Pubblicità
Pubblicità
Kenneth AnderssonGOAL

Kennet Andersson, il gigante che rifiutò la Juventus per il Bologna

Pubblicità
Archivio Storie

Fabio Cannavaro è stato uno dei più forti difensori di ogni tempo. Le sue straordinarie qualità l’hanno portato non solo a vincere un Pallone d’Oro (una rarità per chi giocava e gioca nel suo ruolo), ma anche a calcare i campi più importanti del pianeta, il che si è inevitabilmente tradotto nello sfidare i più grandi attaccanti della sua generazione.

Nel corso della sua lunga carriera, ha più volte incrociato i tacchetti con campionissimi del calibro di Batistuta, Weah, Ronaldo, Totti, Vieri, Henry, Del Piero e Shevchenko, solo per citarne alcuni. Eppure, quando gli è stato chiesto quale fosse stato il calciatore che di più in assoluto l’ha messo in difficoltà, non ha avuto dubbi nel fare il nome di un centravanti che nel novero dei grandissimi non è mai stato inserito: Kennet Andersson.

Lo ha fatto nel corso di recente una diretta TikTok, nella quale ha risposto alle domande di alcuni appassionati.

"Chi mi ha messo più in difficoltà? Kennet Andersson, giocatore del Bologna alto 1,93 e fortissimo di testa. Io penso che su cento palloni, con lui ne avrò presi al massimo uno o due: un fenomeno".

La parola "fenomeno" non è propriamente quella che più volte nel corso degli anni è stata accostata al nome di Andersson, ma questo probabilmente perché dal punto di vista tecnico non è mai stato eccelso. Tuttavia se ci si sofferma invece solo su alcune caratteristiche, nello specifico quelle fondamentali che ogni centravanti dovrebbe avere, il ‘gigante’ svedese un fenomeno lo è stato d’avvero.

Non era probabilmente bello da vedere, non era aggraziato nei movimenti e non strappava applausi con dribbling o giocate da funambolo, eppure era in un certo senso l’attaccante ‘ideale’. Quello che ogni squadra avrebbe dovuto avere in rosa.

Suppliva alla mancanza di velocità e di grandi capacità tecniche, con un lavoro estenuante portato avanti per tutto l’arco della partita, un’eccezionale bravura nel difendere la palla ed uno strapotere nel gioco aereo. Chi poteva contare su Andersson sapeva quindi di avere a disposizione un campione capace di reggere da solo l’intero peso del reparto offensivo, un centravanti che con i suoi movimenti abbinati ad un fisico possente, avrebbe catturato tutti i palloni che si sarebbero piovuti nel suo raggio d’azione, permettendo così alla sua squadra di salire e ai suoi compagni di poter sfruttare quella frazione di secondo in più che avrebbe permesso loro di posizionarsi nel migliore dei modi o di lanciarsi negli spazi che si erano venuti a creare.

Andersson era quindi un centravanti vecchio stampo, una sorta di regista d’attacco attorno al quale ruotavano tutte le vicende di una squadra. Uno che segnava e che faceva segnare e che quindi, per dirla in poche parole, pur non avendo mai sfornato statistiche incredibili, faceva la differenza.

E’ per questi motivi che è stato per dieci anni il centravanti titolare della Svezia, ed è per questi motivi che tutti gli allenatori che lo hanno guidato in carriera (tranne uno…) non hanno mai nemmeno lontanamente pensato di rinunciare ai suoi servigi.

Eppure, il percorso che l’ha portato nel calcio che conta non è stato propriamente di quelli brevi. E’ approdato al Göteborg, la squadra più importante del suo Paese, nel 1989 dopo aver giocato per diversi anni nelle serie minori svedesi. Da lì il trasferimento in Belgio al Mechelen, poi il ritorno in patria al Norrkoping, prima del trasferimento in Francia al Lille e l’arrivo del 1994, l’anno che ha cambiato per sempre il volto della sua carriera.

Kennet Andersson SwedenGettyimages

C’è anche lui nella lista dei convocati di quella Svezia che si rivelerà essere la grande rivelazione di USA '94. Andersson è il centravanti titolare di quella squadra e ripaga la fiducia che gli è stata concessa segnando contro il Brasile (che poi si laureerà campione del mondo) nella fase a gironi, prima di ripetersi contro l’Arabia Saudita (doppietta), la Romania e infine la Bulgaria nella finale per il terzo posto. Cinque goal in tutto. Come Roberto Baggio, Romario e Klinsmann. Meglio di gente come Batistuta, Bebeto, Bergkamp e Hagi. Solo Stoichkov e Salenko faranno meglio di lui.

Per la prima volta il suo nome verrà accostato a quello dei migliori giocatori del pianeta e l’exploit gli varrà, a 28 anni, il grande salto in quello che allora era universalmente considerato il miglior campionato in assoluto: la Serie A.

A scommettere forte su di lui non è una big, bensì il Bari che, dopo il dodicesimo posto dell’annata precedente, punta a migliorarsi. Nelle idee di Giuseppe Materazzi prima e Fascetti poi, Andersson è il titolare inamovibile in attacco con Protti e quella che i due andranno a formare sarà una coppia sensazionale. Grazie ai movimenti ed il tipo di gioco del primo, il secondo riuscirà a segnare come mai aveva fatto prima in carriera. Per lo ‘Zar Igor’, al termine della stagione i goal in campionato saranno ben 24 e gli varranno il titolo di capocannoniere al pari di Beppe Signori, mentre Andersson, al suo primo anno in un calcio completamente nuovo per lui, riuscirà a spingersi fino a 12 marcature. Un duo da 36 goal complessivi. Trentasei goal che non basteranno al Bari per la salvezza. Nella storia della Serie A, mai una squadra era retrocessa potendo contare su un tale bottino di reti.

“Ho dei bei ricordi di Bari, ma quella fu una stagione molto strana. Io riuscii a fare bene nel mio primo anno in Italia e con Protti segnammo tantissimi goal, ma la squadra retrocesse. Andammo in B nonostante avessimo il capocannoniere del torneo in squadra”.

Con il Bari in serie cadetta, la partenza verso altri lidi diventa necessaria. Andersson si riscopre nel mirino di diverse grandi del calcio italiano, compreso il Milan che vede in lui un eccellente vice-Weah, ma ad avere la meglio su tutti nella corsa che porta al suo cartellino sarà il neopromosso Bologna. Quello che il gigante svedese non può immaginare è che all’ombra delle Due Torri troverà il suo grande amore calcistico. Una ‘torre tra le Torri’ che nell’arco di quattro stagioni conquisterà tutti i cuori rossoblù. Nessuno escluso.

Con un centravanti come lui come spalla, Igor Kolyvanov riuscirà per la prima volta ad andare in doppia cifra in Serie A. Roberto Baggio, nella stagione 1997-1998 di goal ne farà addirittura 22 (fu quello l’anno della rinascita per il Divin Codino) e in quella successiva anche Signori si riscoprirà bomber dopo un periodo complicato.

A 32 anni Andersson è ormai uno dei centravanti più apprezzati della Serie A e nell’estate del 1999 decide di cedere ad una tentazione. Ha finalmente la possibilità di approdare in una squadra che punta a traguardi importanti e accetta il trasferimento nella Lazio più forte di tutti i tempi.

“Avevo avuto già la possibilità di andare in altre big - ha ricordato a ‘Radio Incontro Olympia’ - ma se poi ti chiama uno svedese come Sven-Goran Eriksson, dopo averci pensato un paio di volte alla terza dici ‘ok, ci vado’. Solo lui poteva farmi lasciare Bologna”.

Effettivamente, prima della Lazio, a fiondarsi con decisione sullo svedese era stata la Juventus, ma in quel caso il ‘no’ alle lusinghe dei bianconeri fu netto e neanche troppo ragionato.

“Fu semplice rifiutare la Juventus ci misi mezzora - ha svelato a ‘Il Resto del Carlino’ - Ero con mia moglie nel parcheggio di un supermercato e parlando con lei sono arrivato alla domanda fondamentale: io, Kennet Andersson, che cosa voglio fare della mia vita? Quando l’ho comunicato al mio procuratore non ci voleva credere. Bologna non è stata solo una squadra, ma uno stato d’animo, una scelta di vita”.

Quella nella capitale sarà l’avventura più complicata della sua carriera e proprio quell’Eriksson che un ruolo fondamentale recitò per il suo trasferimento, si rivelerà l’unico tecnico poco disposto a puntare realmente sulle sue qualità. Aveva a disposizione troppa scelta e troppa qualità in avanti per adattare il gioco della sua squadra, che poi si laureerà campione d’Italia, a quello di una punta con le sue caratteristiche. Per lui le presenze in campionato in biancoceleste saranno appena due, prima del ritorno nella sua Bologna già nell’inverno del 1999.

“Il Bologna non era messo bene - ha detto a ‘Radio Incontro Olympia’ - Parlai allora con Eriksson e, avendo capito che sarebbe stato difficile trovare spazio in quella Lazio, decisi di tornare in rossoblù. Non posso dire di aver vinto quello Scudetto, perché non lo sento mio. Io volevo giocare e sentirmi importante”.

I successivi mesi saranno gli ultimi con la maglia del Bologna e gli ultimi nel calcio italiano. Quando lascerà la ‘Dotta’ lo farà per andare a vincere un campionato in Turchia con il Fenerbahçe, prima di un’ultima romantica avventura nel Garda, una squadra neopromossa nella sesta serie svedese.

Una ‘torre tra le Due Torri’, un campione che ha legato per sempre il suo nome a quello del Bologna e di una città sede della più antica università del mondo occidentale. Anche lui si è guadagnato la sua laurea in Italia e ad assegnargliela è stata Fabio Cannavaro, un vero ‘docente’ in fatto di attaccanti, nel momento stesso in cui l’ha definito ‘il giocatore che più di tutti lo ha messo in difficoltà’. 

Pubblicità

ENJOYED THIS STORY?

Add GOAL.com as a preferred source on Google to see more of our reporting

0