Aspetto ormai in disuso nel calcio moderno: mostrare attaccamento alla maglia. Il motto business is business regna sovrano e, quindi, il concetto di bandiera si limita esclusivamente al drappo. Poi, certo, ci sono le eccezioni. C’è, ad esempio, Alvaro Morata. Che alla Juve ha dato tanto, in due cicli, mettendo in mostra un senso di appartenenza raro per un calciatore straniero.
Già, perché lo spagnolo ha proprio bramato e amato Madama. E, chissà, magari il sentimento non è ancora passato di moda. Sebbene l’attualità parli di Atletico Madrid e, soprattutto, di un rendimento di livello: 5 goal e Colchoneros nuovamente riconquistati.
Belloccio, sguardo pulito, 30 anni. Sì, il vero problema della vita è che gli anni passino così velocemente. Ed ecco che, dal nulla, un predestinato si ritrova a dover fare i conti con la massima maturità calcistica. Un percorso meritocratico, altalenante, sfociato anche nella creazione di una famiglia modello. Equilibrio dentro e fuori il rettangolo di gioco, binomio fondamentale per costruire una carriera di livello.
Guardando indietro, cosa che non si dovrebbe mai fare, Morata può sorridere. Eccome: Real Madrid, Juventus, Real Madrid, Chelsea, Atletico, Juventus, Atletico. Il tutto, sfoggiando lo status – ancora in voga – di elemento importante per la Nazionale iberica. E poi il palmarès, e che palmarès, successi qua e là con ben due Champions League – entrambe vinte con il Real – in bacheca. Insomma, sarebbe potuta andare (decisamente) peggio.
Merito, dunque, anche della Vecchia Signora. Che ha avuto il merito di guardare oltre, di scovare un potenziale top player, visionato e (ri)visionato a più riprese dall’ex capo scout bianconero – ora diesse del Marsiglia – Javier Ribalta.
Dopodiché, l’ascesa, impreziosita dai consigli di Max Allegri. Il quale, al suo primo anno sulla panchina bianconera, ha avuto la bravura di lanciare senza remore il suo ex numero 9. Morale della favola? Fiducia ricambiata a suon di prestazioni, a suon di reti, con tanto di stagione sfociata a un passo gloria delle glorie: Berlino 2015. Anche lì, in un finale per Madama triste, il lampo non è mancato.
Che coppia con Tevez. Già. L’Apache e il ragazzo dalle belle speranze, un tandem moderno che ha saputo dare soddisfazioni indelebili al popolo zebrato. D’altra parte, i trofei non mentono. L’unico rimpianto del Morata 1.0 alla Juve è raffigurato dall’ormai celeberrima “recompra”, nonché spada di Damocle, così definita dall’ex ad Beppe Marotta.
Impossibile, in quel momento, trattenere Alvaro. Impossibile dare continuità a un percorso ideato con coraggio e lungimiranza. Il resto è puro senso di appartenenza, con Morata che non ha mai fatto mistero di essere particolarmente legato al globo bianconero. La frase: “Se fosse per me resterei sempre qui”.
In definitiva, sebbene pure nel secondo atto le belle cose non siano mancate (specialmente con Pirlo), il primo atto di Morata all’ombra della Mole resta il più emozionante. Quello delle magiche notti europee, dei 27 centri in due stagioni, perlopiù pesanti. Ma quanta nostalgia…


