Martin Palermo Argentina ColombiaGetty Images

Martin Palermo e i 3 rigori sbagliati in una partita: un'impresa al contrario

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Racchiudere la vita e la carriera di Martin Palermo in poche righe è un'impresa enorme. Troppi gli aneddoti da raccontare, troppe le storie – calcistiche e non – di cui il personaggio in questione si è reso protagonista in vent'anni di fútbol argentino ed europeo. Il percorso e i titoli a raffica col Boca Juniors. La breve e infruttuosa parentesi in Liga e il mancato arrivo al Napoli all'inizio dei Duemila. La carissima inimicizia con Juan Roman Riquelme e quella, diventata saldissimo legame, con Guillermo Barros Schelotto. Lo stile eccentrico – lo chiamano El Loco, il pazzo, e un motivo ci sarà – i capelli platinati, il travestimento da donna sulla copertina di Olé. La rete di testa quasi da metà campo in un Boca-Velez. Troppo, troppo davvero.

Con la Selección argentina, poi, Palermo ha sempre avuto un rapporto particolarmente controverso. 15 partite e 9 reti, recitano le statistiche: media altissima, in fondo. Martin vi debutta nel 1999, si allontana dai grandi palcoscenici per una decina d'anni e nel 2009 salva Maradona dall'estromissione dai Mondiali sudafricani con un'indimenticabile rete al Perú sotto la pioggia, poi bissata da quella decisiva dell'ex meteora viola Bolatti in Uruguay. Cose da locos, appunto.

Palermo con la maglia dell'Argentina se lo ricordano un po' tutti per quell'episodio. Ma non solo, ahilui. Perché se pensi al loco vestito di bianco e celeste, la memoria non può non correre a velocità supersonica al 4 luglio 1999, giornata tra le più memorabili che il calcio argentino, colombiano, ma pure sudamericano e mondiale ricordi: quella dei tre calci di rigore sbagliati nella stessa partita da Palermo. Un record tutt'ora inconstrastato, almeno a livelli così alti.

Luque, Paraguay. Seconda giornata del gruppo C di Copa America. Argentina e Colombia sono partite col piede giusto: 3-1 all'Ecuador e 1-0 all'Uruguay rispettivamente. Il centravanti argentino è Palermo, 26 anni da compiere, già idolo del Boca dopo gli esordi all'Estudiantes. Ha timbrato una doppietta agli ecuadoriani e si sente tremendamente in forma. Lo favoriscono le assenze di due colossi come Batistuta e Crespo, lasciati a casa dal ct Bielsa – altro loco come lui, anche nella scelta dei convocati – in quanto spossati dalla lunga stagione europea.

Gioca Palermo, dunque. Assieme a lui Walter Samuel, Javier Zanetti, Diego Simeone, più Riquelme e Barros Schelotto. L'Argentina vuole il bis per ipotecare il passaggio ai quarti. E al 5' del primo tempo ha la chance più gustosa possibile: mani in area di Viveros e rigore. Lo batte di potenza proprio Martin, che però scheggia la traversa. Pazienza, pensano tutti, il vantaggio prima o poi arriverà. Solo che a trovarlo 5 minuti dopo sono i colombiani con Ivan Ramiro Cordoba, da pochi mesi giocatore dell'Inter, ancora dal dischetto. 0-1. E le prime nubi iniziano ad addensarsi sul loco e i suoi ignari compagni di squadra.

Colombia vs Argentina Copa América 1999vivefutbol.co

Nessuno può però prevedere quel che accadrà in un secondo tempo ai limiti della leggenda. Pronti, via e un rigore lo sbaglia anche la Colombia: calcia Ricard, ma Burgos intuisce e tiene in piedi l'Argentina. Che al 76' ha una nuova chance per pareggiare: altro mani di Viveros e altro penalty, il quarto. Palermo è uno con gli attributi, mica si fa spaventare da un errore. E si ripresenta dal dischetto. Botta potente, di nuovo, ma la palla non entra nemmeno stavolta: alto. Da mani nei capelli, con tanto di ciuffo biondo sulla fronte.

Questo sì, si rivelerà un errore fatale. La Colombia tira un sospiro di sollievo, si riorganizza, trova prima lo 0-2 con un colpo di tacco di Edwin Congo e poi lo 0-3 con un sinistro da fuori di Johnnier Montaño, quello che ai tempi del Parma dovevano andare a riprendere sui tetti di Cali. Bene, la partita è finita qui. O forse no? No, perché per rimpolpare la leggenda c'è ancora qualche minuto. E Palermo non si lascia sfuggire l'opportunità: si fa far fallo in area da Cordoba, ottiene un altro rigore, e volete che non vada di nuovo lui sul dischetto, anche se Bielsa lo implora di non farlo? Ci va, ci va. E il povero Calero, scomparso nel 2012 a soli 41 anni, gli respinge l'ennesima esecuzione di potenza. Tre penalty calciati, tre penalty sbagliati. Un'impresa da Guinness dei Primati.

Nei giorni seguenti, come è naturale che sia, in Argentina non si parla che di lui. Della sua testardaggine e dello scarsissimo feeling con gli 11 metri. L'eco dei rigori sbagliati si sparge fino all'Europa, perché anche se i social network non sono ancora stati inventati Internet c'è già, e poi tutte le partite di quella Copa sono trasmesse in diretta da TMC. Il ridicolizzato Palermo, però, non se ne fa un cruccio. Tiene alta la fronte e si presenta senza titubare davanti ai giornalisti.

“Ero il migliore e ora sono il peggiore, ma la verità è che non è morto nessuno. Se ci fosse stato un quarto rigore avrei calciato anche quello. E se ne avremo uno nella terza partita contro l'Uruguay lo batterò con molto piacere, perché non ho perso la fiducia in me stesso. Giocherò ancora titolare? Un giocatore non può essere cambiato perché sbaglia 3 rigori: durante la partita mi sono reso utile, rispettando le consegne dell'allenatore”.

Palermo gioca effettivamente dall'inizio la terza gara del girone contro l' Uruguay e segna il definitivo 2-0, ben assistito da Riquelme, con tanto di esultanza-sfogo davanti a telecamere e fotografi. Ma l'avventura dell'Argentina si interrompe ai quarti contro il Brasile: Sorin illude tutti, ma Rivaldo su punizione e Ronaldo rimontano. Nel finale Palermo e compagni avrebbero pure la palla del pareggio, ancora una volta su rigore, per uno spintone di Zé Roberto su Gustavo Lopez. Il loco, questa volta, non è così loco da presentarsi. Sul dischetto va Roberto Ayala, il centrale del Milan, che però si fa ipnotizzare da Dida. Finisce 2-1. L'Argentina va a casa.

Palermo ColombiaGetty

I processi dei giorni seguenti coinvolgono anche Palermo, sì, ma vengono annacquati dal flop generale della squadra di Bielsa. Del resto il centravanti si sarà pure coperto di ridicolo, ma in fondo l'ha fatto in una partita rivelatasi ininfluente ai fini della qualificazione. Una ventina d'anni dopo, invece, a ripensare a quello storico Argentina-Colombia di Copa America la prendono un po' tutti sul ridere. Anche gli argentini. Anche Palermo.

“Battere il secondo rigore era abbastanza normale, nel calcio si fa, c'è in ballo un sentimento di rivincita dopo aver sbagliato il primo – ha ricordato Martin qualche tempo fa a 'ESPN' – Perché ho battuto anche il terzo? Nessuno veniva a prendersi il pallone... L'unico che si è avvicinato è stato Ayala: 'Martin, lo batti tu?'. 'Beh, sì'. Non mi ha detto: 'Guarda, mi stanno dicendo che è meglio che lo calci io'. Altrimenti glielo avrei lasciato. Cosa mi ha detto Bielsa? Che sono stato egoista. Ma la verità è che nessuno voleva calciarlo”.

Tra leggenda e mito si è messo di mezzo pure un sedicente stregone paraguaiano, tale Kumanchú, che nel 2006 ha affermato di aver aiutato con i propri poteri soprannaturali l'Atletico Nacional, in cambio di 400 dollari, a battere il Cerro Porteño in Copa Libertadores. Svelando di aver fatto lo stesso qualche anno prima, nel 1999, per indurre Palermo al disastro.

“I colombiani mi conoscono bene: nella Copa America del '99 ho fatto un lavoro simile per far sì che la loro Nazionale battesse per 3-0 l'Argentina in una partita che si è giocata a Luque”.

Il bello è che Palermo si è ripetuto una decina d'anni più tardi, nel settembre del 2009. Partitella d'allenamento del Boca Juniors, titolari contro riserve. Martin fa parte dei primi, naturalmente. Arbitro dell'incontro: il Coco Basile, l'allenatore di quel Boca. Che fischia un rigore per i titolari: va Palermo, ma Javier Garcia para. Esecuzione ripetuta per un'irregolarità e stavolta Palermo calcia fuori. Quindi ecco un terzo fallo in area e la concessione di un nuovo penalty: di nuovo batte Palermo, di nuovo Garcia intuisce e para. Tre rigori calciati, tre rigori sbagliati. L'incubo si è nuovamente materializzato. Ma stavolta, se non altro, se ne sono accorti in pochi.

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