Sarebbe dovuto diventare l'erede di Pavel Nedved e, invece, ne ha ricordato solamente la capigliatura. Di Milos Krasic alla Juventus resta un ricordo di breve durata, impalpabile, impercettibile. Un acquisto che, alla lunga, non si è rivelato azzeccato. Nonostante un inizio veemente e incoraggiante, in una Vecchia Signora altamente sperimentale.
Il serbo, approdato a Torino nel 2010 dal CSKA Mosca, avrebbe dovuto rappresentare un assoluto punto di forza della compagine allora allenata da Gigi Del Neri. Un nuovo blocco dirigenziale, capitanato dall'avvento del presidente Andrea Agnelli, chiamato a rilanciare una nobile decaduta.
Dentro, quindi, anche Beppe Marotta e Fabio Paratici. I quali, alle prese con una vera e propria rivoluzione, decisero di intavolare una trattativa laboriosa e complicata con il club russo: sfociata, così, in un esborso da 15 milioni. Cifra da contestualizzare al periodo e, dunque, per nulla banale.
Oggi, fresco di 36 primavere, Krasic si guarda indietro. E vede un'esperienza che avrebbe potuto cambiargli - in positivo - la carriera. Invece restano i rimpianti, su ciò che sarebbe potuto diventare e ciò che è diventato, con una carriera onestissima ma non di primo livello. Caratterizzata da spostamenti qua e là.
Può una tripletta illudere tutti? Sì, assolutamente. Lo sa bene proprio il serbo che, in una giornata da urlo, consegnava a Madama un netto 4-2 sul Cagliari. Una furia prestata alla fascia destra, con la casacca numero 27, con tanto di delirio del pubblico bianconero presente sugli spalti dell'Olimpico. Insomma, colpo indovinato. Apparentemente.
GettyPeccato, tuttavia, che il repertorio di Krasic fosse piuttosto monocorde: progressione, velocità, prestanza atletica. Fine. Musica per le orecchie degli avversari che, dopo circa sei mesi dall'approdo del serbo in Italia, capirono come fermarlo. Dopodiché, ecco il disastro: Bologna-Juventus.
Presunto contatto con Portanova, rigore. Confluita, con tanto di sentenza del giudice sportivo e della Corte di Giustizia Federale, in una vera e propria simulazione. Condotta antisportiva, così, punita con due giornate di squalifica.
Nulla fu come prima, con prestazioni insufficienti e (ben) lontane dalle aspettative iniziali. Che, difatti, portarono Antonio Conte - subentrato al posto di Del Neri - a bocciare pressoché immediatamente l'ex CSKA.
Indimenticabile in Siena-Juve il siparietto con il tecnico leccese che, nel tentativo di impartigli le direttive tattiche, non riscontrò in Krasic né la giiusta attenzione né la giusta comprensione.
Morale della favola? Titoli di coda. Con la cessione al Fenerbahce per 7 milioni. Uno scenario inevitabile, scontato, a maggior ragione considerando come il mister pugliese non riponesse nel serbo la benché minima fiducia, tanto da concedergli - nella stagione 2011-2012 - solamente 9 gettoni.
In un'intervista alla 'Gazzetta dello Sport', a distanza di anni, Krasic ammise:
"Mi è mancata fortuna, forse il carattere. Non ho la giusta ambizione per emergere. Il cambio di modulo mi ha penalizzato, nel 3-5-2 non c’era più posto. E poi erano arrivati giocatori di un livello superiore. Una squadra in cui ci sono Pirlo, Vidal e altri top player, forse era troppo per me. Conte era un martello, forse troppo duro ma preparatissimo".
Rimane uno Scudetto, non da protagonista, ma pur sempre uno Scudetto. Il primo degli ultimi nove conquistati dalla Juve. Perciò, nell'egemonia nostra bianconera, c'è spazio anche per il serbo. In parole povere, una meteora con una medaglia d'oro. E alle volte, nella volta, accontentarsi diventa cosa buona e giusta.


