
“Una vita da mediano
A recuperar palloni
Nato senza i piedi buoni
Lavorare sui polmoni
Una vita da mediano
Con dei compiti precisi
A coprire certe zone
A giocare generosi”.
‘Una vita da mediano’ è uno dei pezzi più famosi e amati di Luciano Ligabue. Il grande artista emiliano è riuscito a raccontare, attraverso una metafora calcistica, quella che è la vita della maggior parte delle persone. La vita cioè di coloro che non potendo contare su talenti particolari, ogni giorno raggiungono i loro obiettivi, più o meno grandi, attraverso la dedizione, il sudore ed il sacrificio.
‘Una vita da mediano’ parla di coloro che non attirano le luci dei riflettori, ma che pur vivendo nell’ombra, riescono a ritagliarsi un loro spazio e a consentire magari ad altri di guadagnarsi la gloria e gli onori della cronaca.
Ligabue però, attraverso la sua metafora, ha anche portato in musica quella che è la vita di tanti giocatori. Di coloro cioè che non essendo stati premiati dal ‘Dio del calcio’ con quei doni che ti permettono in maniera quasi naturale di arrivare a grandi livelli, sono chiamati a rincorrere un loro posto in mezzo al campo. Sono chiamati a sacrificarsi e ad usare la testa per arrivare a quei traguardi che per loro si nascondono dietro una strada in salita e generalmente piena di curve.
In questa categoria di calciatori rientra appieno Michele Pazienza, uno che ai massimi livelli ci è arrivato sapendo di non poter contare su corsie preferenziali. Si è guadagnato la Serie A metro dopo metro, ‘lavorando sui polmoni’ appunto, consapevole che le sue caratteristiche tecniche non gli sarebbero mai valse le prime pagine dei giornali, ma anche del fatto che lì dove non arriva la qualità può arrivare, seppur in modo diverso, la costanza.
Per Michele Pazienza il calcio è sempre stato una ‘cosa di famiglia’. E’ cresciuto nel Gruppo Sportivo Apocalisse, una società calcistica giovanile di San Severo, gestita dallo zio, che è stato anche il suo primo allenatore. Si è formato lì dove le società della Daunia spesso vanno a pescare i talenti sui quali puntare ed è proprio lì che l’ha scovato il Foggia, a 35 chilometri di distanza dai suoi campi di allenamento.
Approda in prima squadra nel 1999, casualmente l’anno in cui viene pubblicata ‘Una vita da mediano’, ed impiega un nulla a diventare uno dei perni dei ‘Satanelli’. Sono le stagioni della C2, quelle nelle quali si affronta ogni campionato con la volontà di raggiungere la promozione, e mentre si fa le ossa sotto le sapienti mani anche di Pasquale Marino, tecnico che poi condurrà i pugliesi alla conquista della C1, su di lui iniziano a puntare lo sguardo squadre importanti.
Ad arrivare per prima sul ragazzo è l’Udinese, una delle società più abili in assoluto a pescare lì dove spesso i grandi club non si spingono. E’ Andrea Carnevale, uno che anche giocando al fianco dei più grandi campioni della sua generazione (Maradona ovviamente su tutti) ha allenato il suo occhio, a scovarlo e a farlo seguire con sempre maggiore insistenza. E’ il 2003 quando Pazienza compie il triplo salto dalla C2 alla Serie A e proprio ad Udine scoprirà che non solo tra i migliori giocatori d’Italia può starci senza problemi, ma anche che quel trasferimento può regalargli molto di più che ‘semplici’ gioie calcistiche.
In un bar della città friulana incontra colei che poi diventerà sua moglie. Il colpo di fulmine è immediato, ma prima di poter far breccia nel cuore di quella ragazza dietro al bancone, dovrà visitare ancora molte volte quel locale e bere centinaia di caffè.
Un corteggiamento da ‘mediano’, fatto di tanta abnegazione. Quella stessa dote che ogni domenica mette in campo e che gli consente di scalare posizioni nelle gerarchie di Luciano Spalletti e di guadagnarsi un posto importante in una squadra che, nella stagione 2004-2005, riuscirà a spingersi fino ad un quarto posto in campionato che vorrà dire qualificazione alla Champions League.
Pazienza le partite sui più importanti palcoscenici europei le giocherà, ma non con la maglia dell’Udinese sulle spalle. Proprio nell’estate del 2005 si trasferirà alla Fiorentina, dove si guadagnerà fin da subito il rispetto di una delle tifoserie più esigenti d’Italia.
Getty ImagesMai titolare inamovibile, ma sempre capace a farsi trovare pronto. Fa parte della prima ‘Viola’ di Prandelli, quella che rappresenterà la base di una squadra che di lì a pochi anni si sarebbe tolta soddisfazioni importanti. Lui è l’elemento di fatica del centrocampo, uno di quelli buoni da inserire dal 1’ nelle partite complicate, o a gara in corso quando c’è da gestire la situazione. In Toscana completa il suo percorso di crescita, ma si riscopre anche costretto a fare i conti con il più importante infortunio patito in carriera: la rottura del legamento crociato.
“Tendenzialmente non sono mai stato scaramantico, ma è un dato di fatto che mi sono infortunato vestendo la maglia viola ed il numero 17…”.
Quando nel gennaio del 2008 passerà al Napoli, lo farà da giocatore già fatto e finito e nel pieno della sua maturità calcistica. Arriva in una società ambiziosa che punta a contrastare il dominio delle squadre del nord e c’è anche tanto di suo nei risultati raggiunti in quelle stagioni, quelle del definitivo salto di qualità, dai partenopei.
A Napoli si guadagna il soprannome di ‘Compitino’, ma per lui la cosa non ha mai rappresentato un problema. Ha sempre saputo qual era il suo ruolo all’interno di un undici composto da tanti campioni e lo ha sempre saputo Walter Mazzarri un tecnico che, nonostante le tante scelte a disposizione, fatica a fare a meno delle sue abilità tattiche e del suo lavoro ‘sporco’.
“Mazzarri è stato importante per la mia crescita - svelerà anni dopo a CalcioNapoli24 Tv - è stato l’allenatore che mi ha dato più fiducia di tutti. E’ il tecnico che mi ha fatto giocare con più continuità. Lui aveva bisogno di un calciatore difensivo, che sapesse restare concentrato per tutti i 95’, uno sul quale poter contare. Io gli davo delle certezze. Dal punto di vista tecnico avevo delle lacune, ma riuscivo a sopperire con dei compiti che mi dava”.
Quelli di Napoli sono gli anni più importanti della sua carriera. Tre stagioni e mezzo nelle quali dà tutto e si guadagna anche le prime presenze in Champions League, ma non tutte le favole si chiudono con un lieto fine. Quando lascerà la squadra azzurra lo farà da svincolato e accompagnato dalla sensazione che la voglia di puntare ancora su di lui sia venuta meno.
“Ho aspettato il Napoli fino a febbraio, ma da parte loro non c’è stata piena fiducia. Ho quindi deciso di non incontrare più la società e quando si è poi fatta avanti la Juve non ci ho pensato due volte”.
Da svincolato Pazienza fa gola a molti e il suo nome viene accostato anche a quello del Milan, ma sarà appunto la Juventus a garantirsi la sua firma nell’estate del 2011.
GettyI bianconeri sono reduci da stagioni non all’altezza delle aspettative, ma hanno appena iniziato un nuovo ciclo affidando un grande progetto ad Antonio Conte. Diventa una delle pedine di un centrocampo fortissimo che comprende anche Marchisio, Vidal e soprattutto un altro nuovo arrivato, Andrea Pirlo, e farsi spazio tra giocatori di tale valore non è semplice.
“Sono venuto alla Juve perché ho sentito la fiducia della società. Cercherò di dare il massimo per conquistarmi un posto in squadra e per dare il mio apporto. Qui mi vengono chieste applicazione e cura per i dettagli, perché sono quelli che poi fanno la differenza. Ho trovato tanti campioni che mi hanno impressionato anche per la loro semplicità e per la loro disponibilità nel rendersi esempio per i nuovi arrivati. Parliamo gente che ha vinto tanto”.
Lui per caratteristiche è diverso da tutti gli altri, è il classico gregario chiamato a farsi trovare pronto nel momento giusto, ma lo spazio a disposizione è poco. Gioca scampoli di partite, una sola delle quali da titolare contro il Cesena, arrivando a collezionare fino a gennaio appena 146’ in campionato, ai quali vanno aggiunti altri 120’ in Coppa Italia. Troppo pochi evidentemente per sentirsi parte di un qualcosa.
La sua avventura all’ombra della Mole durerà appena sei mesi. Tornerà infatti all’Udinese, dove sarà nuovamente un titolare inamovibile e dove con Guidolin, a sette anni di distanza dalla prima volta, tornerà a festeggiare una storica qualificazione alla Champions League dei friulani.
Scaduto il prestito farà ritorno alla Juventus, che lo girerà subito al Bologna dove trascorrerà le sue due ultime stagioni in Serie A, l’ultima delle quali sarà la più difficile in assoluto.
“Venni messo fuori rosa, mi allenavo con la Primavera di Colucci”.
Pazienza vivrà in Serie B al Vicenza e poi in Lega Pro alla Reggiana e in Serie D al Manfredonia gli ultimi scorci della sua carriera, chiudendo così un lungo girovagare che lo riporterà lì dove tutto era iniziato: a 35 anni in Puglia, a pochi chilometri da casa sua.
A differenza di Lele Oriali, il calciatore scelto da Luciano Ligabue per rappresentare tutti i mediani, non vincerà mai un Mondiale, ma il suo è stato comunque un percorso importante nel mondo del calcio.
‘Una vita da mediano a recuperar palloni’, affinché le sue squadre potessero vincere e giocatori come Toni, Cavani, Del Piero e Di Natale potessero segnare caterve di goal, guadagnandosi la gloria e le prime pagine dei giornali.
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