dispiaceri per la Roma. Infine il trionfo finale firmato Zaniolo.
Uno messo in discussione da Mourinho, che forse non rientra nei piani del club di Trigoria, ma che gli ha regalato la gioia di riaprire una bacheca chiusa e rimasta a prendere polvere per troppo tempo.
La Roma è cresciuta, toccando punti molto bassi ma concludendo al vertice di una competizione che ha voluto portare a casa più di qualsiasi altra cosa al mondo. Anche pregiudicando il cammino in campionato e tenendo aperto fino all'ultimo il discorso qualificazione alla prossima Europa League.
Pellegrini, Mancini, Abraham. Ma anche Kumbulla, Zalewski e Veretout. Tutti hanno beneficiato dell'esperienza del portoghese e si sono rimessi in discussione, attività tutt'altro che facile in una città che tende a coccolare i propri beniamini dopo aver raggiunto il minimo sindacale.
E' la Conference dei sopracitati, ma anche di chi ha dato il suo contributo seppur minimo ma che non ha beneficiato di questo successo. Un esempio su tutti: Borja Mayoral, in goal - e che goal - contro il CSKA Sofia.
E' la Conference in cui prendere 10 goal dal Bodo/Glimt non importa, se alla fine ti ritrovi all'aeroporto di Tirana a dover pagare la sovrattassa sul bagaglio, che pesa ben 15 chili in più rispetto all'andata per colpa di un trofeo che hai appena vinto.
La prima stagione a guida Mourinho termina con la facoltà di potersi finalmente godere un trofeo agognato per quasi tre lustri, ma soprattutto con la consapevolezza di aver imboccato la strada giusta per un percorso di crescita e consacrazione che nel corso del tempo ha assunto sempre più le sembianze di un labirinto senza uscita.
Da Mourinho a Mourinho. Lo Special One ha conquistato in un amen un popolo intero, abbandonatosi in toto alla sua guida capace di riportarlo al successo.
Ma anche il calcio italiano si riscopre dipendente da un personaggio che forse non ha mai amato ma che ha saputo (ri)portare gloria a un movimento che da diversi anni arranca, vittima delle proprie macchinosità e dalla grande paura dell'innovazione.
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