Questa è una storia poco conosciuta, che appartiene ad un calcio e in esteso a un mondo, che non esistono più. Un’epoca in cui i bilanci delle società non avevano ancora assunto un ruolo predominante nella pianificazione di una stagione.
I tifosi non avevano ancora confidenza con i concetti di ‘plusvalenza’, ‘indice di liquidità’ e ‘fair play finanziario’, ma affidavano le loro speranze e ambizioni di successo alla generosità dei vari mecenati pronti a finanziare ogni tipo di spesa.
Una figura, quella del presidente tifoso, che a partire dagli anni Sessanta fino ai primi anni Duemila avrebbe caratterizzato l’andamento del calcio italiano.
Una tendenza alla quale non fu estranea nemmeno la Roma, che negli anni Sessanta visse un decennio fatto di diverse soddisfazioni ma anche di tanti grandi momenti di difficoltà. Soprattutto economiche.
Nel periodo di Natale del 1964, il club giallorosso si trovava nella poco invidiabile situazione di avere un buco di bilancio da quasi due miliardi di lire. Circa un milione di euro, condizione che oggi farebbe invidia al 90% dei club mondiali, ma che all’epoca era un disavanzo importante se parametrato ai livelli economici di metà anni Sessanta.
ln quel momento storico, alla guida del club c’era il conte Francesco Marini-Dettina. Un uomo nobile di animo, molto più che per lignaggio. Lui stesso non amava l’appellativo nobiliare, insistendo affinché venisse chiamato con il ben più umile titolo di “dottore”.
La gestione della Roma gli era costata mezzo miliardo di lire, spese di tasca sua per portare in giallorosso Angelo Sormani. Un acquisto, come tanti altri, rivelatosi un buco nell’acqua.
A quel tempo le ambizioni della Roma erano grandi, ma il livello medio della squadra e i risultati ottenuti molto meno. Una condizione frequente dalle parti della capitale.
Il disavanzo di bilancio era dovuto anche alle scarse intuizioni calcistiche di Marini-Dettina, che respinse più volte offerte multimilionarie per alcuni dei suoi gioielli migliori (come la proposta milanista per Angelillo).
Una situazione non facile, che aveva portato grande preoccupazione anche all’interno dello spogliatoio romanista oltre che nella tifoseria.
Alcuni calciatori rifiutarono di andare in ritiro prima di un incontro di Coppa delle Fiere - trofeo che la Roma aveva vinto tre anni prima - in casa della Dinamo Zagabria ed erano sul piede di guerra.
Arrivarono persino a minacciare lo sciopero in vista della partita contro la Juventus in campionato. Il motivo del contendere erano gli stipendi arretrati e i premi partita, che non erano stati loro riconosciuti.
Tra questi anche i premi per la vittoria della Coppa Italia, la prima conquistata nella storia della Roma in finale contro il Torino appena un mese prima della Colletta.
Per scongiurare la catastrofe, intervenne la Lega Calcio. Con una manovra politica, il massimo organo calcistico italiano permise alla Roma di coprire una parte dello scoperto anticipando alcuni crediti che i giallorossi vantavano nei confronti di altre società, legati soprattutto ad operazioni di calciomercato non ancora incassati.
Una misura tampone, che abbassò di qualche centimetro il livello di acqua che rasentava la gola del club. Il 30 dicembre la Roma si trova nell’imbarazzante situazione di non avere sufficiente liquidità per affrontare le spese della trasferta in programma a Vicenza.
A questo punto, l’ultimo passo da compiere è chiedere un contributo diretto dei tifosi. Su spinta dell’allenatore Juan Carlos Lorenzo, passato l’estate precedente alla Roma dopo l’esperienza alla Lazio, viene organizzata all’insaputa di Martini-Dettina una colletta presso il noto teatro Sistina.
A mettere a disposizione la sala è Pietro Garinei, attore e regista teatrale grande amico di Renato Rascel, grande tifoso giallorosso e autore della frase “La Roma non si discute, si ama”.
Un gran capannello di romanisti si presenta al numero 129 di Via Sistina e ascolta l’accorato appello che arriva dall’allenatore argentino nel suo stentato e maccheronico italiano. Pare che tra le file della platea, a raccogliere l’obolo richiesto sia passato “Core de Roma”, il capitano Giacomo Losi.
Lui che nel 1961 aveva alzato la Coppa delle Fiere, si ritrova a porgere un secchiello da ghiaccio verso i suoi tifosi, sperando nella loro generosità.
Alla fine vengono raccolte circa 700mila lire. Una cifra alta, considerando anche che lo stipendio annuale medio di un operaio era di poco inferiore alle 100mila.
Tutto a posto quindi? No, perché il presidente Marini-Dettina rifiutò la somma racimolata e affrontò le spese della trasferta veneta dando fondo ai suoi risparmi personali.
Quel campionato la Roma lo concluderà al nono posto, a soli tre punti di distanza dalla retrocessione. Marini-Dettina fu costretto a cedere il timone del club, che avrebbe affrontato anni di rifondazione prima della rinascita di fine anni Settanta.
Se ne andò con gesto da nobiluomo, l’ultimo prima di lasciare l’eredità a malincuore squadra che in attesa di tempi migliori si era nutrita dell’amore e delle finanze del suo patron.


