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Diego Ribas Flamengo JuventusGetty Images

L'illusione Diego, la grande speranza della Juventus trasformatasi in sonoro flop

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È stato un flashback. E non esattamente dei più piacevoli. Quando Dusan Vlahovic e Denis Zakaria hanno segnato una rete a testa nella gara d'esordio contro il Verona, a gennaio 2022, tanti tifosi della Juventus hanno tirato fuori quella strana coincidenza. Perché un evento del genere, due debuttanti entrambi a segno, era già accaduto. Parecchi anni fa, ma evidentemente troppo pochi per poter lasciarsi tutto alle spalle.

Roma, stadio Olimpico, 30 agosto 2009. La grande illusione. La Juventus si impone per 3-1 sui giallorossi e a maramaldeggiare è Diego Ribas da Cunha, 24 anni, l'acquisto stellato di quell'estate. È una doppietta che ricordano tutti. Anche perché a chiudere i conti è il connazionale Felipe Melo, l'altro roboante volto nuovo di quella sessione di mercato. Una stella e un centrocampista. Vlahovic e Zakaria ante litteram, appunto.

Palla rubata a Cassetti a centrocampo, scatto su Riise, esterno destro vincente. E poi, ancora: incursione palla al piede verso l'area di casa, doppia finta su Mexes, altro diagonale vincente. Chi è sulle tribune, ma pure chi è a casa davanti alla tv, guarda Diego e si stropiccia gli occhi. Quei 25 milioni di euro sborsati nelle casse del Werder Brema per portarlo a Torino sono stati spesi proprio bene, pensano tutti. Diego e Melo, assieme ad Amauri, sono i volti da copertina della Juve-samba, un inedito nella storia bianconera. Ironia della sorte, i due si sono ritrovati a Rio de Janeiro. Da rivali, uno col Flamengo e l'altro col Fluminense. Sono pure volati spintoni e parole grosse.

Non sono scorie di quel passato comune a Torino, in realtà. Quello appartiene ad un'altra vita. Quella in cui Diego, nel momento in cui approda alla Juventus, è uno dei trequartisti più in voga d'Europa. Si è fatto notare già da adolescente, nel Santos dei meninos da Vila, assieme all'amico Robinho, al futuro rossonero Alex e a Elano. Nel 2002 ha vinto un Brasileirão leggendario, con una squadra imbottita di ragazzini e in un club sull'orlo del fallimento, sfiorando l'anno successivo la Libertadores e perdendola in finale contro gli argentini del Boca Juniors.

In quello stesso anno, tra giocate di livello, reti e assist, in Brasile è stato protagonista anche di una polemica durante un clássico in casa del San Paolo. Dopo aver segnato su calcio di rigore al Morumbi, si è messo a ballare assieme a Robinho sullo stemma rivale posizionato sotto la tribuna. Ne è nato un parapiglia e un esagitato Fabio Simplicio ha tentato di arrivare alle vie di fatto. Nel 2016 l'ex Palermo, Parma e Roma ha detto: “Se succedesse di nuovo lo rifarei”. I due si sono ritrovati in un Palermo-Juve, proprio nel 2009: Simplicio è andato a segno e i siciliani hanno vinto 2-0.

Però il primo Diego ha attirato l'attenzione su di sé quasi esclusivamente per l'aspetto calcistico. Ed è per questo che l'Europa non ha tardato a dargli una chance. Il Werder Brema ha rappresentato la rinascita dopo il biennio in chiaroscuro al Porto. Al Do Dragão si ricordano di lui soprattutto per una prodezza in Champions League al Chelsea dell'ex José Mourinho, un destro volante dal limite dell'area alle spalle di Cech. Anche se non tutti rammentano che proprio lì, in Portogallo, il giovane brasiliano si è laureato campione del mondo: nel 2004 ha conquistato la Coppa Intercontinentale, una delle ultime edizioni eurosudamericane, giocando tutti i 90 minuti contro i colombiani dell'Once Caldas e realizzando il primo dei rigori finali.

Non posso che essere grato per tutto quello che ho vissuto al Porto – ha detto nel 2019 al portale portoghese 'Maisfutebol' – Ero un ragazzino e in due anni ho imparato praticamente tutto. Ho vinto e la mia vita professionale e personale sono state eccellenti. Per me è un orgoglio raccontare di aver giocato nel Porto”.

2004 magico, quello. Prima dell'Intercontinentale, Diego si era già messo in tasca la Copa America peruviana. Anche in quel caso era stato suo uno dei rigori decisivi nell'epica finale contro l'Argentina, quella del 2-2 di Adriano in extremis. Però è stato in Germania che Diego si è fatto veramente un nome. Giocando con continuità, nonostante condizioni climatiche diverse da quelle brasiliane, e conquistando tutti. Anche la rivista Kicker, che al termine della stagione 2006/07, la sua prima in Bundesliga, lo ha nominato miglior calciatore del campionato. Merito anche di una perla assoluta, una rete da centrocampo contro l'Alemannia Aachen considerata la più bella di quel torneo.

Diego Ribas WerderGetty Images

Quando la Juventus pensa a lui, nella primavera del 2009, a Torino soffiano venti di rivoluzione. La Signora è reduce da un doppio secondo posto al ritorno in A post Calciopoli, ci può stare, solo che vedere trionfare l'Inter fa piuttosto male. E così, via all'operazione Brasile. Amauri c'è già, un paio di mesi più tardi sbarcherà anche Felipe Melo. L'affare Diego, chiuso già a fine maggio, prima della conclusione del campionato, viene presentato come uno dei colpacci di quella finestra mercantile. Giustamente.

Per le sue caratteristiche tecniche – esulta l'amministratore delegato Jean Claude Blanc – Diego è un giocatore fondamentale per il rafforzamento della squadra.Abbiamo sempre detto che il nostro obiettivo è mettere insieme giovani e campioni e Diego sintetizza entrambe queste identità: malgrado abbia solo 24 anni, infatti, è un calciatore di grande esperienza, con oltre 7 anni da professionista ad alti livelli. Sono certo che il suo contributo sarà importante per continuare a far crescere la Juventus e per fare un ulteriore passo in avanti, in vista dei prossimi obiettivi”.

“Diego è un giocatore unico– aggiunge il direttore sportivo Alessio Secco – e per portarlo alla Juventus abbiamo dovuto competere con alcune tra le maggiori squadre europee. Il suo acquisto aumenta il potenziale della squadra e permetterà di sperimentare moduli di gioco diversi. Le sue prestazioni nelle ultime stagioni, e la personalità con la quale si è distinto in Germania e in Europa, sono la conferma delle sue qualità. Sarà un'arma in più per affrontare con fiducia anche la prossima Champions League, conquistata matematicamente domenica scorsa”.

Diego si prende la maglia numero 28, non la 10 che così spesso aveva indossato negli anni precedenti: quella è di Alex Del Piero, un mostro sacro, e mica si può toccare. “Aspetterò”, giura il brasiliano, già sognando una lunga e fruttuosa permanenza torinese. Le prime uscite ufficiali, del resto, non fanno che confermare speranze e attese. All'esordio in campionato la Juventus supera per 1-0 il Chievo, a segno Vincenzo Iaquinta, ma l'assist è proprio di Diego con una punizione pennellata dalla trequarti. E poi Roma, il 3-1 dell'Olimpico, il pomeriggio della grande illusione. Applausi. Odi infinite. Accostamenti da far rizzare i peli delle braccia.

Se Diego mi somiglia? Dal nome direi che sembra più Maradona– lo esalta Michel Platini – Lui e gli altri acquisti bianconeri sono davvero importanti. Finalmente. Basta con quei giocatori da mondiali d’atletica: erano in tv la settimana scorsa, m’è bastato... Quest’anno la Juventus merita complimenti speciali”.
I grandi giocatori sono quelli che stanno per fare la cosa più difficile e tu sai che la faranno – scrive 'Repubblica' all'indomani di Roma-Juve – Possono entrare in autostrada? S'infilano invece in un bicchiere. Il brasiliano Diego, che paradossalmente porta un gigantesco nome argentino ma più che altro globale – un nome che è sinonimo stesso di calcio –, è il tizio più forte e completo capitato alla Juventus da un sacco di anni: averlo dimostrato in appena due partite traccia i confini del personaggio, e del vasto territorio che occuperà nel tempo a venire”.

Il primo scricchiolio si avverte una settimana più tardi, in casa della Lazio, non per colpa sua ma per un guaio muscolare che lo costringe al cambio già nel primo tempo. Diego torna un paio di giornate più tardi, ma la Juve alterna risultati roboanti (5-1 alla Sampdoria, 5-2 a Bergamo) a cadute inopinate (0-2 a Palermo, da 2-0 a 2-3 casalingo col Napoli). E pure lui finisce nella lavatrice impazzita. Al termine dell'anno, il brasiliano si prende la soddisfazione di arrivare venticinquesimo nelle votazioni del Pallone d'Oro. Ma intanto si sta intristendo. Anche perché la squadra di Ciro Ferrara è stata precocemente eliminata dalla Champions League, complice un deleterio 1-4 interno col Bayern Monaco del portiere Butt, a segno su rigore contro i bianconeri come aveva già fatto qualche anno prima con la maglia del Bayer Leverkusen.

Nella prima parte del 2010, Diego sforna qualche assist ma non segna mai: appena due volte, in coincidenza di altrettanti colpi esterni a Bologna e Firenze. La serata più nera, però, l'aveva già vissuta a Bari a metà dicembre. Sul punteggio di 2-1 per i pugliesi, la Juve si era vista assegnare un calcio di rigore e lui, condizionato forse da un laser mirato dalle tribune, l'aveva spedito alle stelle.“Dobbiamo stargli vicino – aveva detto dopo la partita Ciro Ferrara, esonerato un mese e mezzo più tardi per far spazio ad Alberto Zaccheroni – È uno straniero che sta incontrando difficoltà come tanti". A proposito di rigori: Diego ne sbaglierà uno anche qualche anno più tardi al Wolfsburg (traversa), disobbedendo all'allenatore Steve McClaren che aveva indicato in Helmes il tiratore e saltando per punizione la partita successiva.

La topica dal dischetto del San Nicola, in ogni caso, non è che la macchia più visibile di un'annata da dimenticare. La Juve chiude settima e a fine anno cambia ancora. In panchina, dove Gigi Delneri, reduce dal quarto posto e dalla qualificazione ai preliminari di Champions League con la Sampdoria, sostituisce Zaccheroni. Ma anche, e soprattutto, in campo. E a pagare è pure Diego, perché tutti hanno compreso che il grande colpo è miseramente diventato un flop. Il brasiliano fa le valigie per il Wolfsburg, che lo acquista in cambio di 15 milioni di euro, ammortizzando in parte la spesa di 12 mesi prima. I rimpianti reciproci si sprecano, le dichiarazioni al veleno non mancheranno.

Alla Juventus ho pagato io per tutti– dirà nel 2014 al portale brasiliano 'LANCE!Net' – Io ero l'acquisto principale e per questo motivo avevo maggiori responsabilità rispetto ad altri. Era la Juve di Diego, anche per quanto ero costato. Ho giocato parecchio e non stavo facendo male, ma mancavano i risultati e allora si tirava in ballo l'investimento fatto per prendermi”.

Nemmeno al Wolfsburg sono rose e fiori. La storia del rigore sbagliato fa nascere una prima crepa nel rapporto. E quando in panchina arriva Felix Magath, i due proprio non si prendono. Tutto crolla all'ultima giornata della Bundesliga 2010/11: Diego apprende che non giocherà dall'inizio contro l'Hoffenheim, gara decisiva per non retrocedere in Zweite Bundesliga, e se ne va, scatenando le ire dell'allenatore. Il quale promette: se resta, se ne andrà a giocare nella seconda squadra, in quarta serie.

Non resta, Diego. L'Atletico Madrid rappresenta la sua salvezza, in prestito per una stagione. Arriva l'Europa League nella notte di Radamel Falcao, che in finale schianta per 3-0 l'Athletic Bilbao. Diego, a tratti, incanta. Il giornalista Jorge Garcia, di 'AS', dirà che “da anni non si vedeva un giocatore di quella qualità nel club: gli ultimi erano stati Juninho Paulista e Valeron”. Ma è pur sempre un prestito, appunto. E il Wolfsburg, che ha ancora Magath in panchina, lo rivuole con sé. Pace fatta, ma soltanto all'apparenza. Ma quando l'ex giustiziere della Juventus nel 1983 viene esonerato, il brasiliano esulta pubblicamente: “Ora ci siamo liberati dalla sua dittatura”.

Diego Ribas Atletico MadridGetty Images

Il resto è storia piuttosto recente. Un secondo prestito di pochi mesi all'Atletico, questa volta senza lasciar traccia, anche se pure lui nel 2014 trionfa in Liga in casa del Barcellona. Un paio di annate con molte ombre e poche luci al Fenerbahçe. E il ritorno in Brasile per giocare col Flamengo. Dove si è preso la fascia di capitano. Dove ha vinto un Brasileirão e due Libertadores. E dove, all'età di 37 anni, ha chiuso la carriera. Senza più rimpianti per quell'annata in bianco e nero.

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