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Messi, è l'apoteosi: ha eguagliato Maradona nell'Olimpo degli dei

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Secondo quelli che credono ai segni del destino, non poteva che finire così. Leo Messiè campione del mondo alla sua ultima presenza in una fase finale di un Mondiale. Una specie di cerchio che si chiude e di pianeti che si allineano. Tutti attorno alla loro stella più lucente, e poco importa se sia davvero il GOAT oppure no: questioni futili, da bar, da chi deve forzatamente cercare un paragone tra i più grandi per innalzare uno e sminuire quell'altro.

La questione fondamentale è che, finalmente, Messi si è elevato in tutto e per tutto alla pari di Diego Armando Maradona. Doveva vincere un Mondiale come il suo più illustre predecessore, dicevano i suoi detrattori. E da protagonista. Bene: ha fatto entrambe le cose. Uomo guida di un'Argentina che è partita col piede sbagliato, che pian piano e timidamente ha rialzato la testa, fino a diventare una macchina da guerra in grado di eliminare in sequenza tutti gli avversari che si sono posti sul suo cammino: l'Olanda, la Croazia, la Francia.

messi4(C)Getty Images

La serata di Lusail segna la definitiva consacrazione dell'uomo che, assieme a Cristiano Ronaldo, ha trasformato il calcio moderno. C'era un'epoca pre-Messi e c'è l'epoca di Messi. Toccherà a Kylian Mbappé - ironia della sorte, suo fantascientifico avversario a Lusail in una sorta di maestosa sfida nella sfida - raccoglierne l'eredità: ma evidentemente il momento non è ancora arrivato in maniera completa. E non certo per demerito del fuoriclasse francese, autore di una tripletta. Anzi.

Come Maradona in Messico, Messi ha tenuto in pugno un Mondiale. Ha segnato all'esordio, nella nefasta sconfitta contro l'Arabia Saudita. Ha rimesso in piedi l'Argentina sbloccando la complicatissima contesa contro il Messico, ed in effetti è proprio da lì che è partito tutto. Non si è curato del rigore paratogli dal polacco Szczesny. Ha punito anche l'Olanda e la Croazia, implacabile dal dischetto ogniqualvolta il destino gli ha concesso di poter essere decisivo. E con la Francia è stato, ancora una volta, l'uomo del destino: doppietta nei 120 minuti, altro rigore trasformato nella sequenza finale.

"È incredibile - le parole di Messi ai canali ufficiali dell'AFA - sapevo che Dio mi avrebbe dato la Coppa. Ne ero sicuro: ora è arrivato il momento di godersi il trionfo".

Per poi, a 'TYC Sports', aggiungere:

"No, non mi ritiro dalla Nazionale. Voglio continuare a giocarci da campione".

Ma non è solo questo. Non sono solo le reti messe a segno: quattro su sette, guardando il pelo nell'uovo, sono arrivate su calcio di rigore. No: a fare la differenza è stato il Messi uomo guida, trascinatore, leader come forse mai era stato durante la propria carriera in Nazionale. Guardate l'Argentina: ha buoni giocatori, più di un prospetto di altissimo livello, qualche campione. Non ha la rosa del Brasile e nemmeno della Francia. Però ha Leo. E senza di lui, forse, non sarebbe arrivata dov'è arrivata.

Tempo fa lo chiamavano "pecho frío", puntando il dito contro una presunta mancanza di sangue nei momenti decisivi. La fascia di capitano pareva non adattarsi al suo braccio come si adattava a quello di Maradona. Uno che per l'Argentina si sarebbe gettato nel fuoco, che avrebbe barattato tutto pur di vincere un trofeo. Qualche connazionale proprio non riusciva a scorgere questo lampo negli occhi di Messi. Ma dal 10 luglio del 2021, la notte del trionfo in Copa América in casa del Brasile, tutto è cambiato: Leo si è preso la squadra sulle spalle e l'ha portata in cielo. Come aveva fatto Diego 36 anni fa, in Messico. Tra mani de Diós, serpentine e la netta sensazione di essere un alieno sbarcato per caso in mezzo a un nugolo di umani.

A Lusail, Messi ha vissuto il proprio momento perfetto. Giocatore con più presenze della storia dei Mondiali davanti a Lothar Matthäus, giocatore con più minuti davanti a Paolo Maldini. Per la prima volta è andato a referto in una finale, dopo la grande delusione di Rio 2014. E, finalmente, ha raggiunto il suo sogno più grande: far vincere un Mondiale all'Argentina. Come aveva fatto Maradona. E proprio nel giorno della sua Last Dance.

E così tornano alla mente proprio le parole del Diego, che di Messi diceva: "È uno che, se gli chiedi di sbattere la testa contro il palo, si mette a giocare ai videogames". Esagerava, certo. Però il suo pensiero rappresentava quello di molti argentini, tifosi e giornalisti, che proprio non si capacitavano di come esistesse un Leo con la maglia del Barcellona e uno con quella della Selección.

A nulla servivano i Palloni d'Oro in sequenza, le Champions League vinte, la pioggia di campionati e coppe portati a casa col Barça. Anzi, non facevano che rendere più evidente la stordente discrepanza con il bottino messo assieme con l'Argentina: zero coppe. Almeno fino al luglio di un anno fa. Lì, a Rio de Janeiro, la storia ha iniziato a prendere un'altra piega. E a Lusail ha preso forma la notte più bella. Quella in cui Messi è diventato a tutti gli effetti il vero e unico erede di Maradona.

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