Una grande Italia ai Mondiali femminili. Le azzurre, fresche di qualificazione alla fase successiva con tanto di primato nel girone, stanno facendo sognare un intero paese. Ora, la prova del nove. Che, comunque andrà a finire, non sminuirà l'operato di un movimento in forte ascesa.
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Proprio come confermato da una delle massime esperte del settore, Katia Serra, intervenuta ai microfoni di Goal.
Katia Serra, lei è stata calciatrice e continua a vivere questo sport in prima fila come dirigente dell'Associazione italiana calciatori oltre che da commentatrice per Sky: può fare una fotografia dell'attuale momento del calcio femminile?
"Il Mondiale ha attirato le attenzioni di tutti e le ragazze in maglia azzurra hanno avuto il merito di amplificare le attese giocando un ottimo calcio. L’interesse generato non era scontato, chi lo ha vissuto in prima linea sa quanto sia stato tortuoso e difficile il cammino per arrivare fino a questo punto".
Teme che dopo il Mondiale il movimento femminile possa fare un passo indietro?
"No, ma l’esposizione che porta il mondiale non può essere paragonabile al campionato. Perché se è vero che il calcio femminile ha faticato per ritagliarsi uno spazio, i problemi non possono essere finiti all'improvviso grazie alla vetrina mondiale. Bisogna sapere che la missione da portare avanti non è ancora arrivata al traguardo. Le problematiche da risolvere ancora tante. Sono necessari investimenti e programmazione per consolidare un fenomeno che ha dimostrato di piacere alla gente".
Che cosa c'è da fare adesso?
"Spero che, grazie anche al Mondiale, tutti abbiano capito che anche le donne possono fare del calcio un'attività sportiva primaria e trasformarla in un vero lavoro tutelato. E che quindi le famiglie si convincano a iscrivere le proprie figlie alle scuole calcio esattamente come accade negli altri sport e per i maschietti, senza nessuna reticenza. Gli ottimi risultati raccolti dalla Nazionale possono ovviamente rappresentare un bel biglietto da visita per fare qualche passo avanti verso questa prospettiva".
Al momento, una ragazza che intenda fare del calcio una meta a cui puntare per tutta la vita sportiva e magari anche lavorativa, a quali ostacoli va incontro?
"Deve sapere che difficilmente diventerà un lavoro per lei visto che come è noto non c'è ancora il professionismo. Ma deve anche sapere che, al tempo stesso, l'impegno che le verrà richiesto non sarà inferiore a quello dei colleghi maschi che diventano professionisti tutelati e ben stipendiati. Il salario previsto per le atlete donne non prevede minimi garantiti, non consente di maturare una pensione e non permette di avere una tutela sanitaria. Ma ci deve credere ed investire nella propria passione perché le situazioni evolvono".
Quali mosse andrebbero fatte per far compiere a questa disciplina l'auspicato salto di qualità?
"La Federazione ha capito quale direzione debba essere intrapresa e anche il presidente Gravina lo ha ribadito in interviste recenti. E’ necessario il coinvolgimento di chi conosce da dentro il settore. Si può essere ottimisti. Ma prima di tutto bisogna dotare il calcio femminile di una dirigenza strutturata, passando anche per il marketing e la comunicazione. Ma aggiungo che non bisogna nemmeno scimmiottare il settore maschile: ci sono specificità che vanno valorizzate e la dimensione sportiva deve essere primaria".
