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"Il Bernabeu non ti mancherà", l'esperienza di Toshack al Catania

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Dall’oblò dell’aereo, in direzione Catania, le prime due immagini che ti si parano davanti una volta infranto il limite imposto dalle nuvole riguardano il golfo, se si viaggia con il favore delle tenebre illuminato come una metropoli, e l’Etna, guardiana imponente che volge lo sguardo alla città. Una volta atterrato i bar dell’aeroporto ti accolgono senza troppi indugi: arancino o granita, in qualsiasi stagione. Persino a novembre: ai catanesi da dove vieni importa il giusto. Conta dove arrivi, cosa trovi, cosa puoi riportare a casa, con te, della cultura etnea: nell’anima.

A Catania, come in altri luoghi dove la semplicità si intreccia all’ingegno, ad ogni nome segue per forza di cose un soprannome: matrice di un’usanza trapiantata poi in Sudamerica, come convenienza prestata, per una maggiore facilità di pronuncia, al popolo. Una volta atterrato e raccolto il bagaglio, nel novembre del 2002 , John Benjamin Toshack ha smesso di essere tale, gallese dai tratti ben difficili da confondere, deponendo il suo nome in favore di un più immediato “Tisky Tosky”, che ben si sposa con “Tichi Tochi”, che è il più frettoloso, ma significativo modo, in catanese, per intendere qualcosa, senza ricordarne precisamente la denominazione (qualche anno dopo la stessa sorte è toccata a Panagiotis Tachtsidis, divenuto “Tichi Tachi”, senza troppe fortune).

Eppure, di slogan ne aveva sentiti tanti, nel corso della sua carriera da calciatore. “Toshack, Keegan, one nil!” : e il Liverpool vinceva. E i tifosi esultavano: dietro il refrain coniato e riproposto più volte dallo storico telecronista britannico David Coleman si celano quasi 200 reti condivise con Kevin Keegan ai Reds, spinta propulsiva per le vittorie del Liverpool negli anni Settanta. Di Catania deve aver chiesto alcune informazioni, poco dopo aver ricevuto una strana telefonata dall’Italia: clima, tifo, calcio. Sangue: di solito aspetti inseparabili, un po’ come cielo e lava del vulcano in eruzione.

Dall’altra parte del telefono, da uno studio romano, il compianto Luciano Gaucci e suo figlio Riccardo, rispettivamente proprietario e presidente del club rossazzurro dal 2000, con una promozione appena ottenuta, l’ultima finora dalla Serie C1 alla Serie B.

“L’idea Toshack nacque un giorno negli uffici di mio padre a Roma, Santa Maria Maggiore, quando un procuratore ci mise in testa che c’era la possibilità di portare Toshack al Catania, visto che voleva fare un’esperienza in Italia” , racconta a Goal Riccardo Gaucci, ex presidente del Catania, attuale patron del Floriana.

John Toshack SwanseaGetty Images

Toshack, da allenatore, nonostante i 53 anni compiuti da poco, non aveva quasi più nulla da dimostrare: agli inizi della sua carriera era riuscito a portare lo Swansea dalla quarta divisione al massimo campionato, senza fermarsi. A 41 anni aveva già vinto una Liga con il Real Madrid e una Copa del Rey con la Real Sociedad. Annuisce, comunque, accettando. “Aspettavo un’esperienza in Italia. La categoria non era importante. L' importante era arrivare nel vostro Paese”, dirà. Il problema è rimanerci.

Il Catania nella stagione 2002/03 vive uno dei campionati più strani della sua storia: il ritorno in Serie B dopo 15 anni ha quel sapore dolciastro del primo candito al luna park, a metà tra il desiderio incessante di un altro assaggio e il senso di nausea e vertigine consegnato dalle giostre. In casa la formazione etnea ha un ruolino di marcia molto positivo: in trasferta no. In panchina siedono Maurizio Pellegrino e Ciccio Graziani, protagonisti della promozione: almeno fino a novembre, quando a fare le spese dello scarso rendimento della squadra è Pellegrino. “Ci voleva il grosso nome. La piazza di Catania non è certo facile da gestire” , racconterà l’ex allenatore e attuale direttore del Catania.

Il calcio alle pendici dell’Etna è sempre stato un insieme di fattori sportivi e spunti di rivalsa sociali, ben oltre il singolo risultato sportivo. Gioia e passione declinata, quest’ultima, all’esasperazione. Il grosso nome non è solo un bisogno: è un imperativo categorico utile a definire le ambizioni di un progetto societario, qualunque esso sia. Un allenatore come Toshack, qualche anno prima con la tuta delle Merengues, “quelle” Merengues, sembra essere il profilo giusto dopo la traversata nel deserto che ha riportato il nome del Catania sempre più al centro dei radar calcistici.

Toshack Real Madrid CataniaGetty Images

“Da giocatore ho iniziato tra gli amatori e sono arrivato a vincere tutto. Da tecnico ho cominciato in Serie C e poi ho conquistato la Liga con il Real. Gaucci è il presidente giusto, che la pensa come me”: la prima partita, per motivi burocratici, salta. Al suo posto, contro il Siena, siede ancora Ciccio Graziani: è una sconfitta, alle porte del derby contro il Palermo. Il primo impatto con il Massimino è indescrivibile: al Bernabeu avrà incontrato la classe e il sapore dei successi. Al vecchio Cibali tutto il resto, al di là di ogni immaginazione: uscito dal tunnel degli spogliatoi, che contrariamente a quello attuale dava le spalle alla Curva Sud, volgendosi alla Nord, trova uno stadio letteralmente in fiamme, tra fumogeni accesi, bandiere e giochi pirotecnici. E uno striscione: “Welcome Mister Toshack, you won't miss the Bernabeu” . Come fa a mancarti il Bernabeu, con un pubblico del genere?

La partita, il derby, finisce 2-0 con le reti di Davide Cordone e Luis Oliveira: sembra essere l’inizio di un idillio calcistico. È il principio di una parentesi lunga dieci partite. Il 27 gennaio Toshack non è più l’allenatore del Catania: il giorno prima la squadra rossazzurra perde al San Paolo contro il Napoli, con un rigore trasformato da Dionigi. I giornali parlano di uno scontro tra il tecnico e la dirigenza, forse spinti dalle parole di “Tisky Tosky”: “In 25 anni da allenatore, non ho mai incontrato un presidente che mi dicesse quale squadra mettere in campo”.

“Non c’e stato nessuno scontro. Ricordo benissimo. Non ero contentissimo del risultato della squadra, ma non era mia volontà esonerare Toshack” , racconta Riccardo Gaucci a GOAL.

“Purtroppo lì ci fu una grande lite familiare tra me e mio padre perché lui non digerì la sconfitta: neanche io, ma mi resi conto subito che Toshack fosse uno dei migliori allenatori della nostra storia calcistica familiare, quello che aveva ricevuto maggiore rispetto da parte dei giocatori. Litigammo: io ero abbastanza giovane, non riuscì ad impormi come avrei dovuto e Toshack non è stato confermato” , aggiunge.

Il gallese, ancora una volta, aveva lasciato il segno: “Abbiamo tardato parecchio tempo a presentare Reja (il sostituto, ndr) perché non volevo: avevo provato un ultimo tentativo per far rimanere Toshack convincendo mio padre, ma non c’è stato niente da fare”.

Da quel momento in poi un continuo girovagare per il mondo, vincendo altri titoli: archiviata l'esperienza da allenatore, ha vissuto momenti delicati dovuti a complicanze polmonari dovute al COVID. Ricoverato, le sue condizioni sono parse subito molto preoccupanti: il Real Madrid non lo ha dimenticato, anzi. Sui social i Blancos gli hanno rivolto un messaggio di supporto.

"Il Real Madrid, il suo presidente e il consiglio di amministrazione desidera mandare un messaggio di supporto e ti affetto al caro John Benjamin Toshack".

Rimarrà eternamente “Tisky Tosky”, per i tifosi catanesi. L’uomo con la tuta rossa al campo di allenamento in quel di Pedara: l’allenatore venuto dal Bernabeu per portare al Catania un pezzo di Merengues, naufragato nel mare del suo stesso blasone.

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