
Sublime, devastante, impressionante, spettacolare. Gli aggettivi si sprecano quando si parla di Marco Van Basten. Con 125 goal in 201 presenze, di cui 90 in 147 presenze in Serie A, 'Il Cigno di Utrecht' è stato uno dei grandi campioni che hanno fatto la fortuna del Grande Milan.
In rossonero ha vinto praticamente tutto: 3 Scudetti, 2 Supercoppe Italiane, 2 Supercoppe europee e 2 Coppe Intercontinentali, cui bisogna aggiungere 2 titoli di capocannoniere della Serie A, un titolo di capocannoniere della Coppa dei Campioni, 3 Palloni d'Oro, l'Europeo del 1988 conquistato con l'Olanda e i successi di gioventù con l'Ajax (una Coppa delle Coppe, 3 Eredivisie, 3 Coppe d'Olanda, 4 titoli di re dei bomber dei Paesi Bassi), una Scarpa d'Oro e un Trofeo Bravo.
E chissà quanti altri titoli, di squadra e personali, avrebbe potuto conquistare se la caviglia destra malandata non lo avesse costretto al ritiro anticipato dai campi all'età di 30 anni, il 17 agosto 1995, dopo 2 stagioni in cui provò vanamente a tornare.
Negli anni in rossonero, al di là dei problemi fisici, non mancarono i momenti difficili per l'olandese, soprattutto durante la gestione di Arrigo Sacchi, contro le cui idee calcistiche e il cui integralismo Van Basten dovette scontrarsi a più riprese nei suoi primi anni milanisti.
La sua avventura italiana, inoltre, avrebbe potuto avere altri colori, esattamente quelli viola della Fiorentina.
InternetVAN BASTEN E L'ACCORDO CON LA FIORENTINA
L'attaccante olandese aveva infatti firmato un contratto di opzione con il club toscano nell'aprile del 1986. Di lui si era infatti 'innamorato' calcisticamente Claudio Nassi, che in quegli anni ricopriva la carica di Direttore generale del club toscano. L'accordo raggiunto con l'Ajax, proprietario del cartellino, e con il giocatore, era stato messo nero su bianco e campeggia ancora oggi appeso in un quadro nello studio dell'ex dirigente viola.
Il centravanti sarebbe passato alla Fiorentina per 6 miliardi di vecchie Lire, pagabili in 3 anni, più il cartellino di Wim Kieft, valutato 1 miliardo e 600 milioni, per una spesa complessiva di 7 miliardi e 600 milioni. A Van Basten sarebbe stato corrisposto un ingaggio da 600 milioni di lire per 3 anni , oltre ad appartamento in città e macchina a carico della società.
L'opzione sarebbe stata esercitata il 1° luglio 1986. Quella Fiorentina avrebbe avuto un attacco molto forte, con un tridente composto dal giovane Baggio, ripresosi dall'infortunio al ginocchio dopo una lunga riabilitazione, da Van Basten e dall'argentino Ramón Díaz. Tre giocatori da urlo, in grado di far sognare qualsiasi tifoso.
E Nassi lo ha confermato di recente.
"Era tutto fatto, ho ancora i contratti scritti e firmati che lo provano. Grazie al Conte Pontello avevamo una squadra pronta per competere in campionato e Coppa UEFA. Ma poi andai via e l’opzione non fu esercitata".
La richiesta del Conte Pontello, presidente del club, è infatti che Nassi gli succeda alla presidenza. Il dirigente ci pensa, ma alla fine dice di no. Nuovo numero uno viola diventa Piercesare Baretti, Nassi lascia la società e così, sul più bello, per i tifosi sfuma la possibilità di vedere il 'Cigno di Utrecht' in viola.
PinterestVAN BASTEN E SACCHI: UN RAPPORTO DI AMORE E ODIO
Ad aggiudicarsi il cartellino del centravanti olandese dopo un'altra stagione è invece il Milan, che lo preleva dall'Ajax a parametro UEFA (pagando 2 milioni di Franchi svizzeri, pari a circa un miliardo e 750 milioni) dopo avergli fatto firmare un pre-contratto già nell'estate 1986. Nonostante il goal al Pisa al debutto in campionato, i guai alle caviglie continuano a tormentarlo e il rapporto con Arrigo Sacchi non è dei più semplici.
Fra i due sarà sempre una relazione di amore-odio, fin dalle prime settimane del suo approdo in Italia.
"Se un giorno mi sento un po’ meglio, capita che in allenamento riesca a raggiungere i miei standard, - racconta Van Basten nella sua autobiografia, 'Fragile' - ma non sono mai davvero al cento per cento. Da quando ho fatto presente che la caviglia mi limita nel gioco, Sacchi preferisce schierare Gullit e Virdis in attacco. Per fare quello che lui chiama 'pressing a zona', ma che, in realtà, non è altro che difendere già con gli attaccanti. E Gullit ne esce completamente stravolto".
" Io ero abituato ai metodi di Cruijff. Non c’è nessuno al suo livello. Ma il fatto che fra me e Sacchi non ci fosse molto feeling non aveva a che fare soltanto con una diversa concezione del calcio. Di sicuro c’entrava la tattica. Il modulo che mi aveva portato ad alti livelli all’Ajax era stato il 4-3-3, con tre attaccanti, un esterno destro e un esterno sinistro che rifornivano con i loro cross la punta centrale. Sacchi giocava con il 4-4-2, schierando solo due attaccanti e un solidissimo blocco arretrato. Sosteneva fosse un sistema rivoluzionario, offensivo, cui diede persino un nome: 'zona-pressing' ".
"Al Milan rilasciava molte interviste ed entrò in ottimi rapporti con vari giornalisti. Tutto ciò gli ha permesso di rivendersi la 'zona' come qualcosa di innovativo, di antiitaliano... Tutti i giornali lodarono questo nuovo sistema di gioco per nulla italiano e così rivoluzionario, la spettacolare 'zona-pressing'. La faccenda mi infastidiva, perché non lo era affatto, rivoluzionario, né era offensivo. Era difensivo, era la difesa che ci faceva vincere le partite. Ma chi vince ha sempre ragione".
"A prescindere da questo, fra me e Sacchi mancò qualcosa a livello personale. - sottolinea Van Basten nel suo libro - Può succedere. Lui mi definiva lunatico, ricollegava il mio comportamento alle fasi lunari. Pensava fossi sfuggente, non capiva dove andassi a parare. Per me, invece, Sacchi non era abbastanza diretto. Era sempre troppo morbido con le star della squadra".
"Ad esempio quando in allenamento andavo troppo piano, - racconta l'olandese - lui urlava a qualcuno dei più giovani: 'Ehi, su, diamoci una mossa!'. Ma in realtà ce l’aveva con me. Io preferisco il confronto diretto, sono per la schiettezza".
"Da Sacchi potevi aspettarti garbo, gentilezza, ma soprattutto l’ennesimo sermone sugli schemi di gioco. Mai una volta che giocassimo una partitella in libertà, senza discutere di soluzioni tattiche, senza interruzioni. A volte avrei voluto semplicemente fare la mia partitella, a un calciatore serve anche questo. Sacchi era completamente votato al suo gioco e al suo sistema, diventava maniacale. Stava a pensarci ogni giorno della settimana, nessuno escluso, anche di notte. Quando dormivamo in hotel prima di una partita, capitava che chi aveva la stanza vicina a quella di Sacchi venisse svegliato dalle sue urla: 'Fuorigioco, fuorigioco' e altre frasi del genere. Succedeva ogni volta".
GettyLa situazione precipita nella stagione 1990/91, la quarta di Sacchi e Van Basten in rossonero. L'incrinazione dei rapporti fra l'attaccante e il suo allenatore, portano all'esonero di quest'ultimo.
"Nella primavera del 1991, quando Sacchi si è presentato con l’ennesima spiegazione non richiesta sullo schema tattico e sul ruolo che mi avrebbe assegnato, la bomba era pronta a esplodere. Ero completamente stufo. Il massaggiatore è stato l’unico testimone di quel confronto. Ho interrotto il ragionamento di Sacchi, e senza farmi troppi scrupoli gli ho detto: 'Mister, voglio che sia chiara una cosa. Tu continui a dire che siamo vincenti proprio perché abbiamo lavorato con te, io invece vorrei metterla diversamente. Non abbiamo vinto tutti quei premi perché ci sei stato tu, ma nonostante ci fossi tu'. Calò un silenzio di tomba".
"Sacchi mi guardò come se gli avessi conficcato un coltello nel cuore. Era scioccato. Uscì dalla stanza senza dire una parola. Col senno di poi avrei potuto comportarmi diversamente, esprimermi in un altro modo. Non si meritava quella pugnalata. A quel punto è andato da Berlusconi per comunicargli che non c’erano più le condizioni per lavorare con me e che avrebbe dovuto fare una scelta fra me e lui. Berlusconi scelse me. Io volevo rimanere a Milano, mi trovavo bene lì, e potevo giocare con i migliori al mondo. Insieme potevamo vincere ancora a lungo. Fu così che Berlusconi ci portò Fabio Capello".
Il rapporto contrastato con il suo allenatore non ha impedito a Van Basten di esprimersi ad altissimi livelli anche sotto la gestione del 'Profeta di Fusignano', anche se probabilmente il meglio di sé l'attaccante lo ha dato maggiormente sotto la gestione Capello, dal 1991 al 1993.
"A dirla tutta l'era Capello è stato il mio periodo migliore al Milan. Ho vinto la classifica marcatori con 25 goal, erano ventisei anni che nessuno raggiungeva quella cifra. Se non sbaglio, ho fatto una sessantina di presenze con Capello, praticamente senza mai perdere. Tranne quell’ultima partita, quando già non giocavo da mesi per via della caviglia, la cinquantaseiesima, la finale di Champions League del maggio 1993".
Dopo tanti successi, la martoriata caviglia lo avrebbe costretto a un lungo calvario e, in ultima istanza, al triste ritiro in quel 18 agosto del 1995. Un giro di campo in 'borghese' per salutare i suoi fans, attimi struggenti e indimenticabili per tutti i tifosi rossoneri presenti al Meazza o che guardano la tv. Il 'Cigno di Utrecht' non avrebbe più danzato. Come in un requiem doloroso, il mondo del calcio piangeva la 'morte sportiva' di uno dei centravanti più forti della storia di questo sport.
"Sotto gli occhi degli ottantamila, sono testimone del mio addio. Marco van Basten, il calciatore, non esiste più. State guardando uno che non è più. State applaudendo un fantasma. Corro e batto le mani, ma già non ci sono più... Il calcio è la mia vita. Ho perso la mia vita. Oggi sono morto come calciatore. Sono qui, ospite al mio funerale".
