Andando a sbirciare tra i compleanni degli sportivi “vip” che si celebrano il 25 settembre, i più giovani potrebbero domandarsi come mai sia presente anche quello di Igor Belanov. I più curiosi, andando a guardare con attenzione, scoprirebbero che si tratta, udite udite, del vincitore di un Pallone d’Oro.
“Vabè, ma staremo parlando degli anni ‘60’”, potrebbe dire qualche appassionato di calcio fresco di diploma. E invece no. Igor Belanov il Pallone d’Oro l’ha vinto nel 1986, l’anno dopo il trionfo di Michel Platini e l’anno prima del primo successo di Ruud Gullit. Lo ha conquistato battendo Gary Lineker ed Emilio Butragueno, giunti rispettivamente secondo e terzo in classifica e pur rappresentando una Nazionale, quella dell’Unione Sovietica, eliminata agli ottavi di finale nei mondiali messicani.
È vero, a quei tempi il Pallone d’Oro era un titolo riservato solo ai calciatori europei e dunque Diego Armando Maradona, trascinatore dell’Argentina sul tetto del mondo, e tutti i suoi compagni erano fuori dai giochi. Ma la concorrenza non mancava.
C’era Gary Lineker, attaccante dell’Everton che proprio dopo il Mondiale si trasferì niente meno che al Barcellona dopo aver conquistato la classifica dei cannonieri di Messico ’86 con sei reti. C’era Emilio Butragueno, storico bomber del Real Madrid e della Spagna autore di ben 5 reti durante la rassegna iridata, e campioni assoluti come Marco Van Basten (all’epoca ancora all’Ajax), Platini e Ruud Gullit il quale, appunto, avrebbe trionfato l’anno dopo.
C’era anche Helmuth Duckadam, eroe indiscusso dello storico trionfo in Coppa dei Campioni della Steaua Bucarest con quattro rigori parati in finale al Barcellona. E forse proprio il trionfo di un’outsider come la squadra rumena ha contribuito al trionfo di Belanov che, come detto, eliminato agli ottavi di finale dei Mondiali, aveva però contribuito al trionfo della sua Dinamo Kiev in Coppa delle Coppe (3-0 in finale all’Atletico Madrid), realizzando 5 reti nel corso della competizione.
Ma chi era Igor Belanov? Ebbe solo un anno di gloria? Non proprio. Nato ad Odessa nel 1960, iniziò a giocare nel Cornomorec. All’epoca, quella che oggi è l’Ucraina, faceva parte dell’immensa Unione Sovietica e dunque farsi largo, tanto in campionato che in nazionale, era tutt’altro che semplice. Per tutti.
Poi, nel 1985, prima di compiere 25 anni, il salto alla Dinamo Kiev. A guidare quella che oggi è la squadra più celebre d’Ucraina c’è il colonnello Lobanovski, colui che – tra gli altri – fece diventare grande Andriy Shevchenko.
Il primo campionato si conclude proprio col trionfo della Dinamo Kiev, che da quattro anni non riusciva a centrare l’obiettivo. L’anno successivo, proprio in vista dei Mondiali messicani, Lobanovski abbina alla panchina della Dinamo Kiev proprio quella della Nazionale sovietica, ma ciò non rappresenta per lui e per la sua squadra una distrazione.
La Dinamo Kiev vince infatti nuovamente il campionato e Belanov è il vice-capocannoniere della squadra con 10 reti, pur non essendo un numero nove ma più un rifinitore. Brevilineo e rapidissimo. Nel trionfo della Dinamo Kiev in Coppa delle Coppe, invece, è proprio il capocannoniere con 5 reti.
Ai Mondiali del 1986, ovviamente, c’è posto anche per lui e per molti dei suoi compagni: ben 12 dei 22 componenti della rosa dell’Unione Sovietica militano infatti nella Dinamo Kiev. Più il commissario tecnico, ovviamente.
La stella della squadra è Aleksandr Zavarov, che due anni dopo passerà alla Juventus, ma in organico Lobanovski può contare su giocatori del calibro di Aleinikov (anche lui giocherà in Italia, nella Juventus prima e nel Lecce poi), Protasov, Blokhin e, appunto, Belanov.
Il Mondiale comincia bene per l’USSR che liquida con un secco 6-0 l’Ungheria. Belanov gioca 69 minuti, ma senza segnare. Contro la Francia di Platini e Tigana, Belanov con il suo numero 19 sulle spalle gioca tutti i 90 minuti nella gara che finisce 1-1. La terza gara della fase a gironi è il 2-0 sul Canada, con Belanov che entra in campo solo nella ripresa.
GettyUn Mondiale anonimo per lui, sembrerebbe. Agli ottavi di finale, però, nel giorno peggiore per la Nazionale sovietica, che viene eliminata, Belanov trova la sua giornata di gloria. Di fronte c’è il Belgio di Vincenzo Scifo, ma a sbloccare il risultato alla mezz’ora è proprio Belanov, tornato titolare. Il Belgio pareggia ad inizio ripresa, ma è ancora Belanov a riportare in vantaggio i suoi al minuto 70. Al 72’, il Belgio pareggia ancora e c’è bisogno dei supplementari. Durante l’extra-time, però, i Diavoli Rossi trovano due reti e il terzo sigillo di Belanov risulta inutile: finisce 3-4 e ai quarti di finale ci va il Belgio.
Nonostante la buona performance ai Mondiali, nessuno si aspettava che l’ambito premio, al termine dell'anno, sarebbe andato proprio a lui ma, inaspettatamente, Belanov la spuntò e si aggiudicò il Pallone d'Oro. “So che questo premio è più un riconoscimento ai risultati della Dinamo Kiev più che un riconoscimento individuale – disse quando fu premiato – e allora penso che il premio lo avrebbe meritato più Zavarov”.
Molti concordarono con le sue parole, ma Zavarov arrivò soltanto sesto. Le cose a Zavarov andarono però sicuramente meglio due anni dopo quando, come detto, la Juventus lo portò in Serie A, all’epoca universamente riconosciuta come la competizione più bella del mondo.
Dopo quell'exploit, però, la carriera di Belanov iniziò una lenta parabola discendente. Viene convocato per gli Europei dell’88, salta la semifinale per infortunio, ma torna in campo per la finale contro l'Olanda. È la storica finale del goal meraviglioso di Marco Van Basten, ma quella gara avrebbe potuto avere tutto un altro destino se, sul punteggio di 1-0 in favore degli olandesi, goal di Gullit, proprio Belanov non si fosse fatto parare un calcio di rigore da Van Breukelen. Poco dopo, la meraviglia al volo di Marco Van Basten.
GettyDopo quella delusione e dopo il passaggio dell'amico Zavarov alla Juventus, anche Belanov era pronto al grande salto e, sebbene su di lui non ci fu subito l’interesse delle big, le porte della Serie A si aprirono anche per lui.
E' l'estate del 1988 e Genoa e Atalanta lo vorrebbero e ragionano all'affare da diversi mesi. L’operazione è pronta: il Genoa lo preleverà dalla Dinamo Kiev per poi darlo in prestito all’Atalanta. È il 1988, a guidare i bergamaschi c’è Mondonico e le ambizioni sono altissime. In rosa ci sono gli svedesi Stromberg e Prtyz, il terzo deve essere appunto Belanov. La trattativa, però, si blocca, va per le lunghe: l’Atalanta si spazientisce e per l'attacco tessera il brasiliano Evair.
Soltanto in seguito si scoprirà che il Governo dell’Unione Sovietica aveva letteralmente impedito la conclusione dell’affare. “I calciatori sotto i 29 anni non possono giocare fuori dall’Unione Sovietica”, recita una norma. E Belanov, nonostante il Pallone d’Oro in bacheca, non fa eccezione.
Frustrato per l’accaduto, appena l'età glielo permette, lascia subito l'Unione Sovietica e va a giocare in Germania, al Borussia Monchengladbach. Anche la sua avventura al Borussia Monchengladbach si conclude in maniera assurda: Belanov viene infatti arrestato perchè trovato in possesso di capi di vestiario rubati. Il Borussia lo licenzia e lui si accorda con l’Eintracht Braunschweig, compagine di seconda serie, in cui gioca per quattro stagioni prima di concludere la carriera in quella che, nel frattempo, era tornata ad essere l’Ucraina, stato indipendente.
Anche il suo post-carriera è tutt’altro che banale. Nel 2003 rileva il Wil, storica società fondata in Svizzera nel 1900. La sua avventura da proprietario e presidente si conclude però dopo meno di un anno quando, duramente contestato, è costretto a dimettersi. Ora vive in Ucraina sta combattendo la guerra a fianco dei suoi concittadini.
"Ho giocato con orgoglio per l'Unione Sovietica e sono sconvolto da questa guerra - ha dichiarato Belanov - pace all'Ucraina e gloria a tutti quelli che si oppongono agli invasori, venuti a distruggere la nostra terra e il nostro popolo libero ed eroico".
Era rimasto nel calcio, da proprietario di una scuola calcio ad Odessa, la sua città d’origine, dove ogni ragazzino dà i primi calci al pallone sognando di vincere il Pallone d’Oro. Quello che Belanov è riuscito a fare.