GOALL’identità dello Spezia, in un certo senso, passa anche da lui. Che poi, in fondo, la differenza tra “Guly” e “Dinho”, quella sera del 15 giugno 2007, stava solo nell’aspetto fisico e nel colore della maglia: anche fa roteare le mani con pollice e mignolo alzati. “Yo”, insomma. Lo Spezia si salva, condannando il Verona alla Lega Pro: fallirà un anno dopo, ma nessuno scorderà mai la gara del Picco.
Persino in Serie A, 14 anni dopo, il club bianconero ricorda la sfida valida per l’andata dei Playout di Serie B, a conferma del fatto che il passare degli anni e la risalita dalla D non hanno minimamente scalfito il ricordo del goal di Guilherme Raymundo, Do Prado per tutti.
Il suo destro, comunque, è una delle conclusioni più strane e precise mai viste su un campo da calcio: i 25 metri che lo separano dalla porta difesa da Pegolo vengono letteralmente spezzati da un tiro secco diretto all’angolino, caratterizzato da un insieme di stile e tecnica che, in teoria, poco si addice a un uomo alto 1 metro e 90. E invece eccolo: si coordina, piegandosi perfettamente in avanti, facendo esplodere il Picco allo scadere. Hanno ragione ad esultare, i tifosi bianconeri: è un 2-1 prezioso, in rimonta. Al ritorno al Bentegodi finirà 0-0. Il resto è storia.
A portarlo in Italia è stata la famiglia Gaucci, nel 2002, al Catania: e, per uno strano segno del caso, il suo destino incrocia irrimediabilmente quello di John Toshack. Anche perché prima dell’arrivo dell’allenatore gallese, il centrocampista brasiliano non aveva mai visto il campo. Per volere di “Tisky Tosky” viene ripescato dai margini e rimesso in rosa. Anzi, di più: viene addirittura schierato titolare all’esordio assoluto del nuovo tecnico. Insomma, sì, giusto una partita qualunque: il Derby di Sicilia contro il Palermo.
Gioca 61 minuti, poi lascia il campo per Giovanni Martusciello: il Catania vince al Massimino 2-0 grazie alle reti di Cordone e Lulù Oliveira e per “Guly” sembra essere l’inizio di un lungo percorso in rossazzurro. Ma così non è.
Le difficoltà di Do Prado più che tecniche sono fisiche, come si scopre con il passare degli anni. Chiusa l’esperienza al Catania i Gaucci lo portano al Perugia, in Serie A. Per una meravigliosa coincidenza fa il suo esordio assoluto con la maglia dei grifoni in finale di Intertoto: e, tra l’altro, per la seconda stagione consecutiva viene chiamato in causa per la prima volta in una partita dalla posta in gioco altissima. Non si può certo dire che non sia stato preso in considerazione, in carriera.
Serse Cosmi lo fa entrare a inizio secondo tempo al posto di Giovanni Tedesco al Curi, contro il Wolfsburg, sul parziale di 1-0: al ritorno entrerà giusto in tempo per alzare il trofeo, il penultimo della storia del Perugia (il primo internazionale).
Prima della retrocessione in Serie B dei biancorossi c’è un’altra data degna di essere citata, nella storia calcistica di Do Prado. Al Franchi di Firenze il 20 giugno 2004 non c’è un posto vuoto. Uno spettacolo viola degno dello spareggio per decretare chi tra Perugia e Fiorentina riuscirà a raggiungere il proprio obiettivo. Se il Perugia a rimanere in Serie A o la Fiorentina a ritornare in massima serie.
GettySe c’è stato un singolo istante in cui gli animi dei tifosi viola hanno dubitato della possibilità di riabbracciare il massimo campionato, quello è stato all’82’, quando Guly ha sfidato in velocità Manfredini e ha fatto partire un destro da posizione quasi impossibile, che si è insaccato all’incrocio del palo difeso da Cejas. Al Perugia basterebbe un solo goal per ribaltare la gara d’andata: finirà 1-1 al Franchi. Ma i minuti seguenti i tifosi viola non li scorderanno mai: per la gioia per il ritorno in Serie A, certo, ma anche per la paura finale.
Se pensate che sia finita qui, ovviamente vi sbagliate: la Fiorentina, in qualche modo, entrerà nella sua vita nell’estate del 2005, quando dopo il fallimento del Perugia lo ingaggia senza pensarci due volte. È qui che la carriera di Do Prado cambia: e, come spesso capita, sale in cattedra la sfortuna. Diversi infortuni, alcuni gravi. Mai a disposizione. Viene convocato per alcune partite, ma senza vedere il campo. Due anni buttati via, chiaramente non per sue colpe.
C’è una parentesi della sua carriera, però, che lo ha ripagato di tutti gli sforzi compiuti: delle sofferenze e del lavoro sul campo. Inaspettatamente, dopo una buona stagione al Cesena (con cui centrerà la promozione in Serie A), si trasferisce in prestito al Southampton, fresco (da neanche un anno) di passaggio di proprietà a Markus Liebherr, il miliardario svizzero autore della rinascita del club, allora in League 1. Arriva secondo: in poche parole, Championship. Intanto, a metà campionato, i Saints lo ingaggiano definitivamente. Si apre un periodo roseo per Guly, in cui diventa uno dei giocatori più importanti della rosa che conquista la promozione in Premier League.
GettyMostra tutto il suo repertorio: gioca a centrocampo, poi come ala, persino come punta, andando in doppia cifra nella stagione in Championship. Esordisce in Premier come riferimento centrale dell’attacco contro il Manchester City di Roberto Mancini, campione d’Inghilterra in carica, servendo un assist per il momentaneo pareggio di Rickie Lambert. Rimarrà anche l’anno successivo: in totale, con i Saints, in tutte le competizioni 118 presenze e 23 reti.
Si trasferirà in MLS, ai Chicago Fire, quindi chiuderà la carriera in Brasile. Da molti è considerato una promessa non mantenuta del calcio italiano: forse qualcuno potrebbe avanzare tesi persino convincenti a supporto di questa idea. In realtà Guly Do Prado è stato molto di più: in Inghilterra persino un’icona, con numeri che si addicono a una stella. Non certo a una meteora.
